Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La Donna e l’Iniziazione – Emirene Armentano
Scrive Giustiniano Lebano (1831-1910)[1], maestro di Giuliano Kremmerz, nel capitolo V° intitolato “I misteri della verginità” di un manoscritto inedito dedicato alle antiche iniziazioni “Un fatto speciale caratterizza l’iniziazione data ai Romani da Numa [2], è l’importanza tipica data alla donna, sull’esempio degli Egiziani che adoravano la divinità suprema sotto il nome di Iside”. Nelle iniziazioni dell’antica Grecia sono le Baccanti che rubano il segreto iniziatico a Iacco che a Roma prenderà il nome di Bacco:
“…e Numa domanderà le sue ispirazioni alla saggia e discreta Egeria [3] la dea del mistero e della solitudine. Ciò che deve assicurare l’avvenire di Roma è il culto della patria e della famiglia. Numa l’ha compreso ed egli impara da Egeria come si onora la madre degli dei. Gli innalza un tempio sferico sotto la cupola della quale brucia un fuoco che non deve estinguersi mai. Questo fuoco è custodito da quattro vergini che si chiameranno vestali e che saranno circondate da onori straordinari se esse sono fedeli, punite con rigore eccezionale se esse mancano alla loro promessa. La tradizione magica di tutte le epoche accenna alla verginità come a qualche cosa di soprannaturale e di divino. La donna non è più la schiava orientale, è la divinità domestica”.
Continua Giustiniano Lebano nell’opera su citata: “La prima conseguenza del peccato di Eva, è la morte di Abele. Separando l’amore dall’intelligenza, Eva l’ha separato dalla forza, divenuta cieca ed assoggettata alle cupidigie terrestri diviene gelosa dell’amore e lo uccide. Poi i figli di Caino perpetuano il delitto del loro Padre. Essi mettono al mondo delle figlie fatalmente belle, delle figlie senza amore, nate per la dannazione degli angeli e per lo scandalo dei discendenti di Seth”.
Citando le due tradizioni classiche, quella romana e quella ebraica, Lebano mette in evidenza due tratti comuni alle antiche civiltà: il ruolo predominante della donna nel contesto sacro della famiglia, un ambito che con lo scorrere del tempo si è gradualmente degradato e nei tempi moderni si è fatalmente vanificato dando luogo ad un tipo di famiglia che ha perso totalmente i valori fondamentali del sacro e dell’amore. Il ruolo della donna non deve essere catalogato secondo l’epoca in cui essa vive; questo è un errore di base sul quale tenteremo di fare luce per quanto ci sia concesso di farlo.
La donna per sua natura è l’essere che nell’ordine universale ha un ruolo molto preciso cosi come ogni essere vivente in ogni sua forma ha un suo ruolo molto preciso e direi fondamentale per l’equilibrio cosmico. Ebbene, questo ruolo è quello del silenzio e del raccoglimento del suo segreto che accoglie la vita e la rende adatta a questa realtà nella quale sta per calarsi. Questo, diciamo cosi, “contenitore della vita” che solo la donna può avere, le dà inevitabilmente le qualità di interscambio con una realtà non più fisica che renderà la sua natura sensibile atta ad accogliere la scintilla divina. Questo compito la porta inevitabilmente a essere più riflessiva, attenta e aperta alle influenze di un mondo sconosciuto ai più ma nello stesso tempo le dà la possibilità, attraverso l’attenta osservazione di quello che le succede, di essere il tramite tra il mondo invisibile e visibile, rendendo quest’ultimo partecipe della completezza dell’opera divina.
Poter cogliere dentro di sé la parte invisibile dell’essere è una dote poco capita e valutata. Questa possibilità le dà i mezzi di una creazione fisica e palese a tutti ma le può aprire anche la possibilità di una creazione che vada al di là del mondo sensibile, essendo allo stesso tempo ragione e possibilità effettiva dell’essere creato e non più soltanto ricettacolo passivo. Che questo processo non venga inteso e che oggi la donna abbia dato ali a una esistenza basata soprattutto sugli interessi legati al mondo materiale, è un dato di fatto e questo comportamento le allontanerà sempre di più dalla loro vera natura e dalla loro vera ragione di esistere. Sicuramente questo comportamento va a discapito di un equilibrio che si è spezzato, basato sulla inconsistenza di una competizione inutile con l’altro sesso senza capire il loro posto privilegiatissimo nello scenario universale. L’errore sta nel fatto di prendere in considerazione soltanto questo modello di esistenza senza intuire il perché siamo qua, qual è il nostro compito e ruolo in tutto questo e principalmente come possiamo, attraverso le possibilità che ci sono state date, andare oltre la realtà fisica e immedesimarci con la nostra vera origine.
