Il volo dell’anima: il ruolo sapienziale della falconeria nell’Europa medievale – Manuele Testai @
Il primo dicembre del 2016 , durante l’undicesimo Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’umanità, svoltosi nella città di Addis Abeda in Etiopia, la falconeria italiana viene riconosciuta ufficialmente come “Patrimonio Immateriale dell’Umanità”, aggiungendosi alla lista che ad oggi conta ben 18 paesi: Italia, Belgio, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Austria, Ungheria, Mongolia, Kazakistan, Pakistan, Marocco, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Siria, Arabia Saudita e Corea. In una cultura come quella attuale, in cui si tenta di distruggere segni e simboli del nostro passato, l’ingresso di una disciplina millenaria come la falconeria nel patrimonio immateriale dell’Unesco, può essere considerato come una grande vittoria. Baluardo vivente di una tradizione arcaica, prerogativa della classe nobiliare, da sempre simbolo di virtù eroica, la falconeria, ovvero l’arte di cacciare con l’ausilio di uccelli rapaci, attraversa popoli e confini. Nata in area euroasiatica e indoiranica intorno al 6000 a.C, si è diffusa successivamente in tutto il mondo, trovando proprio in Europa il suo apogeo, grazie soprattutto al lavoro di divulgazione svolto dall’Imperatore Federico II di Svevia che in un periodo compreso tra il 1239 e il 1248 scrisse il più importante trattato europeo di ornitologia e caccia con gli uccelli da preda di tutto il Medioevo: il De Arte Venandi cum avibus.
Tuttavia, sebbene il De Arte Venandi sia oggi il trattato maggiormente conosciuto, esistono manoscritti ancora più arcaici dai quali, molto probabilmente, fu ispirato lo stesso Federico II. Primo tra tutti, il De Avibus tractatus, in cui il filosofo Adelardo di Bath, affronta temi riguardanti lo studio delle malattie dei rapaci. Ma il trattato che per secoli godette di maggior diffusione e autorevolezza tra i signori d’Europa fu il Dancus Rex. Redatto presso la corte Normanna di Sicilia, mette in evidenza il ruolo regale e filosofico della falconeria. La falconeria viene infatti descritta da un certo Re Gallaciano, come l’arte sapienziale di far catturare da un rapace addestrato un mammifero o un uccello. Il De Avibus Tractatus narra della storia di un Re dal nome Gallaciano, che decide di rinunciare al suo Regno per diventare suddito di un certo Re Danco, da cui avrebbe appreso l’arte della Falconeria. La rinuncia volontaria al potere e alla regalità costituisce un atto simbolico da cui è possibile scorgere l’importanza che assumeva l’addestramento dei rapaci per gli uomini del tempo. Sebbene la falconeria sopravviva ancora oggi, assumendo forme e modalità diverse come la riabilitazione, l’allevamento dei rapaci per la reintroduzione in natura e le gare sportive, la componente sapienziale è stata, almeno per quanto riguarda l’Occidente, rimossa. La cultura moderna ha deciso di declassare quest’arte al rango di hobby e passatempo. In particolare, le trasformazioni ideologiche prodotte in seguito alla Rivoluzione francese, e soprattutto l’avvento delle armi da fuoco, ebbero un impatto notevole sia in campo bellico che venatorio. Questi nuovi strumenti di controllo tecnologico sulla natura sancirono il definitivo distacco rispetto ai tradizionali procedimenti di interazione e modellazione con essa (Boccassini, 2003).
Il sodalizio millenario tra uomini e falchi
Fin dalle epoche più remote gli esseri umani hanno venerato gli animali come fossero Dei. In tutte le tradizioni sapienziali, cani, lupi, uccelli, cavalli hanno assunto una vera e propria funzione simbolica. Dal culto dell’animale di potere all’animale totemico, la presenza del simbolismo animale ha caratterizzato i rituali religiosi, le pratiche magiche, l’insieme dei miti dell’intero bagaglio culturale di ogni società. Un simbolo può essere definito come una matrice da cui prende forma un pensiero e un comportamento, un vero e proprio linguaggio che sottoforma di immagini o ideogrammi svela significati apparentemente nascosti bypassando il filtro della coscienza. Alcuni simboli, come ad esempio quello del Falco e, più in generale, quello dell’uccello rapace, oltre ad essere comuni in culture anche distanti tra loro, sono sopravvissuti fino ad oggi. Basti pensare alle compagnie industriali o a tutte quelle squadre sportive che adottano l’emblema del falco nei loro loghi. La domanda che sorge spontanea è: per quale motivo questo animale ha assunto così tanta importanza da essere considerato ancora oggi un simbolo di forza, coraggio e determinazione?
