La misteriosofia egizia di Schwaller de Lubicz – Umberto Bianchi
Un testo di sicuro interesse, “La scienza sacra dei faraoni”, di R. A. Scwhaller De Lubicz, animato dalla capacità di porre il lettore di fronte ad una dimensione “altra” della civiltà egiziana, non più vista nella mera ottica di una scienza archeologica, che oramai fa il paio con un’arida ricerca ed analisi sociologica. Il De Lubicz parte, invece, dalle tecniche edili con le quali venivano realizzate le costruzioni templari, per portare il lettore nella atemporale dimensione di quelle scienze iniziatiche che, invece, ispiravano la edificazione di quegli stessi templi. Partendo dalla basale considerazione della connessione tra macrocosmo e microcosmo, che anima la narrazione di tutte le scienze iniziatiche, il nostro autore pone un primo e fondamentale assunto: l’uomo riflette nel proprio essere, tutta la costruzione cosmica e viceversa e, pertanto,il Tempio altri non è che il riflesso materico di questo stato di cose.
Il Tempio traspone nella pietra, la fisiologia sacra dell’essere umano, inteso quale vero e proprio catalizzatore del cosmo. E per far questo, lo Schwaller chiama in aiuto il Pitagorismo medesimo, in quanto scienza sacra dei numeri. L’universo, è qui visto come un continuo ed inarrestabile scorrere di fluidi ed energie, nel quale numero e verbo sacro primordiale hanno lo scopo di raffermare e dare un ordine ed una definizione finita, a tale infinito scorrere.
Pertanto, se il numero Uno costituisce l’Unità primordiale che permette il raffermarsi ed il definirsi dello scorrere Infinito, il numero Due ne costituisce il creativo sdoppiamento e la nascita della presa di coscienza dell’alterità e della manifestazione dell’Essere. Ed in questo, il Nostro ci riporta all’hegeliano (ed anche ermetico…sic!) concetto di “autoctisi” in cui Dio o l’Uno o il “Deus Absconditus”, che dir si voglia, prende coscienza di sé solo dando luogo alla creazione, ovverosia sdoppiandosi. Il numero, aumentando di valore e di frequenza, passa dal motivo della sacralità del Tre, in quanto rappresentazione vivente di quella, (tanto cara sempre ad Hegel..), “fenomenologia” del movimento cosmico espressa nel triadico succedersi di Tesi/Antitesi/Sintesi, sino ad arrivare a quella Ogdoade ermopolitana, (presente anche nel pensiero pitagorico, sic!) che, dell’Essere rappresenta l’estroflessione in direzione di una sua progressiva complessità ed oltre.
Quella stessa entità numerica, si fa così determinatrice e numinosa indicatrice di quell’ordine cosmico che, unicamente deriva da un raffermarsi del Chaos e che trova il proprio diretto riflesso, nell’umana fisiologia dalla quale, alfine, dipende. Il numero finisce con il farsi simbolo , da “sum-ballo”/”metter assieme”, elemento di una sapienza muta ed istintiva, in grado di raccordare al proprio interno, una molteplicità di motivi, non categorizzabili per griglie razionali di per sé, limitanti la effettiva valenza di questa sapienza. E’ questa, dunque, per Schwaller de Lubicz, l’essenza di una Scienza Sacra, imperniata sull’istintiva ed analogica comprensione delle infinite manifestazioni delle energie cosmiche, da cui poi promana una costruzione che, stante una parvenza di razionale scientificità, mantiene intatto il proprio fondamento iniziatico e sacrale.
Tutto questo, ci mostra in modo inequivocabile, la natura “teurgica” della religione egizia. A detta della teologia eliopolitana, il mondo è circondato dal Chaos dal quale, sotto forma di Oceano (Nun) (od anche serpente primordiale in talune versioni…), promana il Dio Atum che, con uno sputo o schizzo di seme genera Shu, il vuoto, e Tefnut, l’umidità. In questo affresco mitologico, che vede l’intero creato minacciato dalla continua pressione del Chaòs, l’uomo ha il dovere di collaborare con il divino, al fine di mantenere l’ordine cosmico, assumendo ed introiettando quelle energie cosmiche che lo circondano, sino a diventare, egli stesso, un immortale.
Così come con i Faraoni che, nel ruolo di ponti tra la dimensione divina e quella umana, preparano sé stessi al “post mortem”, al fine della perpetuazione eterna della propria esistenza. Di questa aspirazione, il rito della mummificazione costituisce unicamente il segnale simbolico dell’abbandono e della preservazione delle umane vestigia, al fine di un loro esser ricomposte in una forma potenziata. Come in una rappresentazione di scatole cinesi, il testo del De Lubicz ci mette dinnanzi ad una serie di concatenazioni ed interazioni, alla base del quale sta, però, (e la cosa non deve sorprenderci…) la potestà dell’”Io”, nel ruolo di vero e proprio catalizzatore delle forze cosmiche.
A tal proposito, non andrebbe dimenticato che il Nostro si muove nell’ambito del contesto epocale di una Modernità dei primi decenni del Novecento, caratterizzata senza alcun dubbio, dalla preponderante presenza dell’ “Io” a discapito di quella vecchia metafisica, che il De Lubicz sostituisce invece con una scienza iniziatica, che attinge alle sorgenti più remote ed inconsce della umana personalità. Ne vien fuori uno scenario complesso, in grado di contemperare ed appaiare al proprio interno, sia le istanze di una irrompente Modernità, che quelle di una metafisica, reinterpretata e coniugata secondo i parametri di una vera e propria “Scienza Sacra”.
Bibliografia di riferimento:
- A. Schwaller de Lubicz-La scienza sacra dei faraoni-Edizioni Mediterranee;
- A. Schwaller de Lubicz- Il Tempio dell’Uomo-Edizioni Mediterranee;
- Gardiner-La civiltà egizia, Einaudi Editore;
- Puech H. C.- Le religioni in Egitto, Mesopotamia e Persia-Laterza/collana Biblioteca universale Laterza;
- Christian Jacq- -L’ Egitto dei grandi Faraoni, Mondadori. .
Umberto Bianchi