La Divinità del mondo e la sua conoscenza nella tradizione classica greco – romana – Giandomenico Casalino
È necessario, senza infingimenti di sorta, prendere atto consapevolmente che la catastrofe spirituale dell’Europa viene da lontano, da molto lontano. Discende, tra l’altro, dall’aberrante scissione e dall’insano antagonismo provocati dalla sopravvenuta credenza cristiana: da una parte il Sacro, la Religione, la Metafisica, dall’altra il Mondo, la Vita, la Natura medesima. Agli occhi della nostra Tradizione, che è quella Classica greco-romana, tale dissidio tra Sacro e Scienza è un non senso, è pura follia, oltre che atto empio frutto di sostanziale ateismo. Infatti, nella Tradizione Classica, come in ogni sana e vera Tradizione, il Mondo è vissuto, nel senso di pensato con il cuore, come un gran corpo animato e sacro, manifestazione visibile dell’Essenza invisibile dello stesso, che è immanente il Mondo medesimo. Pertanto, conoscere il Mondo, la Natura, la Vita, significa conoscere, vivendo, la sua essenza, la sua Idea (in termini platonici) come forma eterna dei viventi, quindi conoscere il Sacro, il Metafisico che è fondamento eziologico del fisico, suo archè.
La convinzione, in sé ortodossa e fondata sul buon senso dell’uomo della Tradizione, che è quanto dire l’uomo della normalità, è che, quella che i moderni chiamano realtà, non è altro che una specie di un genere molto più ampio e che la «natura» medesima non è solo il mondo dei corpi e delle forme visibili, fisima fideistica stupidamente ingenua e grossolana, ma è essenzialmente una parte del mondo Invisibile, come l’ordine dell’Essere è il Celato agli occhi solo umani. Questo è il realismo platonico tradizionale: dove si conosce la sostanza, la causa, il noumenico, quindi la vera realtà di ciò che appare, del fenomenico, del transeunte e pertanto dell’irreale. La nostra anima come intelletto (nous) conosce solo le forme, perché essa è forma e poiché esiste solo ciò che è (ed ha) forma, ciò che non ha forma non esiste e quindi non è conoscibile. In tale discorso è collocato il principio fondamentale della sapienza ellenica: l’identità tra essere e pensiero e la primazia del primo sul secondo!
La pretesa e pretenziosa «conoscenza» dei moderni è irreale, poiché non si tratta di conoscenza ma di teoria, che può essere o materialistica, fondante solo sul grezzo mondo dei corpi, o spiritualistica, fondante su intellettualistiche astrazioni (gli «ismi» delle varie ideologie), veri e propri parti cerebrali. In fin dei conti, l’esperienza dei moderni, al di là delle pur contrastanti loro ideologie e fedi religiose, è quella di coloro i quali non sanno cogliere che cose corporee, o mediante gli alquanto depauperati cinque sensi o mediante le proiezioni tecnologiche degli stessi. Per contro, nel mondo della nostra Tradizione, la Natura non è «pensata», bensì vissuta e solo mediante l’esperienza dello Spirito (intuizioni, visioni ed ispirazioni trasmessi iniziaticamente) le Forze e le Potenze che fanno le cose, sono conosciute perché esperimentate, dal momento che il soggetto agente diviene esse medesime, nel senso della conoscenza dell’Essere di cui parla il “gnóthi sautón” delfico e cioè nel (ri)conoscere la somiglianza ontologica tra l’anima dell’uomo e l’anima del mondo, tra pensiero (logica) ed essere (metafisica), come insegna, d’altronde, Hegel in virtù del suo platonismo. Dèi, Dèmoni od Eroi rivelano la «fisica» che è conoscenza vivente dei misteri della natura e, quindi, delle forze del Sacro che agiscono in essa: pertanto la «fisica» è teologia, poiché attraverso la materia fornita dai sensi, proviene la luce delle essenze metafisiche: l’Oro dal Piombo! E se la “Fisica” è Teologia e il “Sovrannaturale” è nella Logica che è ontologia, Hegel, affermando tutto ciò, ripropone, in piena modernità, l’arcaica sapienziale teologia come scienza del Tutto, dell’Intero. La scienza naturale è pertanto contemporaneamente scienza spirituale, essendo la natura un grado di manifestazione dello spirito stesso ed i Simboli sono aspetti e gradi di approssimazione alla Conoscenza unica. Tale è il sostrato, come abbiamo detto, tanto della filosofia dello Hegel come dei grandi Miti naturali greco-romani, nonché della Filosofia Ermetica la quale, essendo Arte, è Tecnica Divina, poiché il suo «oggetto» sono gli Elementi Viventi, vale a dire i mitologici Dèi e Demoni quali forze delle cose e non le cose, dette volgari e comuni: la verità del Ferro non è la sua apparenza sensibile in quanto tangibile ma la sua Anima e cioè l’Invisibile.
