Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Kingdom Hearts: l’intelaiatura dei legami e l’ontologia di J.-L. Nancy – Simone Santamato
Solitamente, perlomeno per quanto mi riguarda, è proprio da una titolazione lampo, intuitiva – avente un retrogusto inconfondibile di “eureka!” –, che sovviene, poi, un tema scheletrico dal quale poter infine organizzare un’argomentazione che sia strutturata e discorsiva. In questo caso, non è così e, in modo del tutto inconsueto, e per questo svecchiante una soggettivissima formula che ormai mi è stante stretta, mi accingo a scrivere questo articolo non partendo da una intuizione, come detto, bensì dalla forma – ritengo irresistibile – della gettatezza, della irrequietezza tempestosa tipica di un coinvolgimento insopprimibile.
Abbiamo già trattato, nel corso specie della mia collaborazione con la rivista di Ereticamente inerenti alla diffusione di un sapere libero, frizzante, ermetico ma non per questo escludente –, di opere quali anime e manga dandone una contestualizzazione filosofica e non solo[1]. Grazie alla sempre gentile rivista Ereticamente che ha accettato la pubblicazione dei suddetti lavori, ho anche potuto personalmente aprirmi a collaborazioni di rilievo che, cosa più importante, mi hanno reso particolarmente entusiasta di quanto fossi riuscito a comunicare – specie in un ambiente, quello culturale occidentale, che, temo, abbia ancora qualche difficoltà ad aprirsi alle opere, specie più attuali, dell’Oriente nipponico.
Quanto quest’oggi vi presentiamo, e che speriamo possa essere equivalentemente apprezzato, è una serie di appunti intorno ad un’opera, stavolta videoludica, decisamente più rinomata al grande pubblico, ma che ciononostante crediamo meriti una più grande attenzione nei contesti più culturalmente elevati, soprattutto per quelle che sono le interessanti riflessioni filosofiche che essa intavola in modo tanto soffice quanto dolce – specialmente perché armonioso frutto di una collaborazione tra una software house[2] Giapponese, Square Enix, e nientemeno che Disney. Di fatti, Kingdom Hearts è un crossover tra gli universi della serie videoludica Final Fantasy, appartenente a Square Enix, e le serie di animazione Disney.
Come Tetsuya Nomura, direttore della serie ed ideatore dell’intera sua struttura narrativa, afferma nella Ultimania[3], nella parte dedicata al primo Kingdom Hearts, tutto quanto avesse in mente originariamente, e quanto poi ha continuato sempre più intrecciando il concetto, era una storia della quale il fulcro dovessero essere i legami: narrare la potenza di questi ultimi, la loro influenza su degli individui interpersonalmente implicantesi e, quindi, la loro simbiotica significazione nel campo dello svilupparsi delle individualità a con-tatto. Nel corso di questo pezzo, prenderemo in considerazione non la trama dell’opera in questione, quanto le istanze speculative che essa riesce a dischiudere attraverso il suo – come a breve meglio espliciteremo – complicatissimo intreccio.
