Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La Giustizia, il filosofo-Re e la città ideale platonica – Lavinia Felicioni
Platone è uno dei massimi pensatori dell’antichità greca; filosofo di origine aristocratica, vede i suoi natali in Atene tra il 428 e il 427 a.C., ivi trovando la sua dipartita tra il 348 e il 347 a.C. Secondo Platone il senso della vita risiede nella ricerca della verità, nella realizzazione della virtù e della giustizia, mentre il compito della filosofia sarebbe proprio quello di aiutare l’uomo nell’avvicinamento e nell’ attuazione di queste concettualità, riflesso del mondo dell’ Iperuranio, sede delle idee immutabili e perfette, non approcciabili dai corruttibili enti terreni. La peculiarità di Platone risiede anche nella sua capacità innata nel trattare realtà che vanno oltre l’ indagine razionale, attraverso lo strumento e la narrazione del mito, uno tra tutti, il mito della caverna, allegoria contenuta nel libro VII della Repubblica(514b-520a), dove viene narrato il percorso di redenzione e di affrancamento dello schiavo incatenato riportato al disvelamento della luce/ verità , illustrando la dottrina delle idee e la connessione tra la filosofia e la politica. In realtà, secondo la ricerca dell’ autrice Geneviève Droz (1), il corpus dei miti platonici sarebbe molto più esteso e articolato , fino a inglobare sedici narrazioni in cui il pensiero del filosofo ateniese assurge a delle concettualità altissime, rendendole fruibili al limitato intelletto umano attraverso semplici allegorie. Platone è allievo di Socrate e maestro di Aristotele, in un momento storico di crisi e grande decadenza morale in cui nel 399 a.C., Atene aveva mandato a morire il più giusto tra gli uomini, Socrate, evento che aveva scosso profondamente le coscienze e spinto Platone all’ orientamento definitivo della sua vita: l’abbandono della vita politica . L’insegnamento di Socrate è dunque il presupposto e l’incipit del pensiero filosofico e politico di Platone, anche se Socrate, scientemente, deciderà di non lasciare scritto alcuno, mentre Platone articolerà la sua filosofia soprattutto in forma dialogica, poiché questo genere letterario, secondo il filosofo, riproduce in maniera pedissequa l’andamento e l’evoluzione della ricerca. Profondamente scosso dal dramma della dipartita del suo maestro, egli ravvede in questo evento il simbolo della crisi non solo di Atene, bensì di tutto il mondo greco arrivato al punto più bieco e becero del suo malessere.
Siamo nel 404 a.C.; Atene è reduce dalla sconfitta nella guerra del Peloponneso, evento a cui si sussegue immediatamente, tra il 404 e il 403 a.C., il fallimento del tentativo aristocratico dei Trenta tiranni (2) e poi la morte di Socrate stesso. Se pensiamo al momento storico e culturale in cui il filosofo nasce e sviluppa il suo pensiero, dobbiamo fare riferimento alla fine dell’età d’oro della Grecia di Pericle a cui sussegue il degrado culturale (e morale), con l’ avvento della Sofistica. Nel Sofista (3), Platone si scaglia contro i capziosi oratori, propagatori di venalità e scetticismo, esortando al superamento della vacuità delle trame retoriche e volendo fare assurgere la filosofia alla scienza, estendendo il concetto di giustizia a quello del sommo bene collettivo, e in tal modo, non solo all’ ordine sociale, ma anche a quello naturale, cosmico, universale, superando la mìmesis (4) che tali offuscatori del vero propagano, dissimulando la vera realtà. L’angoscia e l’amarezza per la terribile condanna di Socrate, fanno sì che egli si dedicherà completamente alla filosofia, nel tentativo e nella finalità di riscrivere le basi della convivenza umana e condurre l’uomo alla massima virtù: la giustizia. La politica è quindi uno dei principali interessi di Platone e un tema circa cui, in generale, i filosofi si sono profusi argomentando moltissimo, a partire dallo stesso Socrate che se ne era occupato sin dalla giovane età , e proseguendo poi con Platone stesso nella Lettera VII e poi , ovviamente, nell’ Apologia di Socrate.
Platone assimila e fa coincidere la giustizia al concetto di virtù propria dell’anima ma anche di verità come massima astrazione da trasporre nel piano umano, dovendo la sua concezione politica aiutare l’ uomo ad elevarsi a concetti di natura trascendente volti alla costituzione e alla base di una società armonica e volta solo al fine collettivo del sommo bene. La politica ha in Platone un carattere fortemente elitario, impostata sul governo dei “migliori”, individui superiori non per ricchezza o casato, quanto per formazione culturale e saggezza. Platone non vede di buon occhio la democrazia, intesa come regime peggiore, per la facilità con cui tutti possono salire al potere pur non essendo adeguatamente formati. In tal modo, la tirannide, deriverebbe proprio da una involuzione della democrazia, a causa dell’eccessiva libertà individuale che degenererebbe necessariamente nell’ anarchia. Platone pone quindi al centro dello Stato evoluto la Repubblica, una aristocrazia in cui a comandare sono i filosofi, descrivendo anche le forme meno evolute di governo che vedono nella tirannia la condizione più negativa: la timocrazia(5) e l’oligarchia (6).