Qualcuno risponderebbe che il motivo sia da ricondursi al fatto che si tratti del retaggio di un pensiero primitivo, che vede gli animali come oggetto di proiezione da parte dell’uomo. Sebbene non si possa negare che l’uomo abbia da sempre proiettato la propria immagine sulla natura, cercando di comprendere qualcosa in più su stesso e sul mondo, la risposta rimane tuttavia senza risposta. Perché alcuni animali dovrebbero suscitare in noi certe reazioni rispetto ad altre? Per quale motivo un animale suscita coraggio e ammirazione in tutti i popoli della terra, mentre un altro suscita sdegno? Siamo abituati a pensare che l’essere umano proietti sé stesso su piante, cose e animali. Se invece fossero proprio gli animali, attraverso i loro comportamenti a parlarci di noi?
Un simbolo si rivela infatti ai nostri occhi in base alle impressioni che lascia quando si prende contatto con esso. Gli animali, dal punto di vista simbolico, quando compaiono negli scudi dei guerrieri antichi, nei loghi delle aziende moderne o quando ci appaiono in sogno, rappresentano delle vere e proprie esperienze istintuali personificate. Attraverso la loro immagine veicolano messaggi nascosti svelando parti di noi stessi e ci aiutano a comprendere attraverso l’esperienza diretta il più intimo funzionamento della natura. Come scrive la psicanalista Neil Russack nel libro Animali Guida. Nella vita, nel mito, nel sogno, gli incontri con gli animali sono sempre incontri con noi stessi. L’essere umano conosce sé stesso traendo ispirazione proprio da quella natura di cui esso è parte.
Tuttavia, c’è una bella differenza tra l’atteggiamento dell’uomo arcaico e quello dell’uomo moderno. L’uomo arcaico, pur provando sentimenti estremi come amore e odio, disprezzo e ammirazione nei confronti delle altre creature, vede nell’animale una figura affine e degna di profondo rispetto. Anche quando lo uccide per nutrirsene, continua a sentirsi ad esso intimamente legato. A differenza dell’uomo moderno, non considera gli animali come creature bisognose di attenzione, deboli e da proteggere. Al contrario, il più delle volte tenta di emularli, imitando i loro stessi comportamenti.
I berseker o i cacciatori antichi, quando si vestivano con pelli di lupo o di orso, si identificavano a tal punto con l’animale da diventare partecipi della sua stessa essenza. Il fatto stesso di immedesimarsi con l’animale nascondeva di fatto il desiderio di assumere le caratteristiche proprie della bestia. Così come il lupo o l’orso sono simboli di ferocia e dominio, l’uccello rapace è associato alla nobiltà. Lo spirito indipendente, la superiorità, il potere di vita e di morte sugli altri, rappresentano da sempre i tratti distintivi dell’aristocrazia.
La relazione tra falchi e nobiltà ricorre in tutte le tradizioni del mondo fin dalla notte dei tempi. Gli uccelli rapaci hanno esercitato in tutte le epoche storiche un grande fascino su tutti gli esseri umani, divenendo delle vere e proprie icone di natura selvaggia. Il falconiere di Castiglia Ayala, in epoca medievale considerava il falco come il predatore più nobile di tutti gli uccelli da caccia. Nelle popolazioni arabe il falco pellegrino viene chiamato Shaen, che significa appunto imperatore. L’antico Egitto adorava divinità falco come il Dio della guerra Montu, il dio dei morti, delle tenebre, del decadimento della terra Sokar. A Eliopoli, centro del culto solare, il Dio del cielo Horus si fuse con il Dio sole Ra diventando Horakhti, dalle sembianze di falco o di un uomo con la testa di falco e un disco solare sul capo. Il Dio Horus simboleggiava la natura celeste dei sovrani e il loro diritto divino a esercitare il potere. I falchi erano considerati manifestazioni viventi delle forze incarnate nelle divinità e avevano perciò un ruolo importante nelle pratiche religiose egizie. Basti pensare che, nell’antico Egitto centinaia di migliaia di falchi furono mummificati e offerti in dono agli Dei. Il tempio di Nectanebo II a Saqqara. dedicato a Iside, conteneva ben 100.000 falchi mummificati.
L’associazione tra falchi e potere divino non è comune solo agli Egizi. Gli Dei falco sono generalmente rappresentati come divinità creatrici associate al sole o al fuoco anche in altre culture. L’antico Dio iraniano del fuoco e dell’acqua, l’avestico Xvarhnahm veniva rappresentato sotto forma di falco. Freya, Dea della fertilità nella mitologia Norrena, possiede un mantello in grado di trasformare chi lo indossa in un falco. Il protagonista delle Byliny, narrative epiche slave, è un Bogatyr, cioè un eroe che aveva la facoltà di trasformarsi in falco. In molte cosmogonie sciamaniche, in cima all’albero del mondo, siede proprio un falco. Nella mitologia ungherese, il Turul sta appollaiato in cima all’albero della vita. In quella norrena un falco chiamato Vedfolnir sedeva sul becco dell’aquila, che a sua volta se ne stava posata sul ramo più alto dell’albero Yggrdarsil. Compito di questo falco era di riferire a Odino tutto ciò che vedeva in cielo, sulla terra e sotto di essa.