Infatti, è sempre complesso – se non propriamente titanico – presentare opere di narrativa, specie attenzionando le loro intrinseche riflessioni, di qualsiasi natura esse siano, perché, come intuibile, qualsivoglia speculazione presuppone un’interazione praticamente necessaria, coercitiva, con l’intreccio elaborato. Inequivocabilmente, vi sono storie la cui narrazione, lineare ed immediata, permette una presentazione del nastro comprensibile e semplice; altre, invece, sono caratterizzate da una intelaiatura diegetica intricatissima ed ingarbugliatamente interconnettentesi, ed a causa di questo non permettono uno scioglimento della narrazione altrettanto scorrevole. Dandosi queste due possibilità diametralmente opposte, nella fattispecie della serie di Kingdom Hearts ci ritroviamo senza alcuna ombra di dubbio nelle storie della seconda tipologia – ed anzi: ivi rientrando, si potrebbe davvero dire come ne possa rappresentare la quintessenza, un’apoteosi di fili narrativi contortissimi ed alle volte addirittura difficilmente delineanti un messaggio comunicato coerentemente. Vorremmo specificare, infatti, come la serie abbia, attualmente, più di una decina di titoli al suo conto e come, ognuno di questi, si incastoni nella linea narrativa contribuendo, alcune volte pesantemente, altre superficialmente, alla cristalizzazione della macro-narrazione – nonché al suo scioglimento. In altre parole, il reticolo narrativo della serie si personalizza attraverso moltitudini importanti di filamenta ciaschedune delineanti un necessario punto di convergenza nell’economia del disegno reticolare intero: non vi sono titoli pubblicati fuoriuscenti dal binario diegetico, e proprio a causa di questo – di questa quantità considerevole di filamenta da dover tenere di conto –, la messa a fuoco del reticolato nella sua considerazione generale può facilmente diventare un’operazione disordinata ed elitaria.
(J.-L. Nancy)
Se, però, si volesse trovare un tema fondamentale percorrente l’intero reticolo, questo sarebbe sicuramente quello dei legami: seppure in modo assolutamente proteiforme, mutevole e cangiante tanto repentinamente da sembrare alle volte irriconoscibile, esso è inopinabilmente il leitmotiv dell’intera serie e costantemente sostanzia le azioni dei vari personaggi – indiscriminatamente dalla bontà dei loro fini. Ancora più approfonditamente, non si dà, all’interno dell’economia dei personaggi di Kingdom Hearts, una individualità che si ponga indistintamente rispetto alle altre singolarità: ogni personaggio è coerente rispetto alla sua persona nella misura in cui arriva ad interfacciarsi con altre entità che lo assicurino rispetto alle sue intenzioni; così come gli Heartless – i “senzacuore”, massima espressione della vacuità cui si arriverebbe perdendo la propria luce –, pure privi di coscienza, o comunque godenti di una forma di consapevolezza del reale coincidente solo con il proprio istintivo fine, tendono all’aggregazione ed all’assalto in gruppo, così i Nessuno, sopravvivenze vacue ed insensibili di individui cui il cuore è andato perso, ma che attraverso una volontà ferrea possono conservare il proprio corpo, si associano nell’Organizzazione XIII. Lapalissianamente, tanto vale per i personaggi effettivamente possedenti un cuore, come i protagonisti, Sora, Kairi, Riku etc., che, infine, formeranno a loro volta, insieme ad altri, il gruppo dei Guardiani della Luce. Al contempo, la focalizzazione dei legami in Kingdom Hearts non assume i tratti di una mera esperibilità sociale, o comunque collettivizzata, di quest’ultimi: la tematizzazione del legame avviene attraverso la considerazione dell’individualità di ogni personaggio che, in-sé, è foriera di tutti quei legami allacciati i quali, infine, permettono alla sua propria persona di potersi delineare, istituire, esplicitare quanto più consistentemente possibile.
Quanto più fortemente si voglia esprimere nell’opera, è il fatto che l’auto-determinazione delle varie singolarità, nella loro costituzione di sé stesse nell’ambito del loro divenire persona individuata di sé, passa attraverso l’intreccio dei legami tessuti che sia c’interfacciano all’alterità, sia ci propongono, affermandolo, un disegno della nostra sostanzialità più intima; il soggetto, se posto, gode di autocoscienza – ovverosia di consapevolezza della propria soggettività – quando è nel campo della inerenza e della relazione inter-individuale. Ciò ci viene visivamente e metaforicamente esemplificato proprio attraverso un luogo, spesse volte presente nei vari titoli, che si fa significante della portata dei legami che ineriscono ad una individualità: il Tuffo nel Cuore, tra le altre cose sede del tutorial del primo e dell’ultimo gioco, è rappresentante il culmine essenziale di ogni singolo soggetto e, in quanto tale, proprio per quanto detto, è anche dolcemente custodente tutti i legami dei quali è stato protagonista l’individuo eventualmente in questione.