Il filosofo ateniese, che era stato preceduto da Socrate in tale speculazione, nel Politico , 276 a.C, prova a dare una definizione di “politico”, assimilandolo all’ “uomo regale” e ad un “padrone di casa “, un equo moderatore in grado di mescolare e unificare gli elementi che compongono una comunità con giusta misura. Nel Sofista, opera dialogica del IV secolo a.C., il filosofo ateniese cerca di far stabilire ad uno dei protagonisti, lo straniero di Elea, al centro di un dialogo con Socrate, un distinguo tra “sofista” , il “politico” e il “filosofo”. Lo straniero decide di utilizzare il metodo dicotomico-diaretico per affrontare questa indagine. Sempre nel Sofista, in modo più analitico, Platone continua il lavoro intrapreso nel Politico e sviluppa il problema delle idee estendendolo anche a quello ontologico e politico e operando inoltre un distinguo tra scienza conoscitiva, ( di cui l’ arte regale è una parte), dalle scienze pratiche e dividendo, di volta in volta, in due l’ oggetto di ricerca, e, attraverso tutta una serie di considerazioni , arriva ad assimilare l’ immagine del politico a quello del “pastore di uomini” estendendo nel Sofista tale immagine anche a coloro che, in ruoli differenti, si occupano, in modo generico, a procurare semplicemente il bene agli uomini 267 e-268 a.
Nel Politico e nelle Leggi, Platone concentra ulteriormente la sua attenzione sviluppando queste due riflessioni, riconoscendo anche l’effettiva difficoltà nell’ applicazione di queste sue teorie e modelli nella realtà, arrivando nella prima opera a fare una distinzione inconciliabile tra il “filosofo” ed il “sofista”, detenendo solo il primo la capacità politica. Non dimentichiamoci che il fine ultimo della filosofia di Platone è anche e soprattutto etico, dovendo il filosofo ingenerare nell’ uomo ordinario il ricordo e l’acquisizione di conoscenze atte ad istruirlo ed elevarlo in direzione della fondazione di una comunità felice , lo stato ideale , il cui modello è la polis , aiutandolo anche ad uscire dalla percezione erronea delle ombre delle forme, nella condizione della schiavitù della caverna platonica.
In particolare, questo concetto utopico è espresso nella Repubblica, dove Platone analizza la natura dell’ uomo , la sua educazione, la sua formazione spirituale, argomentando circa la giustizia , e presentandola come una virtù, riflesso dell’ Iperuranio mondo delle Idee e proponendo una soluzione di tipo pratico per crearne un modello nella realtà mutevole ed imperfetta delle cose, adombrate dalle ombre e interferite dalla doxa, consigli tesi al disvelamento e al superamento di una realtà caduca , illusoria, transeunte. Il progetto platonico della città ideale viene esposto dal filosofo ateniese in maniera esaustiva in questo lungo dialogo, dove egli delinea la fisionomia della città ideale organizzata in tre classi su modello dell’anima umana, descrivendo tale polis governata da un gruppo di filosofi sovrani e precisando che la giustizia si perfeziona quando ciascuno esplica al meglio la propria virtù e la funzione propria della classe sociale in cui è collocato.
A capo della città ideale vi è il filosofo – Re, esponente della classe aurea, detentore della saggezza, poiché essendo uscito dalla caverna, è in grado di superare gli interessi individuali e particolaristici in generale , trascendendoli, per attuare solo il sommo e comune Bene. Al secondo posto, esponenti della classe argentea, vi sono i guerrieri, il cui compito è proteggere lo Stato, esercitando la virtù del coraggio ed infine i lavoratori, che prestando la loro attività per la collettività, incarnano la virtù della temperanza. A ciascuna di queste suddivisioni corrisponde una parte dell’anima. Il mito del carro e dell’auriga o della biga alata è tratto dal Fedro di Platone e viene interpretato come dottrina della reminiscenza, corollario della teoria delle Idee (7).
