Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Julius Evola e l’idealismo, tra Benedetto Croce e Giovanni Gentile – Luca Valentini
“…se l’uomo può o no dare una certezza e un senso alla sua vita e alla sua esperienza – non può venire dimostrata teoreticamente: essa può venire decisa non per un atto intellettuale ma per una realizzazione concreta –“ (1).
Il rapporto tra Julius Evola e l’idealismo, lungi dal rappresentare la cosiddetta fase “filosofica” del tradizionalista italiano, in realtà esplicita la prima conquista ontologica del proprio percorso esistenziale ed esoterico. Quanto emerge dai testi sull’Individuo Assoluto e soprattutto nell’ambito delle riflessioni sull’Idealismo Magico presuppone che il tema gnoseologico ovvero della conoscenza non possa essere legato ad una determinazione astratta, ma ad una fase esperienziale diretta, ove lo iato tra conosciuto e conoscibile è e possa essere superato. Pertanto, l’idealismo che può essere sublimato rappresenta essere per Evola una prassi filosofale più che filosofica, che determina una prima acquisizione di una natura magico – ermetica: non sussiste un ente cosmico che si differenzia dall’individualità umana e caduca, soggetta alle influenze di questa modalità eteronoma, ma può e deve realizzarsi un Io attivamente trascendente, che conosca il mondo perché ha iniziato a conoscere se stessi, permanendo, in guisa filosofale nell’idealismo, una verità ermetica, l’identificazione non solo spirituale, ma anche spazio – temporale tra Uomo – Mondo – Dio, quali tre fasi fenomeniche di uno stesso processo conoscitivo, che solo lo smarrimento moderno e cristiano presuppongono quali differenti, successive, se non addirittura opposte. Nel percorso evoliano inizia ad emergere ciò che nell’idealismo classivo (Böhme, Hegel,…) veniva definito l’ “Abgrund” ovvero il centro oscuro di consapevolezza, il punto focale ove l’Io si contrae e si espande, si dissolve e si coagula ermeticamente, per determinare una prima acquisizione di identità con il Dio:
“L’attività speculativa del filosofo, che tenta di comprendere la creazione nel suo telos e in tutti i suoi aspetti, rappresenta in effetti il completamento o compimento dell’autoriflessione dell’Infinito” (2).
In tale ambito, si inserisce la nuova edizione delle lettere di Julius Evola a Benedetto Croce e Giovanni Gentile – “Julius Evola – Le Radici dell’Idealismo – Fondazione Julius Evola – I Libri del Borghese, Roma 2022” -, scritte tra il 1925 e il 1933, grazie alla sapiente curatela di Stefano Arcella, con un’introduzione di Hervè A. Cavallera, un’appendice di Alessandro Giuli ed una postfazione di Giovanni Sessa. Nello specifico, il merito che va decisamente ascritto al curatore è quello di aver ricostruito con scrupolo documentale e filologico l’ambito culturale entro cui nacquero e si svilupparono i rapporti tra il tradizionalista e i due maggiore esponenti della cultura e della filosofia dei primi del ‘900, appunto Croce e Gentile. Emerge un quadro preciso e per nulla casuale, di un incontro non fortuito tra un Evola in fase di formazione, ma non semplicemente filosofo, e due intellettuali che solo nella vulgata generale poco hanno avuto a che spartire con il mondo della spiritualità e soprattutto dell’esoterismo.
Nell’ambito del beneplacito crociano presso le edizioni Laterza per la pubblicazione delle opere evoliane “Teoria dell’Individuo Assoluto” e “La Tradizione Ermetica”, ma anche per la ristampa a sua cura dell’opera alchimica “Il mondo magico degli Heroi” di Cesare della Riviera, un insospettabile interesse del filosofo italiano emerge
“nei confronti dei testi esoterici del ‘500 e del ‘600 in Italia, sull’attenzione che egli aveva per gli studi eruditi che affioravano negli anni Venti del ‘900 nei riguardi della tradizione alchemico – ermetica rinascimentale, nonché sulle influenza filosofiche che, nella sua formazione, erano alla base di questa sua attenzione per l’esoterismo italiano del Rinascimento e del ‘600” (3).
Le stesse frequentazioni di Croce, oltre che presso specifici circoli culturali napoletani, anche dello stesso Evola, come documentato nel testo, sembrano non essere stati casuali, come quella con Reghini (4), citata meritoriamente da Arcella, ma anche con un certo Vincenzo Verginelli (appellato “Vinci” da Gabriele D’Annunzio), discepolo diretto dell’ermetista napoletano Giuliano Kremmerz e punto di riferimento centrale, per il Circolo Virgiliano di Roma, nell’ambito della Fratellanza Terapeutica di Myriam per tutto il dopoguerra, il quale ebbe una tenera frequentazione con Elena, la figlia di Croce stesso (5).
