Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La natura tra il prospettivismo amerindiano e la psicologia archetipica – Edoardo Serini
Abstract: Lo scopo di questo documento è quello di descrivere ciò che si intende per natura a partire dal
pensiero antropologico di Eduardo Viveiros de Castro e psicologico di James Hillman. Considerata in Occidente come una realtà unica, oggettiva ed esterna all’essere umano, nei due pensatori essa diventa molteplice e viva. Nel prospettivismo amerindiano di Viveiros de Castro la natura si crea a partire dai differenti punti di vista dei soggetti che si guardano (uomini, animali, ecc.): ognuno immerso nella propria realtà naturale. Nella psicologia archetipica la natura intesa come psiche trova la sua dimensione in un contesto pluralistico, attraverso i concetti di Anima mundi e di politeismo psichico.
«L’origine ama nascondersi»[1]. Con questo frammento, Eraclito presenta il mistero della natura nel suo processo di nascita e morte, di nascondimento e manifestazione. Sono queste le caratteristiche della natura che verranno indagate nel corso del tempo anche dai filosofi successivi greci (in particolare Platone, Democrito e Aristotele), e dal mondo cristiano (rimarcando la suddivisione tra il Creatore e il creato). Nel Rinascimento saranno due gli approcci alla natura: una filosofia naturale appartenente a Marsilio Ficino, Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Paracelso da un lato, e dall’altro lato un’indagine scientifica inaugurata da Galileo Galilei, e portata avanti da Cartesio e tutto il filone della razionalità scientista: per approdare poi nell’800 con la teoria evoluzionistica di Darwin. O dal lato filosofico, con l’enfasi poetica del pensiero romantico. Si giungerà così alla nostra modernità con i movimenti ecologisti ed ambientalisti, di ri-valutazione e ri-considerazione della natura. Dalle teorie di questi vari personaggi si è creato un pensiero dominante nel corso del tempo in Occidente (principalmente con la rivoluzione scientifica) che ha come caposaldo un’indagine sulla natura considerata come un’unica realtà, certamente con varie specie o creature, ma essenzialmente una, un oggetto singolo, amorfo nelle mani di un soggetto umano (unico veramente vivo) diversificato nella cultura che la indaga e la studia. Anche in altre discipline, non solo nella filosofia e nella scienza, la natura viene trattata come una realtà singola nel suo insieme, sottoposta alla cultura umana. Così è stato per l’antropologia, prima attraverso l’uso delle teorie evoluzionistiche per studiare gli altri popoli (denominati primitivi proprio per non essersi evoluti come l’uomo occidentale, e per lo stretto rapporto che hanno con la natura) e poi con lo strutturalismo, incatenandoli nella nostra dualità di natura e cultura. In psicologia (alla sua nascita almeno), la natura è stata subordinata al soggetto, al ruolo dell’Io che doveva ri-proporre e ri-marcare l’unico pensiero accettabile (ancora oggi nella nostra società occidentale), quello logico pragmatico, e non forme diverse di ragionamento della psiche. Dalla seconda metà del’900, nuovi pensieri e rivalutazioni sulla natura si sono manifestati, tendendo uno sguardo ad una natura veramente plurale e viva, non più oggetto del soggetto. In antropologia attraverso il pensiero di Eduardo Viveiros de Castro e nella psicologia di James Hillman.
