Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La leggenda della ninfa Clizia – Luigi Angelino
L’idea di scrivere una breve sintesi su Clizia, mi è venuta in un tardo pomeriggio di fine estate, mentre visitavo il parco della splendida Villa Durazzo, situata a Santa Margherita Ligure, in una posizione splendidamente panoramica sul golfo del Tigullio (1). La languida statua della ninfa, raffigurata con l’inseparabile girasole, simbolo dell’intera vicenda, sembrava raccontarmi la sua storia triste e disperata, ma in qualche modo sublimata nella realizzazione di uno stato di coscienza poeticamente superiore.
Nella mitologia greca, si racconta la struggente esistenza della ninfa Clizia che, dopo essere stata ripudiata dal Sole, di cui era perdutamente innamorata, affranta dal dolore, cede alla più totale disperazione. Nelle raffigurazioni, Ella è rappresentata nelle sembianze di una fanciulla piangente, oppure nell’atto di trasformarsi in un girasole, anzi in “eliotropo”, una pianta che era diffusa e conosciuta al tempo degli antichi Greci (2). La leggenda principale vuole che Clizia fosse una delle tanti giovani amate dal Sole, ma che, a differenza delle altre, nutrisse nei suoi confronti una passione bruciante ed esclusiva, tanto da desiderarlo tutto per sé. Il Sole, però, si innamorò di Leucotoe, figlia del re Orcamo e, dopo aver assunto le sembianze della madre della ragazza, lo stesso Sole si introdusse nella sua stanza, finendo col sedurla. Clizia, accecata dall’ira e dalla gelosia, per vendicarsi, riferì l’accaduto al re Orcamo, padre della ragazza che, adiratosi, diede un ordine oltremodo macabro, cioè quello di seppellire la figlia viva in una buca profonda (3). Ma per aiutare Leucotoe, accorse Apollo che adoperò lo stratagemma di cospargere il luogo della sepoltura con un nettare profumato, con il risultato che da quella terra inumidita sarebbe nata addirittura la pianta dell’incenso. Al quadro già delineato, si aggiunge una bellissima e poetica immagine: Clizia, ripudiata da Apollo, trascorre i suoi giorni a seguire con lo sguardo rivolto verso il percorso del carro del Sole, fino al momento che, consumata completamente dal dolore, si trasforma in girasole. E la visione onirica non termina così, perché la mitologia greca concepisce il fiore del girasole come vero emblema dell’anima e dell’essenza di Clizia, eternamente rivolta verso il sole, come se la completa trasformazione della fanciulla non fosse affatto sufficiente per farle dimenticare l’oggetto di un desiderio così forte. In alcune immagini, Clizia è raffigurata nel momento in cui si compie la metamorfosi, in altre, invece, la sfortunata ninfa compare con il girasole posato sul capo o che le staziona accanto. In quasi tutte le immagini, gi artisti collocano sullo sfondo, verso un impenetrabile orizzonte, la presenza del carro del Sole, come a sottolineare l’irraggiungibile meta del cuore distrutto della povera giovane (4).
Il mito di Clizia ha ispirato autori latini importanti, come il grande Ovidio che, nel IV libro delle sue Metamorfosi, narra le dolorose vicissitudini di Apollo, il dio del Sole, indicato come il primo a scorgere gli eventi che accadono sulla Terra. Quando Apollo si innamorò di Leucotoe, secondo Ovidio, avrebbe suscitato l’invidia delle altre amanti del dio ed il dolore immenso di Clizia. Ovidio, con immagini di incomparabile poesia, ci descrive come il Sole inizi a levarsi prima del previsto, a tramontare più tardi, a protrarre le ore invernali ed a sconvolgere l’intero sistema naturale delle cose, solo per avere la possibilità di contemplare la bellezza di Leucotoe. In una visione onirica e, potremmo definire, quasi apocalittica, il tormento del sole innamorato colpisce con la sua luce, ma per amore tende ad impallidire sempre di più, fino ad eclissarsi e a spaventare l’umanità sulla Terra, troppo limitata per poter comprendere i misteri dell’universo. La sventurata ninfa Clizia, allora, che fino a quel momento era vissuta solo in virtù dell’amore esclusivo provato nei confronti del dio, soffre per il tradimento, bramando solo di ricevere caldi abbracci da parte dell’amato, in una attesa interminabile e vana, lunga come il più atroce dei supplizi. Amareggiata per il fatto che Apollo l’aveva abbandonata, anzi che aveva deciso di troncare qualsivoglia contatto con lei, Clizia inizia a consumarsi, rifiutando la compagnia di tutti, non bevendo e non mangiando per nove giorni, ma nutrendosi soltanto di lacrime e di rugiada.