E come non ricordare in un testo dedicato alla donna la sua importanza nell’amore? E qui occorre essere molto chiari perché sul tema dell’amore la confusione nel mondo moderno è grande. Senza voler ricorrere alle sublimi parole di Platone quando ricorda la differenza tra l’amore “pandemio”, cioè volgare, che induce ad amare i corpi piuttosto che le anime, e l’amore “uranio”, ovvero celeste, differenza che potrebbe indurre a diverse considerazioni, occorre pensare nella “giusta misura”: noi siamo fatti di corpo e di spirito e non si può amare solo con l’uno o con l’altro, senza correre il rischio di cadere in un bieco materialismo o in un astratto misticismo. La donna faccia attenzione al silenzio e all’accoglienza del mistero che avviene NATURALMENTE dentro di sé e capirà la sua vera natura.
Note:
1 – Giustiniano Lebano nacque a Napoli il 14 Maggio del 1832. Fin dai primi anni mostrò ingegno svegliatissimo e grande inclinazione agli studi letterari. Fu affidato perciò alle cure dei più valorosi e rinomati insegnanti. Studiò il diritto civile col celebre Roberto Savarese, il diritto penale col consigliere Caracciolo, il diritto canonico e il diritto di natura e delle genti col canonico Soltuerio e con don Vincenzo Balzano, vicario dell’Arcivescovado. Aveva appena 21 anni, quando, abilitato agl’esami dal canonico Apuzzo, conseguì la laurea in Giurisprudenza. Cominciò subito ad esercitare l’avvocatura con felice successo. E nello stesso tempo insegnava privatamente diritto civile e canonico e pubblicava opere scientifiche e letterarie che levavano gran rumore per le discussioni a cui davan luogo. Nel luglio del 1854 fu iscritto nell’albo dei procuratori della Corte d’Appello. Il giovane Lebano, allievo d’insegnanti quasi tutti preti e gesuiti, avrebbe dovuto avere idee naturalmente assai retrograde. Pure, fosse l’educazione paterna, fosse il grande acume con cui aveva studiato i classici, fosse, che è più, l’elevatezza dei suoi sentimenti, non tardò ad iscriversi alla società segreta Giovine Italia, della quale divenne in breve tempo un adepto così prezioso ed importante che d’un tratto fu innalzato alla carica di Gran Maestro del Rito Egiziano, il cui precipuo intento era non pure l’indipendenza e l’unità della patria, ma anche la caduta del potere temporale dei papi. L’opera sua di cospiratore fu efficacissima fino al 1870. Si narrano varii aneddoti caratteristici circa i mezzi, dei quali si serviva sia nella propaganda delle idee liberali, sia nell’eludere la severa vigilanza della polizia. Ne ricordo uno assai curioso. Nel 1852 si pubblicava a Napoli il “Cattolico”, giornale diretto da preti. Ebbene – chi lo crederebbe? – proprio su quel giornale Giustiniano Lebano stampava prose e poesie, che mentre sembravano ispirare a sentimenti borbonici e clericali, per chi sapeva leggere sotto il velame delli versi strani, celavano le idee più ribelli, le accuse più atroci e terribili contro il dispotismo. E quei preti baggei non ne capivano un frullo, con gran gusto del Lebano e de li altri patrioti come Vanni e Fucci. Sennonché i cento occhi di Argo della polizia riuscirono a scoprire nel Lebano ciò che ai preti del “Cattolico” era sfuggito. E lo spiavano di continuo seguendo ogni suo passo. Ma egli seppe accoccarla anche ai suoi segugi. Avvertito che sarebbe stato arrestato da un momento all’altro, andò a cercar rifugio in un monastero, il cui padre guardiano, che era suo intimo amico e che nutriva sentimenti liberali al par di lui, gli fece radere i baffi e indossare le lane di S. Francesco. Un commissario di polizia andò una sera dal padre guardiano, e questi gli presentò il Lebano non ricordo sotto qual nome di frate. Giustiniano Lebano si divertì un mondo col commissario, che andava appunto in cerca di lui e che di lui parlò per l’intera serata, giurando e spergiurando che presto avrebbe avuto fra le sue unghie un essere così pericoloso. Il girono dopo il finto frate con una bisaccia addosso varcò i confini del Regno e, non molestato, riparò a Torino, portando seco una copiosa corrispondenza ai patrioti ivi esulati. Durante la sua dimora in Piemonte ebbe occasione di conoscere gli uomini più illustri del nostro risorgimento. Ritornato a Napoli nel 1860, riprese l’esercizio dell’avvocatura. Il Ministro Raffaele Conforti, che molto lo stimava, lo nominò subito deputato della commissione filantropica dell’esercito garibaldino. Compiuto scrupolosamente quest’incarico, altri importanti ed onorevoli ufficii egli ebbe dallo stesso ministro Pisanelli, come quelle di membro della Commissione per la compilazione delle liste elettorali, di deputato