Il pensiero di Eduardo Viveiros de Castro ruota intorno alla natura tramite la nozione antropologica e filosofica di prospettivismo, ricavata dalla filosofia occidentale ed applicata alle popolazioni amerindie. «Si tratta di una nozione in cui il mondo è popolato da molte specie di esseri […] dotati di coscienza e cultura […] ciascuna di queste specie vede sé stessa e le altre specie in un modo abbastanza singolare: ognuna si percepisce come umana, vedendo le altre come non umane, cioè come specie di animali o di spiriti»[2]. dice Viveiros de Castro. Gli animali si vedono come persone e vedono gli esseri umani, non come noi ci vediamo, ma come altri animali, come prede o predatori o spiriti[3]. L’umanità rappresenta lo sfondo che lega tutti gli esseri in questo rapporto relazionale dove tutti sono soggetti, dotati di uno sguardo, che è umano. Questo implica molteplici realtà naturali, non più una sola realtà assoluta della natura, ma tante e differenti[4]. Per gli amerindi e le storie dei loro miti, tutti un tempo erano umani, per poi una parte di essi, trasformarsi in animali. L’animalità entra in gioco successivamente all’umanità. Quest’ultima, secondo gli indigeni si trova negli animali sotto i loro rivestimenti esterni[5]. I soggetti in gioco sono molteplici, così come le relazioni che si dispiegano sul territorio. Tutti possono entrare in contatto. Asserire questa concezione significa mettere totalmente in discussione l’impianto dualistico ontologico occidentale dato dall’opposizione natura/cultura. L’insieme delle relazioni che si possono instaurare, le diverse nature presenti portano l’antropologo a parlare di un multi-naturalismo che si oppone al multi-culturalismo predominante nelle nostre società. Se il multi-culturalismo si instaura a partire dai differenti pensieri elaborati dall’uomo attraverso una sua unica e specifica interiorità (l’anima), il multi-naturalismo si basa sulle diverse simpatie dei corpi, sul loro modo di agire e sono loro che producono le differenze, quindi il contatto con ciò che è altro[6]. «se la cultura è un prospettiva riflessiva del soggetto, reificata attraverso il concetto di anima, si può dire che la natura sia il punto di vista che il soggetto ha delle altre affezioni corporee»[7] afferma De Castro. Tra la parte interna, intesa come anima, la sua cultura, e la parte esterna della materialità fisica, agisce nel mezzo un orizzonte occupato dalla corporeità come simpatie e potenzialità che non genera rappresentazioni ma punti di vista, prospettive, le diverse nature. [8] Ciò che qui è in gioco, nelle popolazioni amazzoniche, è l’interazione tra i corpi, e non l’interiorità o l’anima poiché soltanto il corpo produce l’alterità.[9] Questo si ritrova, secondo l’antropologo, anche nel racconto di Levi Strauss riguardo al primo incontro tra gli indigeni delle Antille e gli spagnoli.
(Eduardo Viveiros de Castro)
Per i conquistatori il problema era stabilire se i Nativi avessero un’anima, per i natii il problema era cercare di capire questa nuova corporeità che si presentava ai loro occhi. Da un lato si interrogava la presenza di un’interiorità, di un’anima nei corpi, dall’altro il funzionamento e il tipo di diversità dei corpi che contenevano le anime.[10] Questo ruolo svolto dai corpi, come marcatori di differenze che entrano in relazione si ritrova, oltre che nella cosmologia dei Nativi, anche nelle pratiche rituali, dove avviene l’incontro fenomenico tra umanità e animalità nell’essere umano. Qui, nel mascheramento degli umani attraverso pelli, piume o altri abiti animali, il Nativo diventa principalmente un animale, diversificandosi nella sua natura corporale. Attraverso questo cambiamento totalizzante del corpo, si vuole manifestare la propria trasformazione, cioè la natura. Diversificarsi al massimo, creare una realtà naturale distinta, pur manifestando una similarità sovraumana dell’anima: questo è l’interesse dei natii[11]. Il corpo è quindi l’organo principale del soggetto (è presente un’anima) essendo però contemporaneamente oggetto, visibile agli altri nella sua massima differenziazione. L’interiorità resta umana, e produce l’alterità rappresentata dai corpi animali. Per questo non può’ avvenire il contrario (non si