Riporto di seguito alcuni magnifici e plastici versi di Ovidio: “Si racconta che le sue membra rimasero attaccate al suolo e, per il sopravvenire di un pallore livido, parte del colore del suo corpo, si convertì in quello dell’erba esangue. Le restò, però, una zona rossa e un fiore simile alla rosa le coprì il viso. Così essa, pur trattenuta dalle radici, segue ruotando il movimento del suo Sole e anche mutata serba l’amore che aveva per lui”(4). Risulta evidente come Ovidio non descriva nei dettagli il fiore in cui Clizia si trasformò e nemmeno gli attribuisce un nome specifico. Inizialmente la sua descrizione fu identificata con l’eliotropo e con la calendula, poi nella tradizione successiva, in particolare nell’ambito delle arti figurative, si cominciò ad identificare Clizia con il girasole. Nel 1688 il pittore francese Charles de La Fosse (5) raffigurò Clizia adagiata su uno scoglio, in preda alla disperazione: Apollo è in procinto di tramontare in lontananza e la fanciulla lo guarda ancora innamorata ed addolorata, mentre alle sue spalle sboccia un girasole, che segna la progressiva trasformazione ormai già in atto. Il pittore simbolista Louis Welden Hawkins (6), invece, rimarca in particolare la sinuosa sensualità della ninfa, disegnandola di spalle, con il corpo nudo ed i lunghi capelli biondi lascivamente sciolti e adorni di rose. Dietro la giovane donna, alcuni girasoli sottolineano la sua incolmabile ferita d’amore e la solitudine della ninfa abbandonata. Un misto di sensualità e di sofferenza si riscontra in un’altra mirabile opera, nella Clizia rappresentata dalla pittrice inglese Evelyn de Morgan (7), che è immortalata nel momento apicale della sua trasformazione, con una plastica e dolce torsione del corpo che si intreccia con la crescita dei girasoli. L’immagine può essere letta come una metafora dell’ineluttabilità del destino: la ninfa non sembra che si opponga al fato, ma lo accetta fino a perdersi in esso. In letteratura, la figura di Clizia è valorizzata da Eugenio Montale per fare riferimento alla propria relazione sentimentale con la studiosa americana Irma Brandeis (8), nel concitato periodo storico antecedente alla seconda guerra mondiale. Nella visione di Montale , la struggente ninfa assume aspetti stilnovistici, quasi si trattasse di una donna-angelo in grado di salvare l’uomo dall’inquietudine e dal tormento.
La stessa leggenda di Clizia, attraverso il girasole, simbolo di regalità e di devozione, nel suo significato complessivo, può essere definita come la metafora dell’impossibilità di sfuggire al proprio destino, quando la ninfa, pur nel dolore che la affligge e la tormenta, continua ad essere bramosa di seguire la luce del proprio amore che di continuo le sfugge, consapevole del fatto che non riuscirà mai a raggiungerlo.
Note:
(1) Attualmente Villa Durazzo costituisce un polo museale che comprende due dimore storiche nobiliari, un parco-giardino ed un centro di esposizioni artistiche;
(2) Cfr. Igino, Fabulae, 14,20;
(3) Cfr. Luigi Angelino/Elisabetta Munerato, Ritratti Mortali, Cavinato editore International, Brescia 2019;
(4) Cfr. Ovidio, Metamorfosi, IV, 206-270;
(5) Pittore francese (1636-1716);
(6) Artista francese (1849-1910);
(7) Mary Evelyn Pickering (1855-1919), artista conosciuta con il cognome da coniugata;
(8) La figura di Clizia si trova nelle “Occasioni”, la seconda raccolta poetica di Eugenio Montale, pubblicata da Einaudi nel 1939.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.