I poemi epici ungheresi sostenevano che i primi sacerdoti discendevano dall’unione tra un falco e una donna. Oltre a considerare le divinità creatrici associate al sole e al fuoco, questi antichi miti associavano i falchi all’anima umana e li vedevano come messaggeri tra il cielo e la terra e tra gli uomini e gli Dei. Da questa premessa si comprende come la Falconeria non sia stata semplicemente un passatempo per nobili aristocratici. La falconeria costituiva prima di tutto un’attività dello spirito, una disciplina iniziatica che aveva come scopo la trasmutazione del proprio se. Anche Dante Alighieri ne rimase affascinato, tanto da inserire all’interno della Divina Commedia analogie e aneddoti che derivavano proprio dal mondo della falconeria. Conosceva perfettamente sia gli strumenti utilizzati, (ad esempio il logoro, un simulacro di preda costituito da un pezzo di cuoio legato ad una corda utilizzato per richiamare l’attenzione dell’animale) sia i comportamenti tipici dei rapaci a caccia.
La Divina Commedia contiene cinque riferimenti al mondo della falconeria. Solo per citarne alcune.
Come’l falcon ch’è stato assai sull’ali, che senza vedere logoro o uccello, fa dire al falconiere Ohme, tu cali, discende lasso onde si move snello, per cento rote, e da lunge si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello.
(INF. Canto decimosettimo – verso 129)
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“Sapete come attento io m’apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
dubbio che m’è digiun cotanto vecchio”.
Quasi falcone ch’esce del cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello”
(PAR. canto decimonono. vv. 31 e seguenti)
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Cosí per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguí lo mio attento sguardo,
com’occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo, e Renoardo,
e ‘l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
(PARADISO – canto decimottavo vv. 43 e segg)
Sia In Oriente che in Occidente la falconeria era una parte essenziale dell’educazione di principi e Re. Anche nel Giappone Medievale, svolgeva un ruolo di prim’ordine nell’educazione dei samurai. L’addestramento dei rapaci richiede infatti pazienza, calma, determinazione e una profonda conoscenza della natura.
La filosofia del De Arte Venandi cum avibus
La falconeria fu la disciplina a cui l’imperatore Federico II di Svevia rimase fedelmente legato per tutta la vita, tanto da dedicare a essa una parte considerevole del suo tempo. Basti pensare che non si separava dai suoi falchi neanche durante le battaglie. Durante l’assedio di Parma, proprio nel momento in cui le truppe imperiali venivano sconfitte, l’imperatore si trova a Ghiaia del Taro, nel bel mezzo di una battuta di caccia coi suoi falchi. Tuttavia, non considerò mai la falconeria un semplice passatempo. Per Federico II di Svevia, la falconeria rappresentava una vera e propria scuola di apprendimento. Di tutte le arti, era l’unica provvista dei requisiti necessari per essere arte e scienza insieme. L’uomo può infatti elevarsi intellettualmente e spiritualmente attraverso la conoscenza diretta del mondo naturale. Lo studio del mondo aviario e delle leggi che lo governano era una corsia preferenziale per la comprensione delle regole che governano il cosmo e del ruolo dell’uomo al suo interno. Al contrario delle altre scienze, i cui principi operativi si basano su criteri di tipo induttivo, la falconeria, grazie al rapporto di interazione diretta tra uomo e rapace offriva la possibilità di comprendere nell’immediato il funzionamento del mondo circostante (Boccassini, 2003). Ma soprattutto, la falconeria fu per Federico II una fonte di ispirazione per l’elaborazione di una nuova concezione del potere del tutto estranea all’Europa, non più basata sull’uso della forza, com’era sempre accaduto nelle epoche passate. A differenza dei suoi predecessori, chi deteneva il potere doveva garantire l’ordine e la giustizia attraverso la saggezza, che, a sua volta derivava da una profonda conoscenza del mondo (sapientia). In antichità caccia, politica, filosofia e scienza erano indissolubilmente legate.