Sempre l’ambito idealista, è il tema di confronto che permise ad Evola di rapportarsi con l’attualismo di Giovanni Gentile, a cui Stefano Arcella dedica un capitolo specifico “Il fiore che non sboccia. Un tentativo di confronto fra Weltanschauung tradizionale e idealismo attuali stico” (6). Si palesa nell’opera un richiamo arcaico comune, lo stesso che ricollegò l’idealismo classico all’ermetismo tramite Böhme (7), ancor prima che in Hegel, ma una inconciliabilità fattuale. Seppur felice debba ritenersi la familiarità in Gentile tra estetica originaria e modalità magica, così come evidenziata da Giovanni Sessa nella sua postfazione (8), seppur nell’atto gentiliano è possibile ravvisare una prima esperienza mistica, il logos assume e permane nel suo semantema decandente “dianotico”, quale mera attività discorsiva conoscitiva. Non si realizza l’incontro – anche con Spirito, come specifica nella sua Appendice Alessandro Giuli –, ma permane una piacevole frequentazione, perché Evola attua il salto che Croce e Gentile non operano, quello dalla Diánoia, quale ragione deduttiva e riflessa, alla Nóesis, quale intuizione intellettiva esprimente una conoscenza diretta, folgorante, non riflessiva, l’identità:
“La scienza in atto è identica con il suo oggetto” (9).
D’uopo, invece, per la sublimazione magica dell’idealismo, così come espressa e vissuta da Evola, è riportare il termine “logos” al suo significato originario: non più discorso o parola espressa, ma Pensiero inespresso, Noûs, Minerva operante, sfera dell’intellegibile ove hegelianamente ed ermeticamente l’Intero esprime il Tutto e l’Uno, senza opposizioni.
La filosofia, in conclusione, dimostra sempre a ciò che in nuce si riferisce, ma che nel corso dei secoli ha irrimediabilmente smarrito ovvero “l’identità tra verum e factum” (10), onde un processo regressivo di specchio, indi di speculazione, che non consente il riconoscimento autentico della dimensione originaria. Un’ombra può essere una buona traccia per rimettersi in cammino per il ritrovamento della luce autentica, a patto che ci si convinca che un’ombra tale è e permane, non confondendola neanche con una luce effimera. Il rapporto tra Julius Evola, Benedetto Croce, Giovanni Gentile ed il mondo dell’idealismo e culturale italiano, serve anche a suggellare tale assunto irriducibile e a non limitarsi nell’approfondimento evoliano, avventurandosi anche nelle sue opere maggiori ovvero quelle magiche e meditative. Non vi è solo Orientamenti, insomma … !
Note:
1 – J. Evola, Saggi sull’Idealismo Magico, Casa Editrice Atanor, Todi – Roma, 1925, p. 14;
2 – G. A. Magee, Hegel e la tradizione ermetica, Edizioni Mediterranee, Roma, 2013, p. 113. Nella postfazione al testo, di Giandomenico Casalino, non casualmente, nella disamina dei rapporti tra platonismo, ermetismo e filosofia hegeliana, viene riproposta l’intuizione evoliana: “E’ il Sapere fondato sulla concordanza necessaria, prettamente platonica, tra le leggi del pensiero e quelle della realtà…” (p. 295);
3 – Le Radici dell’Idealismo, riferimento nel testo, p. 24:
4 – Ivi, p. 55;
5 – Ibidem. Numerose informazioni in merito sono disponibili nel testo curata da Enzo Tota e Vito Di Chio, Vinci Verginelli, SECOP Edizioni, Corato (BA), 2016;
6 – Le Radici dell’Idealismo, op. cit., p. 99ss;
7 – Emile Boutroux, Jakob Boehme o l’origine dell’Idealismo tedesco, Luni Editrice, Milano, 2006, p. 70: “L’uomo possiede dunque tutte le condizioni della libertà, e può, a proprio piacimento, inabissarsi in sé o trovarsi effettivamente, rinunciando a se stesso”, in cui la rinuncia si presuppone essere la destrutturazione dell’Ego, per una piena affermazione dell’Io;
8 – Le Radici dell’Idealismo, op. cit., p. 174ss;
9 – Aristotele, De anima, III, 431 a, 1;
10 – Le Radici dell’Idealismo, op. cit., p. 44.
Luca Valentini