Inoltre, la stessa Tradizione Ermetica appare, ad occhio attento e come insegna lo stesso Evola, la «sofia» occulta, la trama interna della medesima Tradizione Classica; dal momento che, se la prima afferma la Cosa Una, la seconda afferma la medesima verità, sia in termini mitico-religiosi (l’unità divina del mondo) che filosofico-politici (la teologia dell’Impero). Il dualismo cristiano ha spezzato tale unità che è quella, prettamente tradizionale, della Trascendenza Immanente: ponendo financo in contrasto il Sacro nei confronti della Natura, che il cristianesimo considera decaduta, e, come è noto, «massa diaboli et perditionis». Da ciò deriva (ecco la causa remota di cui innanzi) la concezione laico-modernistica della natura, falsamente postasi in alternativa alla religione, essendo invece figlia diretta della sconsacrazione del mondo, operata dalla credenza cristiana. Se è vitale tentare di riunificare Scienza e Religione, per giungere alla Scienza Sacra, che è la Scienza del Vero e dell’Essere, è indispensabile superare, negando radicalmente, non solo le materializzazioni moderne del cristianesimo (cartesianesimo, scientismo), ma il cristianesimo medesimo come loro causa culturale. È necessario ritornare a dare la preminenza alla Sapienza, alla Gnosi, negate dal cristianesimo il quale ha fondato il Sacro, il Divino, sulla fede: bisogna scegliere tra la psichica ed esterioristica fede e la metafisica sapienza; si ripropone, dunque, l’antico dilemma! Non si può tentare di superare l’effetto (il modernismo) coniugandolo con la sua causa (lo psichismo ed il disperato dualismo cristiano). Ritornare alla Scienza Sacra, cioè all’esperienza diretta e vissuta della natura, vuol dire innanzitutto ritrovare tutto ciò che abbiamo perduto: i nostri Valori, la nostra religiosità, il nostro atteggiamento nei confronti del Divino, in una parola la nostra Tradizione Classica.
Vi è da dire che, trovandoci in stato di metastasi avanzata di quel male originario, dietro ed oltre le sue necrogene produzioni, ormai sedimentate benché incrinate (il mito dello scientismo, la favoletta evoluzionistica, la fede razionalistica) si affacciano dei secchi e puliti sguardi nei confronti della realtà che, pur restando nella dimensione fenomenica, proprio perché liberi da pregiudizi fideistici, di natura spiritualistica (nell’accezione corrente e/o dominante del termine) e di natura empirico-fisicistica, tutto sommato sembrano «confermare» la stessa Conoscenza Tradizionale, anche se la stessa non ha punto bisogno di tali argomenti «probatori». Sta di fatto, però, che quando si guarda la realtà senza lenti deformanti e riduttive, essa appare per quella che è, cioè un Cosmos unico e vivente, composto da un insieme di Forme legate tra loro da un rapporto funzionale ed organico. E forma nella microbiologia vuol dire informazione, cioè sapere, conoscenza, memoria, progetto genetico unico, come è il caso, per esempio, dell’embrione umano.
Pertanto, al di là dei falsi miti, vecchi e nuovi, ci si accorge lentamente che per capire la parte è necessario comprendere il tutto esprimendo, con un diverso linguaggio, ciò che hanno insegnato Parmenide, Platone, Aristotele, Plotino, Ermete Trismegisto, Proclo, Giorgio Gemisto Pletone, Jacob Bohme, Hegel sino a Julius Evola, ultimo dei sapienti pagani. Il senso profondo, infatti, di un Lorenz, di un Eysenk, di un Capra; della stessa scuola (anzi Gnosi) di Princeton e di scienziati tradizionalisti come un Sermonti ed un Fondi, è proprio questo: si è detto, si è scritto, ci si è illusi, prima nell’avvento del Regno Galileo poi in quello della Ragione illuministica ma, alla fine, immobile come la montagna, ci attende, per la verifica, la filosofia perennis; nella tempesta spirituale odierna, le isole di salvezza sono non nel nostro passato, ma nel nostro eterno: nella Tradizione Classica greco-romana.
Giandomenico Casalino