registra mai infatti), un mascheramento degli animali in umano, come un nuovo vestito. «Quello che si vede sono umani che indossano vestiti animali e diventano animali, o animali che si disfano dei loro indumenti animali e si rivelano come umani. La forma umana è, per così dire, il corpo all’interno del corpo, il corpo nudo primordiale- l’anima del corpo»[12]. Il corpo è il motore in cui avviene la variazione, solo attraverso di esso si può avere una modificazione anche “dell’interiorità”. Tant’è che lo sciamanesimo non è interpretabile come una condizione prettamente religiosa, celeste (come tendenzialmente nella nostra visione), ma è uno stato del corpo[13]. È chiaro che in queste popolazioni non esiste una divisione specifica tra anima e corpo, un dualismo ontologico. Non si tratta qui di rimarcare un’ontologia fissa, anche se diverse, come quelle tracciate da Descola (animismo, naturalismo, analogismo e totemismo)[14] ma semplicemente di prospettive (di andare oltre lo strutturalismo) che agiscono in relazioni molteplici «Corpo e anima sono, appunto, prospettive: il corpo è la sede delle prospettive; l’anima è ciò che il punto di vista ha messo nella posizione del soggetto»[15]. Non esiste una suddivisione specifica tra anima e corpo, una loro specifica rappresentazione. Entrambe sono in sinergia, in combinazione tra loro creando le varie realtà naturali in cui agire. È il ribaltamento della condizione occidentale, in cui vige una separazione tra anima e corpo, così come esiste una separazione tra la natura unica, oggettiva e la cultura parziale e limitata a specifiche soggettività. Questa nostra ripartizione duale, il relativismo, impedisce di vedere le potenzialità soggettive che possono entrare in contatto con l’essere umano ed intessere connessioni. In quest’ottica la natura rimane inerte, ai piedi del soggetto, non operante con esso, semplicemente esterna. Essa viene conosciuta attraverso il distacco, in una non-vivibilità. Si scartano completamente le relazioni, fondamentali nel prospettivismo, per affermare l’assoluta separabilità della natura (riguardo l’ottica scientifica) o di Dio (riguardo le metafisiche occidentali). La molteplicità viene scartata a favore di un consueto dualismo di derivazione monoteistica. Mentre invece «il prospettivismo può essere considerato come un tipo di politeismo radicale (o, piuttosto, di enoteismo) applicato ad un universo che non riconosce nessun dualismo ontologico tra corpo e anima, tra materia creata e spirito creatore»[16]. Per Viveiros de Castro, è essenziale abbandonare il dualismo, ed abbracciare una molteplicità per estendere la visione occidentale. Aprirsi ad un politeismo prospettico, significa ri-considerare da vicino la natura, ri-immergersi in essa, per dar vita a pluralità di nature, in un tessuto d’immanenza relazionale continuo.
Parlare di natura e politeismo, significa parlare anche di James Hillman. La natura nel suo pensiero è connaturata alla psiche stessa, in particolare ad una sua re-visione psicologica. La psicologia archetipica di Hillman si fonda sul concetto junghiano di archetipo, considerandolo espressamente empirico, rintracciabile nel mondo sensibile attraverso l’espressività dei miti reperibili e riscontrabili in ogni ambito della sfera umana (culturale, sociale, religiosa, politica ecc)[17]. Tutto si manifesta attraverso immagini, «esse sono la psiche stessa nella sua visibilità immaginativa»[18]. Sono il fondamento della psiche, il suo cuore centrale. Il soggetto è immerso nelle immagini, così come succede nel sogno. Non c’è il sogno del soggetto ma il soggetto è nel sogno, nelle immagini che lo avvolgono[19]. È proprio per questo, che Hillman insiste nel recuperare la capacità immaginativa, per aderire alle immagini. Quello che avviene è un cambio di prospettiva: il soggetto non immagina, è immaginato. Aderire a questo cambio di visualizzazione, in cui l’immagine e l’immaginazione diventano le caratteristiche principali di questa re-visione psicologica significa trovare l’anima: adottare metaforicamente (scampando da ogni discorso teologico) un nuovo punto di vista, su sé stessi e sul mondo. Il contesto in cui la nozione di anima trova la sua collocazione è nel concetto di anima