per gli alloggi dell’esercito italiano, ecc. Anche il Municipio di Napoli volle attestargli la sua fiducia nominandolo presidente del Comitato che colle rendite del comune distribuiva beni ai poveri della città per rendere men cruda la loro miseria, che in quell’anno era grandissima. Per queste ed altre benemerenze, il Lebano ottenne vari titoli onorifici. Nel 1868, perduti tre figli, assalito da una indicibile tristezza, si ritirò in una villa presso Torre del Greco. La moglie Verginia per tale irreparabile perdita, fu presa d’alienazione mentale, e si fece a consagrare alle fiamme, titoli di rendita, oggetti d’oro, documenti di famiglia e politici. Il famigerato brigante Pilone, che faceva delle continue scorrerie per quei d’intorni, tentava di catturarlo. Il governo mandò al Lebano due guardie che scongiurarono il pericolo. Le opere di beneficenza di Giustiniano Lebano sono innumerevoli. Nel 1870 una grande carestia affliggeva i campagnoli di Torre del Greco. Il Lebano dal novembre al maggio anticipò ai suoi coloni oltre seicento quintali di farina e mille quintali di granturco. Diede loro anche trecento quintali di zolfo per le viti. In quel medesimo anno, comperata una proprietà a Torre Annunziata, per dar lavoro agl’operai disoccupati, mise su uno studio di commercio Ciò che più gli fa onore è la fondazione di tre ospizi pei poveri, di due orfanotrofi e di due istituti per fanciulle, uno a Sorrento e un altro a Palma Campania. Specie a quest’ultimo egli consacra tutte le sue cure e dà gran parte delle sue sostanze. Largamente munifico, è benedetto da tutti i sofferenti, che ricorrono a lui o per consigli o per aiuti. Nelle ultime elezioni amministrative fu eletto consigliere, e poi assessore del comune. Non è a dire lo zelo ch’egli pone nel disimpegno dell’officio suo. Giustiniano Lebano sembra più giovane di molti giovani d’oggi. Ha fede invitta nelle magnanime idee di umanità e di progresso. E questa fede gli perpetua la gioventù. Dal suo volto roseo e ancor fresco spira una simpatia fascinatrice, un’aura di sconfinata dolcezza.
Egli vivrà ancora molti anni, perché ha forse un’alta missione da compiere. Studia e scrive sempre. Interroga le pagine polverose dei più antichi scrittori, i quali nella solitudine della sua villa, posta alle falde del Vesuvio, sulla via che da Torre Annunziata mena a Boscotrecase, lo incoraggiano a perseverare a far bene. Checché gliene avvenga. Innanzi a Giustiniano Lebano in tempi di egoismo cinico e ributtante, quali sono i nostri, chiunque serba un culto per la virtù deve riverentemente inchinarsi. Egli è il più grande filantropo di Torre Annunziata e sto, per dire, di altrove. Ed io che ho avuto l’inestimabile fortuna di conoscerlo sono orgoglioso di dirmi suo sincero e caldo ammiratore.” (Rivista “L’Irno” 1901). Ulteriori notizie sulla vita di Sairtis trapelano da varie riviste tra cui “Politica Romana”, da cui sappiamo che egli fu dignitario della massoneria ufficiale del Grande Oriente, della Società Teosofica, del Rito di Memphis di Pessina e poi dei riti egiziani unificati da Garibaldi. Molti sostengono che durante il suo soggiorno in Piemonte il Lebano abbia stretto contatti con il conte bolognese Livio Zambeccari (1802-1862) che fu cospiratore del primo Risorgimento, colonnello garibaldino e principe di Rosacroce del Rito scozzese, e che l’8 Ottobre del 1859, con altri sette fratelli massoni costituì la Gran Loggia Ausonia. Lebano certamente fece parte, assieme al barone Spedalieri e a Pasquale de Servis allora ex sottoufficiale del genio Borbonico, di un circolo martinista operante a Napoli sin dalla fine del settecento in stretti rapporti con la Società Magnetica di Avignone facente riferimento ad Eliphas Levi. Il Lebano, nome iniziatico Sairtis, incontrò i maestri più in vista del suo tempo quali lo scrittore Edward Lytton durante un soggiorno a Londra nel 1850. In seguito la famosa fondatrice della Società Teosofica Helena Petrovna Blavatsky volle incontrarlo soggiornando per circa tre mesi all’hotel Vesuvio di Torre del Greco.
2 – Numa Pompilio (715-673 a.C.) è stato il secondo re di Roma e diede a Roma tutte le leggi civili e religiose;
3 – La ninfa Egeria, una divinità che si occultava sulle rive del Tevere, dettò a Numa tutte le leggi sacre che governarono i romani per oltre un millennio. Numa, più che ottantenne, si unì spiritualmente a Egeria e ne fece la sua sposa.
Emirene Armentano Sestito
Un ringraziamento particolare all’autrice del presente saggio ed alla Fratellanza Ermetica – Delegazione Latino – Americana (http://www.fratellanzahermetica.org/) per la preziosa collaborazione.