L’ auriga è il conducente del carro, la virtù della Ragione che deve equilibrare la parte istintiva dell’ anima umana, (thymoeidès), che lo vuole condurre verso il mondo empirico dominato dai sensi, (rappresentato dal cavallo nero) , mentre il cavallo bianco rappresenta le anime di coloro che in vita hanno ricercato la Verità del trascendente, (epithymetikòn), attraverso lo studio incessante del Logos . Il mito della biga alata rappresenta quindi una anticipazione alla teoria dell’anima (umana) “tripartita” che il filosofo ateniese svilupperà, in seguito, nel lV libro della Repubblica, opera filosofica che consta di dieci libri, redatta approssimativamente, e in forma di dialogo, tra il 380 a.C. e il 370 a.C.. Nel Fedro, redatto da Platone nel 370 a.C., e che prende forma come un dialogo tra due personaggi, Socrate e Fedro, appunto, il filosofo sviluppa la sapienza pitagorica e orfica dell’ascesa dell’anima alla Virtù .
Se conoscere è ricordare, e la conoscenza per Platone è “reminiscenza” ed “anamnesi”, attraverso il mito, l’intelletto viene aiutato ad elevarsi alla realtà di concetti inerenti il mondo sovrasensibile e quindi ad “astrazioni” avulse dai basici processi logico-razionali. Il filosofo ateniese utilizza il mito dell’auriga per descrivere la natura dell’anima umana “tripartita”, ma anche il rapporto tra l’ uomo e il mondo iperuranio delle Idee, paragonando l’ anima dell’ uomo a una biga trainata da due cavalli gestiti da un’auriga. I cavalli sono alati poiché l’anima ha per sua conformazione e natura la tensione verso l’Iperuranio. L’auriga è il conducente del carro, personificazione della parte razionale o intellettiva dell’anima, (logistikòn), che deve equilibrare la parte istintiva e irascibile dell’anima umana verso l’iperuranio rappresentata dal cavallo bianco, thymoeidès, e l’anima concupiscibile, rappresentata dal cavallo nero, epithymetikòn, che lo vuole condurre verso il mondo empirico dominato dai sensi. Il cavallo bianco rappresenta quindi le anime di coloro che in vita hanno ricercato la verità del trascendente, attraverso lo studio incessante del Logos. L’auriga deve riuscire a guidare i cavalli verso l’alto, nella medesima direzione, tenendo a bada il cavallo nero e spronando quello bianco, nella finalità di precipitare il più tardi possibile nella reincarnazione. Infatti, più si ha modo di contemplare l’Iperuranio e più sarà probabile poter rinascere nella qualità di saggi e filosofi, scongiurando la possibilità di venire alla luce come individuo ignorante o completamente avulso dalla filosofia.
Il mito, nel suo complesso, è quindi una allegoria della temperanza, (sophrosyne),che consiste nell’aver raggiunto il dominio dell’anima razionale su quella concupiscibile. Nel IV libro della Repubblica, Platone descrive infatti le tre virtù principali: la sapienza (sofìa), propria della parte dell’anima razionale situata nella testa, rappresentata dall’auriga, il coraggio (la andréia), propria della parte dell’anima passionale o irascibile che trova la sua ubicazione nel petto e la prudenza o temperanza, (sophrosyne), come parte a cui deve tendere l’ anima concupiscibile e istintiva che ha sede nel basso ventre, gradino più basso dell’anima. Va da sé che la forza dei singoli cavalli potrebbe essere maggiore di quella dell’auriga, ma se il conducente ha profonda conoscenza di entrambi, può portare ad un corretto andamento del carro, il corpo umano. Platone precisa che è possibile raggiungere la virtù combattendo i tre vizi che si contrappongono alle virtù di ciascun tipo di anima e come, dall’ unione di queste tre virtù, si possa originare l’armonia nella Città ideale, la cui struttura riflette quella delle anime che la costituiscono. La Giustizia, quindi, scaturisce quando l’anima assolve alla virtù che gli è propria e alla sua funzione sociale.
Tuttavia, nella Repubblica, più che accentuare la visione decadente e mistica e dell’anima, viene soprattutto portata avanti una riflessione politica, rappresentando il legame tra la struttura della realtà e le classi sociali. Va altresì precisato che nella Città ideale non vengono delineati dei peculiari aspetti urbanistici, dato che tutta la Repubblica” è costruita sul paragone sistematico tra la struttura della città-Stato e quella dell’uomo. La città ideale platonica è infatti un’estensione e un ingrandimento esteso nel tessuto urbano della struttura fisica dell’uomo, immaginando la città come un corpo ed un organismo vivente, e così, allo stesso modo, l’uomo è una città vivente, dove alle tre anime che secondo la concezione platonica lo compongono, razionale, passionale e concupiscibile, corrisponderebbero le tre ripartizioni principali della città: acropoli, mercato (agorà) e il tessuto urbano . Questa idea della concezione organica della città verrà ripresa e sviluppata nelle riflessioni urbanistiche sviluppate da Leon Battista Alberti, (1406-1472), architetto, teorico dell’arte e filosofo, tra le personalità più eminenti del Quattrocento, nonché grande studioso della classicità e di Platone dal quale trasse molta ispirazione per le sue concezioni ed opere architettoniche ed urbanistiche.