È quindi or ora chiaro come la speculazione dell’intero media abbia a che vedere con la volontà dei suoi autori di dirimere l’intricata questione intorno al ruolo delle soggettività all’interno del contesto dell’insopprimibile e necessitata inter-individualità: laddove il ragionamento non tocca, in questo caso, sponde di matrice sociale o etica, inevitabilmente però approccia quelle di tipologia ontologica – inerenti, come poc’anzi detto, la strutturazione delle individualità nel loro essere-in-relazione. Questo tipo di interesse tange anche particolarmente la filosofia di Jean-Luc Nancy, le cui tesi indicano sempre verso un’interrogazione circa lo statuto ontologico degli individui nel loro irreprimibile ed incoercibile essere relati, co-implicati, gli-uni-con-gli-altri. E nei confronti di una socialità dell’essere, nei riguardi di una sua contestualità poggiante su un impianto sociale la cui coerenza deriva da una organicità di regolamentazioni contingenti fondanti lo stare-insieme, egli si esprime attraverso un linguaggio concettuale avente una dizione convintamente ontologica: per poter parlare giustamente di socialità dell’individuo, è necessario, dapprima, indagare il suo statuto ontologico dimodoché, infine, possa venire fuori la sostanzialità dell’essere-in-comunità – che poi comunque sarà intrecciata rispetto alla sostanzialità del singolare. Se «[…]il sapere spontaneo della società – la sua <comprensione preontologica> di sé stessa – è un sapere sull’essere stesso, in assoluto, e non su una regione particolare e subordinata dell’essente[…]» (J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, Einaudi, Torino, 2020, p. 79), va abbastanza da sé che la propedeutica all’indagine del sociale è rappresentata dalla consistenza ontologica delle singolarità che, in-con-tatto, spartiscono, parcellizzano, intelaiano, comunicano l’essere.
All’interno di quello che penso possa unanimemente considerarsi il testo principale della filosofia di Nancy, il succitato Essere singolare plurale, l’interrogazione dell’autore intorno al senso dell’essere nella sua congenita inerenza al campo del soggettivo trova un punto di svolta: il soggetto, in quanto tale nel suo posizionamento singolare, è, cionondimeno, indissolubilmente relato; la relazione – con l’alterità – è quanto sostanzierebbe, perciò, in-sé-e-per-sé, la condizione del singolare. Esso, in questo modo, è giocoforza riconoscentesi nella sua singolarità determinata – alla quale non può comunque che concettualmente accedere, poiché sempre calato nel mondo delle relazioni – solo attraverso l’esperienza del plurale: il soggetto come tale, così, è da considerarsi indifferenziatamente singolare plurale. E se le soggettività sì descritte, in quanto Esserci, sono modalità dell’essere, è allora necessario che anche questi, in quanto tale, sia, infine, singolare plurale. L’essere nancyano è risultante da un processo interminabile ed in-terminato che pone singolarità e pluralità in una relazione in cui l’una fa da contraltare all’altra senza che, però, infine si giunga ad un ribaltamento delle due parti; l’essere per come pensato da Nancy è eufonicamente istituentesi nel campo del relato stesso che, come tale, pone in con-cordanza le parti delle quali si compone; anzi, l’essere è coincidente con la relazione stessa identificandosi quasi con essa. L’essere è nella relazione, è la relazione, è la spartizione, è l’inter-con-nessione, è «[…]un valore assoluto che è l’essere-con di tutto ciò che è[…]. Ma l’esistenza è con: oppure niente esiste» (op.cit., p.8).