mundi[20]. Intesa non come una realtà trascendente o un semplice animismo/panpsichismo ma «come quella particolare scintilla d’anima, quella immagine germinale, che si offre in trasparenza in ogni cosa nella sua forma visibile. [21]». Partendo dal concetto creato da Platone, passando per il neo-platonismo di Plotino, e arrivando nel Rinascimento di Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Gian Battista Vico, Hillman riporta in auge l’anima mundi come realtà naturale psichica, uno sfondo comune in cui è possibile rintracciare l’anima in tutte le cose, dalle piante agli animali fino alle creazioni artificiali umane. Aderire a questa concezione vuol dire “fare anima”, produrre un movimento immaginativo che si instaura all’interno dell’anima del mondo, non fuori di essa. Essere al suo interno significa immergersi in una realtà in cui tutte le cose, si manifestano, si auto-presentano, producono uno sguardo indipendentemente dalla nostra reciprocità. Muoversi in un contesto di prospettive, di anime, significa creare una simpatia naturale che agisce tanto all’interno che all’esterno, in un tutto che si avvolge[22]. Il soggetto si ritrova in un contesto pieno di altre soggettività, di interiorità che si palesano attraverso il loro sentire, l’essere manifeste insieme a noi nell’Anima mundi, in questa realtà naturale vivibile con la facoltà immaginativa[23]. Ad un livello strettamente più psicologico, dire questo, significa rivendicare una psiche politeistica secondo Hillman, attraverso il processo di “personizzazione”, che ha la sua finalità nel «salvare la diversità e l’autonomia della psiche dal dominio di un qualsiasi potere singolo»[24]. Così come nell’Anima mundi, nel sogno ci si “ri-trova” in un palcoscenico pieno di altre presenze, di altri attori che rivendicano uno spazio, un luogo. Rimanere intrappolati nell’ottica dell’Io, significa relegare queste “altre” persone nella realtà inconscia, e chiudere ingenuamente gli spazi, la nostra l’immaginazione (essi continueranno ad agire ugualmente nella nostra coscienza)[25]. Applicando un simile comportamento, si agirebbe contro-natura, contro la psiche, e l’atteggiamento che prevarrà sarà dispotico e autoritario. Porgere l’ascolto a queste presenze che ci appaiono, vuol dire rifiutare l’applicazione di un modello monoteistico, e prendere atto di essere un “Noi”, di avere un pantheon. Significa avere diverse anime che interagisco tra loro, e che liberano le potenzialità nascoste dell’individuo, affermando la vera natura psichica, quella politeistica [26]. I miti si muovono allo stesso modo dei sogni. Attraverso la parola immaginativa le divinità diventano vivibili. È possibile entrare in dialogo con loro attraverso l’enunciazione.
(James Hillman)
Il processo di “personizzazione” permette di trasformare le difficoltà psicologiche (complessi) che sono nel soggetto in divinità con cui confrontarsi. C’è una condiscendenza verso una diversa struttura della psiche. Questo processo di “personizzazione” può far scaturire inizialmente anche una resistenza. Accettare che non si esercita più un solo comando nella psiche, può portare ad una decadenza. Non c’è più la stabilità monoteistica di un tempo. Ma Hillman rovescia la prospettiva. Essere descritti come schizoidi o pazzi significa acquisire un nuovo status di sé. Ecco che la malattia può essere tradotta in un Dio attraverso un linguaggio che non fissa una definizione, non condanna ad una malattia ma ad una nuova presa di coscienza. Vengo definito schizoide? Andrò alla ricerca di Ermes-Mercurio. Isterico? Arriverà Dioniso. Totalmente iperattivo o irrequieto? Poseidone mi accompagnerà nel regno degli oceani. I modelli e le immagini archetipiche operano e si susseguono all’interno del soggetto, basta solo accoglierle. Delineare una realtà psichica politeistica, piena d’anima significa per Hillman riflettere anche sulla parola “ambiente”. Inteso come lo spazio in cui ci si muove. Oltre a ritrovare una visione che faccia sentire l’essere umano all’interno dell’Anima mundi, è necessario ri-valutare la concezione di spazialità, di ambiente senza cadere nel dualismo natura/cultura. Questa divisione ontologica, dettata sempre da una supremazia umana (quasi divina) che lacera