Francesco di Giorgio Martini, (Siena 1439-ivi 1501), si spingerà anche oltre asserendo che: “La città deve avere ragion, misura e forma del corpo umano“. In queste riflessioni viene ripreso il principio della “zonizzazione”, (suddivisione funzionale delle aree urbane secondo la professione), principio di cui si era avvalso il più noto degli urbanisti e primo architetto greco, Ippodamo da Mileto, 498 d.C. – 408 a.C., il primo ad utilizzare e teorizzare schemi planimetrici regolari nella pianificazione delle città, con piante in genere a griglia o a scacchiera. Questi studi fanno parte di una serie di trattati sulla città ideale, che nei primi due decenni del Cinquecento vennero pubblicati in grande numero e di cui la Sforzinda (8) del Filarete (9) è l’esempio più importante, riproponendo il quadrato ed il cerchio, geometrie che negli ambienti neoplatonici esprimevano perfezione e sacralità. Platone nel ‘500 è ancora ispiratore di fortezze militari, fino ad arrivare ad essere il principale motivatore di Fra’ Giocondo da Verona che, a sua volta, con la sua Veduta della città ideale (1513), ispirerà Tommaso Campanella nella redazione della Città del Sole.
Conclusioni
Poiché la realtà sensibile è imperfetta ma risponde comunque a modelli matematici che riflettono, a loro volta delle geometrie cosmiche, Platone ci fa comprendere l’importanza della razionalità che ci conduce a trasporre il vero modello del mondo delle idee nella realtà della città ideale, espressione della giusta misura e delle regole innate. Naturalmente, per Platone la città ideale non è una meta utopica, quanto l’organizzazione di un governo e di un modello che era già esistito in un tempo remoto e che solo un governo oligarchico di filosofi può tornare a trasporre nella realtà, non avendo come fine che la massima attuazione del bene collettivo. Le anime che hanno goduto della vista dell’Iperuranio, distratte dai sensi che le hanno richiamate a ridiscendere nel mondo della forma, avendo insite in loro stesse questi modelli, devono esercitare un’ attenzione estrema. La finalità’ è quella di non farsi distrarre dall’arte, mìmesis, che replicando falsamente le cose, già a loro volta, copia delle idee, onubila la realtà. Per il pensatore greco, l’individuo deve infatti puntare al noumeno, a ciò che giace al di là dell’apparenza, per focalizzarsi solo sul ricordo delle idee, emblema della legge e della ragione universali, concettualità elevatissime che verranno riprese nel XIX secolo prima da Kant e poi da Schopenhauer. Secondo il filosofo ateniese infatti, l’arte, la poesia, la lirica e l’epica conducono l’uomo solo al piacere il cui stimolo, perpetuandosi, genera il perpetuarsi del dolore. L’areté propria delle grandi personalità risulta incompatibile con tali eccessi e cerca il trascendente, superando ogni relativismo delle visioni soggettive.
Note:
1-Geneviève Droz, filosofa e insegnante contemporanea di Filosofia al liceo di Montepellier.
2- “Trenta Tiranni” o i “Trenta” , è una dicitura con cui gli storici designano un regime oligarchico instaurato ad Atene nel 404 a.C. , dopo la sconfitta contro Sparta nel contesto della guerra del Peloponneso.
3- Sofista, dialogo di Platone dei cosiddetti dialoghi della vecchiaia che interessa temi di carattere ontologico.
4- mìmesis s.f. di derivazione greca, mìmesis è intesa come una copia , una imitazione della realtà.
5-Timocrazia, dal gr. timokratìa, comp. di timē,”censo” e di un deriv. di kratèō, comando: forma costituzionale in cui i diritti ed i doveri dei cittadini sono stabiliti in base al censo.
6- Oligarchia, dal gr. oligarkhìa, comp. di olìgoi “pochi” e di un der. di àrkhō comando, designa la concentrazione del potere effettivo nelle mani di una ristretta minoranza, operante perlopiù a proprio vantaggio.
7- Mondo o Teoria delle Idee : “L’idea platonica è il modello unico e perfetto della molteplicità delle cose imperfette di questo mondo.” , NicolaAbbagnano – Giovanni Fornero, Filosofi e Filosofie nella Storia , vol.primo pag.124.
8- Sforzinda, città immaginaria su cui si fonda il Trattato di Architettura, fatto risalire al 1464 circa, di Antonio Arvelino detto il Filarete.
9- Filarete, soprannome di stampo umanistico di Antonio di Pietro Averlino, o Averlulino (Firenze, 1400 circa- Roma,1469), e’ stato uno scultore, architetto e teorico dell’architettura italiana.
Lavinia Felicioni