L’esperienza narrativa dei protagonisti di Kingdom Hearts sembra continuamente percorrere il binario concettuale costruito da Nancy: i legami che prendono vita tra i personaggi, siano essi protagonisti, aiutanti o antagonisti, dispiegano esistenzialmente il senso della presenza di questo o quel personaggio che ontologicamente andrà rivedendosi in-sé a partire da questo o quel legame che ha allacciato. È particolarmente emblematica la scena che chiude Kingdom Hearts Birth by Sleep Final Mix[4], corrispondente al finale segreto del titolo[5], dove, attraverso l’esposizione di un personaggio, Ansem, ci viene delineato il panorama di legami che Sora, protagonista dell’intera serie, è riuscito a tessere con tutte le individualità che ha toccato; «Un ragazzo come lui – dice – che tocca così tanti cuori, può aprire la porta giusta, e salvare tutte quelle persone la cui vita io ho rovinato». E ancora, in Kingdom Hearts III, per affermare se possibile con più vigore e fermezza l’intersezione perfetta intercorrente tra la costituzione ontologica dell’individualità ed i legami che questa contempla, quando Sora è chiamato a ristabilire la fisicità dei protagonisti, il viaggio che compirà avrà come matrice il dover ristabilire i legami che contraddistinguevano ogni personaggio: l’integrità singolare è inerente la pluralità delle relazioni, dei con-tatti, dei legami, e la restituzione della corporeità di un individuo ha a che vedere con il riassestamento del suo tessuto relazionale.
Non tutto quanto Nomura abbia tentato di fare gli è riuscito egregiamente, ed anzi: molto di quanto ha sperimentato, spesso narrativamente, è stato culminante in un baratro dal quale si riemerge solo con la forza dell’affezione dell’utente, e del riassestamento diegetico ad opera dell’autore che, molto spesso, non può che essere un’operazione rudimentale d’incollaggio con scotch ed un po’ di saliva. Emblematico è come Turner Benjamin di GameSpy, già nel 2002, recensendo il primo capitolo della serie – dapprima che quindi ve ne fossero altri ad approfondire il contesto narrativo –, asserisse, con ben poca ironia e molta schiettezza (che comunque, vorrei dire, dà quel tocco ironico amaramente inconfondibile), come «[…] the story fails to gel thanks to a confusing mish-mash of vague terms and symbolism that probably made more sense in the director’s head than in this final product» («[…] la storia fallisce a consolidarsi a causa di un confuso miscuglio di terminologie vaghe e di simbolismi che probabilmente avevano più senso nella testa dell’autore che non nel prodotto finale»)[6]. Kingdom Hearts, però, nel suo obiettivo fondamentale – quello, come abbiamo detto, di essere una storia sul senso dei legami, e narrante di questi –, non ha tendenzialmente mai sbagliato un colpo e di questo bisogna dargliene conto; se tutto quanto circonda la tematica dei legami è spesse volte sofferente di una sensatezza pacchiana, e di una presentazione se possibile ancora più sgangherata, il fulcro, l’anima, il cuore dell’opera trova asilo nell’intreccio narrativo in modo affascinante, elegante e grazioso. Come una vera e propria opera Disney.
Note:
1: Ivi, la mia pagina autoriale presso la rivista Ereticamente, attraverso la quale si possono recuperare i contributi in questione – e non solo: www.ereticamente.net/author/simonesantamatogmail-com
2: In Italiano “casa di sviluppo”, è generalmente un’azienda il cui lavoro è inerente la creazione di software della più eterogenea natura.
3: Cfr. Kingdom Hearts Ultimania: The Story Before Kingdom Hearts III, Dark Horse Comics, Milwaukie, 2021.
4: Prequel al primo titolo della serie, e forse il capitolo che più di tutti, insieme a 358/2 Days, si focalizza intorno alla significazione dei legami.
5: Di seguito, il link alla scena della quale parlo, dal minutaggio proposto fino al minuto 11:45: https://youtu.be/hPlBXoC_D00?t=211 URL consultato il 27/03/2022.
6: Qui puoi recuperare la recensione: http://ps2.gamespy.com/playstation-2/kingdom-hearts/540394p2.html
Simone Santamato