il mondo in un’opposizione infinita, non permette mai un punto d’incontro tra le parti. Ma essendo l’ambiente, nel suo significato etimologico «ciò che c’è intorno[27]» l’opposizione ontologica svanisce. Cultura e natura sono sullo stesso piano, l’ambiente diventa sia culturale che naturale. Non avviene più una separazione, che in realtà è un processo di subordinazione tra i due diversi concetti ma viene recuperata una visione d’insieme. Si crea un’unità di molteplicità. Parlare di ambiente diventa riscoprire un “ecologia del profondo”: essere in comunanza con il tutto, considerare il mondo un essere vivente. Ritorna la presenza dell’anima nelle cose, come sub-strato per l’immaginazione. L’ecologia del profondo si lega al concetto di providentia, l’ambiente diventa ciò che provvede e che cura[28]. Ogni cosa, oggetto circostante assume importanza non solo per il soggetto ma per l’ambiente stesso che si auto-gestisce. L’esempio più classico di ambiente, come ecologia da riscoprire per Hillman è il giardino. In un’intervista alla saggista Silvia Ronchey affermò che «Il giardino è pieno di metafore, penso in particolare al giardino giapponese dove quest’idea mi è apparsa in maniera chiarissima. Tutto quello che accade nel giardino è pieno di metafore della nostra vita psichica, che si tratti di un ponte, di un sentiero tortuoso o di foglie cadute e questo viene in modo speciale nella poesia giapponese, dove tutte le descrizioni di ciò che succede nel giardino durante il ciclo delle stagioni riguarda al tempo stesso la psiche: le foglie che cadono, la paralisi della vita che riprende in primavera, il movimento dell’acqua, le rocce. Sono tutte esperienze che fa anche l’uomo, solo che non le esprime con lo stesso linguaggio, mentre il giardino lo dice con il linguaggio della Natura»[29]. L’Io anche qui viene ridimensionato per far posto ad una realtà molto più spaziale in cui è possibile riconoscersi proprio da ciò che è posizionato intorno.
Le dicotomie diventano labili e superabili (natura/cultura, soggetto/oggetto, interno/esterno) e tutto viene ripensato così come fa lo stesso ambiente: si pensa da sé. Rifiutare un distacco da esso costituisce il modo più appropriato per capire la nostra essenza[30]. La natura nei pensieri dei due autori esce dal suo consueto significato scientifico. Nel prospettivismo di Eduardo Viveiros de Castro, essa è una realtà nuova, creata dal pensiero degli amerindi attraverso un palcoscenico di corpi che si guardano. Il gioco dei corpi, delle proprie affezioni permette, attraverso una continuità culturale, l’entrata nel proprio mondo naturale. Differenti prospettive generano differenti nature. Non si tratta qui di una differenza sostanziale, come nel nostro pensiero, tra ciò che è interno e ciò che si posiziona all’esterno. Nessuna metafisica ed ontologia fissata. Si afferma invece una metafisica variabile, dipendente dal soggetto che accede ad un punto di vista. Come direbbe Deleuze «il prospettivismo non è la relatività del vero, ma la verità del relativo»[31]. Nella psicologia archetipica di James Hillman, parlare di natura significa riferirsi ad una corretta psiche da ritrovare e risvegliare. Accedere ad una re-visione. Per fare questo è necessario risvegliare l’anima: il soggetto deve accedere ad una prospettiva in cui tutto può essere esperito attraverso l’immaginazione, l’uso delle immagini che costituiscono l’essenza di una corretta natura psichica. Ma non basta, è necessario un contesto: bisogna entrare nell’Anima mundi. Ad una visione del mondo in cui non solo si immagina, ma si viene immaginati, guardati da tutte le altre realtà psichiche. Quello che qui si forma è un contesto plurale e vivo, così come quello che si ritrova parlando di ambiente. Sia nel pensiero di Hillman che in quello di Viveiros de Castro la natura incarna una nuova modalità di essere al mondo. Si esce da un’oggettivazione pura e da una concettualizzazione a-vitale della natura. Si produce uno sguardo verso la natura riprendendo i pensieri primitivi (nel caso di Viveiros de Castro) o filosoficamente sorpassati (in Hillman): si ritorna a ciò che consideravamo antico. Ma non è forse necessario questo antico sguardo per poter dire di conoscere veramente?
