Julius Evola, un filosofo in guerra: la quarta edizione ampliata del saggio di Gianfranco de Turris – Giovanni Sessa
Gianfranco de Turris è l’intellettuale che più si è speso per far conoscere l’opera di Julius Evola. Il suo lavoro, già significativo per la curatela della riedizione critica dell’intero corpus evoliano presso le Edizioni Mediterranee, oltre che per monografie in tema, è ora arricchito dalla pubblicazione della quarta edizione del volume, Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945, nelle librerie per Mursia (pp. 300, euro 24,00).
Un libro importante che si concentra su un arco della vita di Evola che va dal 25 luglio del 1943, alla metà degli anni Cinquanta. L’introduzione è di Giuseppe Parlato. La ricostruzione dell’autore è minuziosa, risultato di anni di ricerche su documenti noti e meno noti, fondata su un lavoro di scavo condotto in archivi, biblioteche e su un numero cospicuo di missive di Evola o a lui indirizzate, nonché su testimonianze dirette di contemporanei. In Appendice, è raccolta una parte della vasta documentazione su cui il libro è costruito. L’autore discute la più significativa bibliografia prodotta in argomento, sottolineandone, a seconda dei casi, gli aspetti positivi, oppure smascherando le falsità, fatte circolare ad hoc, per sminuire il personaggio.
Al suo apparire, il libro ebbe immediato successo di pubblico e critica. La quarta edizione che presentiamo, ampliata, rivista e corretta, in qualche modo sembra, su quegli anni concitati, risolvere, almeno in parte, i dubbi e i “forse”, lasciati in sospeso nelle precedenti edizioni. Le novità più rilevanti della quarta edizione ci paiono le seguenti: la testimonianza dell’avv. Stefania Parola, nipote dei Sig.ri Ricci, che occupavano l’appartamento al piano sottostante a quello in cui risiedeva Evola. La donna spiega che il filosofo, sfuggito alla “visita” dei servizi americani, si rifugiò, per alcuni giorni, presso i nonni, dai quali ottenne la valigia in cui raccolse il materiale di «UR» e «KRUR», da portare con sé nella rocambolesca marcia che, lungo le Vie Flaminia e Cassia, lo condusse verso Nord (percorso ricostruito in una cartina in Appendice). La testimonianza di Fabio De Felice chiarisce molti particolari dell’incontro che il filosofo ebbe con i “giovani nazionali”, quando, nel 1950, era ricoverato a Bologna. Questi lo condussero alla II Assemblea del Raggruppamento Giovanile del MSI, presentandolo, nientemeno, che come un reduce della RSI!
Ma i documenti davvero più significativi sono quelli inerenti al soggiorno viennese del tradizionalista. Essi ricostruiscono la frequenza evoliana del milieu rivoluzionario conservatore della Capitale austriaca, ipotizzando perfino dei contatti con Marcella d’Arle. De Turris svela il nome che Evola si era dato in Austria, Carlo de Bracornes, ricavandolo dall’epistolario intercorso tra il pensatore e Walter Heinrich, e aggiunge, riferendo i risultati delle ricerche in tema di Sandro Consolato, trattarsi del nome di un aristocratico sabaudo del secolo XIX. Viene, inoltre, pubblicato un rapporto medico anonimo dell’ospedale dove Evola venne ricoverato dopo l’esplosione della bomba del 21 gennaio 1945 (bombardamento indubitabilmente americano!) in cui compare l’anamnesi dello stato di salute del pensatore e le terapie cui venne sottoposto. Sino ad ora si era sempre ipotizzato che Evola, subito dopo il bombardamento, fosse rimasto paralizzato agli arti inferiori. Dall’esegesi della cartella clinica si evince, al contrario, che furono le terapie applicate, inadeguate alla patologia di Evola, a far peggiorare e degenerare la situazione. Leggiamo, infatti: «verso fine luglio 1945 il paziente è in grado di camminare per circa 300 metri e salire e scendere 30 gradini», ma, come attestato da Mariano Bizzari, medico e accademico di fama, consultato dall’autore: «l’adozione di terapie incongrue – roentgenterapia e farmaci acetilcalino simili – ha […] aggravato le condizioni in termini di ipertono che ha finalmente esitato in un quadro stabile di paralisi progressiva». Medesime informazioni possono essere tratte dalla lettera di Evola a Erika Spann del 12 maggio del 1946 (che contiene rilevanti informazioni sullo stato d’animo del filosofo).
Di grande importanza anche le considerazioni relative all’ archivio Preziosi. L’unica cosa certa in tema è che dodici casseforti di color verde, dopo mesi di viaggio, giunsero nell’aprile del 1945 a Desenzano, presso gli uffici di Preziosi. A riguardo, de Turris spiega che l’archivio era composto di 4 parti diverse. Precisa, inoltre, che il materiale che a Roma Rauti consegnò a un prelato (poi paradossalmente finito forse negli archivi del PCI), era semplicemente la collezione della rivista «La Vita Italiana», che nulla aveva a che fare con i documenti massonici. Il volume è un’opera di ricostruzione e contestualizzazione storica, in termini stilistici ha il tratto del biografismo anglosassone, attento a far partecipare empaticamente il lettore alle vicende narrate. De Turris in ciò è stato agevolato dalla vita di Evola, molto simile a quella di tanti protagonisti delle spy stories. Saggio storico che si legge d’un fiato, dalla prima pagina all’ultima. Un testo, peraltro, costruito per cerchi concentrici ed aggiunte successive. L’incipit della narrazione prende avvio dall’8 settembre 1943. Evola si trovava in Germania in quanto, ambienti politico-militari tedeschi attivati da Preziosi, ne avevano chiesto la presenza, al fine di ricevere chiarimenti sulla “situazione italiana”. Dopo il 25 luglio egli aveva scelto di rimanere a Roma, non solo per motivi contingenti, ma per constatare chi e che cosa, dopo il crollo del regime, poteva essere considerato utile per la rinascita politica. Il filosofo ebbe immediata contezza del fallimento del piano fascista mirato a liberare Mussolini e si mosse tra Monaco, Berlino e il Quartier generale di Hitler, come ci racconta negli articoli estremamente dettagliati, che pubblicò sul quotidiano romano, Il Popolo italiano.
Evola a Rastenburg, cittadina della Prussia orientale sede del Quartier generale di Hitler, assistette alla nascita, tra molte perplessità, del nuovo stato fascista, assieme a Pavolini, Vittorio Mussolini e Preziosi. Rientrò a Roma, all’aeroporto di Guidonia, la sera del 18 settembre. Il pensatore era certo dell’inevitabilità della sconfitta, ma convinto della necessità di battersi fino allo stremo. De Turris dimostra che nel periodo badogliano il tradizionalista non cercò affatto di accreditarsi presso i nuovi padroni. Infatti, nella lettera del 9 agosto ’43 chiedeva che gli fosse riconosciuto un arretrato guadagnato prima del 25 luglio e si batteva per la nascita di una “destra tradizionale” in un progetto, il Movimento per la Rinascita d’Italia, cui parteciparono Costamagna e Balbino Giuliano. Viene ribadita l’importanza del dossier del dott. Dussik, da cui si ricava la data esatta del bombardamento viennese e viene confermata la presenza di Evola presso il prof. Peto in Ungheria, al fine di ottenere un miglioramento del suo stato di salute.
Un libro ricchissimo di informazioni, imprescindibile, che fa luce su un periodo rilevante della vita del filosofo.
Giovanni Sessa