Note:
[1] Eraclito, Dell’Origine, Feltrinelli, Milano 2022, p.116.
[2] E. Viveiros de Castro, Lo sguardo del giaguaro, Meltemi, Milano, 2023, p.32.
[3] Cfr. Ibidem.
[4] Cfr. E. Fusar Poli, Metafisiche Cannibali, p. 1.
[5] Cfr. E. Viveiros de Castro, Lo sguardo del giaguaro, cit., p. 33.
[6] Cfr. Viveiros de Castro, Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove, Quodlibet, Macerata, 2019, p.100.
[7] Ibidem.
[8] Cfr. Ibid.
[9] Cfr. Ibid.
[10] Cfr. Ibid.
[11] Cfr. Ivi, p. 109.
[12] Ibidem
[13] Cfr. Ibid.
[14] Cfr. P. Descola, Oltre Natura e Cultura, Raffaello Cortina, Milano, 2021, p. 144. .
[15] E. Viveiros de Castro, Prospettivismo cosmologico, cit., p. 111.
[16] Cfr. Ivi, p. 138
[17] J. Hillman, Psicologia Archetipica, Treccani, 2021, p. 53.
[18] Ivi, p.60.
[19] Cfr. Ivi, p. 59.
[20] Cfr. Ivi, p. 75.
[21] J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, 2002, p. 130.
[22] Cfr. Ibidem
[23] Cfr. Ivi, p.131.
[24] J. Hillman, Re-visione della psicologica, Adelphi, Milano, 1983, p. 80.
[25] Cfr. Ivi, p. 81.
[26] Cfr. Ivi, p. 83.
[27] J. Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1996, p. 196.
[28] Cfr. Ivi, p. 197.
[29] J. Hillman, “Il senso della vita”, a cura di Silvia Ronchey, https://youtu.be/cwA5hI-j6Zs?si=tNZbH9-XwdWec1iF
[30] Cfr. J. Hillman, op. cit., p. 198.
[31] E. Viveiros de Castro, Lo sguardo del giaguaro, cit., p. 43.
BIBLIOGRAFIA:
– Descola, P. 2005 Par-delà nature et culture, Gallimard, Paris; trad. it. di Annalisa D’Orsi, Oltre natura e cultura, Raffaello Cortina, Milano, 2021, p. 144.
– Fusar Poli, E. “Le Metafisiche Cannibali e l’eredità di Deleuze e Guattari”
– Hillman, James. 1996 The Soul’s Code; trad. it. Di Adriana Bottini, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1997, pp. 196-198. 2002 L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, pp. 130-131. 2021 Psicologia archetipica, Treccani. 1975 Re-Visioning Psychology; trad. it. di Aldo Giuliani, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano, 1983, pp. 80-83.
– Viveiros de Castro, E. 2013 La mirada del jaguar. Introducciòn al perspectivismo amerindio, Tinta Limòn, Buenos Aires; trad. it. di Cecilia Tamplenizza, Lo sguardo del giaguaro, Meltemi, Milano, 2023, pp. 32-33, p. 43. 2012 Cosmological Perspectivism in Amazonia and Elsewhere, Hau, London/Manchester; trad. it. di Roberto Brigati, Prospettivismo Cosmologico in Amazzonia e altrove, Quodlibet, Macerata.
Edoardo Serini,
laureato in Scienze Forestali (AN) e laureando in Scienze delle Religioni (PD). I suoi ambiti di studio attraversano la psicologia del profondo, la filosofia religiosa, l’esoterismo e la natura, con particolare riguardo al mondo animale. Oltre agli studi e alla stesura di articoli, collabora nel sito https://substack.com/@metasenso.