Questo concetto può apparire estraneo ai moderni. Per comprenderlo, bisogna infatti abbandonare i filtri mentali da cui guardiamo oggi il mondo. Abituati come siamo a dividere ogni cosa in categorie, è inimmaginabile pensare che vi siano parallelismi tra discipline differenti. Eppure, per la maggior parte della storia le cose sono andate diversamente. Ogni disciplina era interdipendente all’altra. Lo studio della natura costituiva una via diretta per la comprensione del mondo e per l’elaborazione di filosofie e teorie politiche. Scientia e sapientia erano due facce della stessa medaglia. La caccia, ad esempio, era un mezzo finalizzato all’esercizio del potere. Ogni sovrano era anche un abile cacciatore. Il combattimento corpo a corpo con la preda era un modo per dimostrare ai sudditi il proprio valore guerriero. Tuttavia, nella visione di Federico II, a differenza di quella dei suoi predecessori venne a mancare l’elemento guerresco. Il potere doveva poggiare sulla saggezza. La fonte di ispirazione di questa teoria fu proprio la relazione che ebbe coi suoi falchi. Il suddito, di fronte a un governante saggio sarebbe spontaneamente rimasto fedele all’Imperatore, proprio come un falco col suo falconiere. Per fare in modo che un uccello rapace sia disposto a cacciare insieme a un essere umano, il falconiere deve stabilire una connessione profonda col suo falcone. Un rapace deve infatti mettere a disposizione il proprio se selvaggio al servizio di un’intenzione originariamente aliena alla propria. A differenza di altri animali, obbedisce solo quando riesce a instaurare un rapporto di fiducia col falconiere. Sarebbe impossibile addestrare un falco in modo coercitivo. Una volta in volo, potrebbe decidere di fuggire per continuare a condurre la vita in completa autonomia. Il desiderio di ritornare al pugno del falconiere è il frutto di una libera scelta e mai di una costrizione; l’essere umano rappresenta il mediatore della dialettica tra l’istintualità e il suo superamento.
Detto questo si comprende come lo scopo della Falconeria non sia quello di catturare più prede possibili, tantomeno nasce dalla necessità di mostrare agli altri la propria forza fisica. Si tratta invece di un vero e proprio esercizio di sovranità che deriva dalla capacità del sovrano di armonizzare gli istinti umani e animali lasciando che essi confluiscano verso un principio razionale.
Dell’arte falconaria Federico II aveva fatto la propria palestra quotidiana, con l’obbiettivo di riuscire a diventare il migliore dei sovrani. Come scrive nel suo saggio Daniela Boccassini Il volo della mente. Falconeria e Sofia nel mondo mediterraneo: Islam, Federico II e Dante: la falconeria fu prima di tutto un disegno culturale. Per Federico II padroneggiare l’arte della falconeria significava riuscire a dominare sé stessi e a governare un popolo.
L’addestramento del falco è un processo bidirezionale che svolge la sua azione contemporaneamente su due soggetti, seppur appartenenti a specie completamente diverse. Alla fine dell’addestramento né il falco né il falconiere sono più gli stessi, ma l’anima dell’uno si intreccia indissolubilmente a quella dell’altro. In Falconeria, questo concetto viene esemplificato e tramandato oralmente da maestro a discepolo con una massima attribuita sempre all’Imperatore che recita così: esiste un filo sottile che lega l’anima del falco a quella del falconiere. Questa relazione di interdipendenza aiuta entrambe le parti a perfezionarsi. Analogamente, il sovrano può sviluppare con i suoi sudditi un rapporto di acculturazione del loro potenziale naturale che risulti vantaggioso per tutti (Boccassini- il volo della mente, p 121). L’idea di un potere fondato su scientia e sapientia, del tutto estraneo alla cultura occidentale, derivava dal contatto che il sovrano ebbe con il mondo orientale. In particolare, il saper guardare alla natura come a una sicura fonte di sapienza costituì uno dei lasciti più duraturi della cultura araba. Per il mondo islamico caccia e sovranità erano inscindibili, ma a differenza di quanto accadeva in Europa, il sovrano possedeva le qualità intrinseche del filosofo. La caccia veniva praticata per il piacere della vittoria interiore e per la capacità che essa offriva di conoscere il mondo circostante. Nei trattati medievali di arte venatoria aviaria, così come nelle poesie di alcuni saggi del mondo islamico come, ad esempio Rumi, tornano spesso analogie tra caccia e sapere e tra falconeria e arte del potere. L’asceta e il cacciatore riescono a travalicare i limiti della propria condizione umana attraverso l’esercizio e la disciplina interiore. Con questa nuova concezione del potere, basata sulla saggezza, lo Stupor Mundi e i suoi successori, intendevano far vedere al mondo che conclusa la fase violenta e conquistatrice della loro presenza in Italia erano diventati sovrani illuminati in maniera del tutto diversa alla modalità feudale di matrice franco germanica, gettando basi del tutto nuove su cui fondare la nuova idea di Europa.
Note
- Per approfondire concetto sulla relazione tra potere e sapere si veda capitolo 4, pagina 168 del libro Il volo della Mente. Falconeria e sofia nel mondo Mediterraneo. Islam, Federico II e Dante. Daniela Boccasini, 2003. Longo Angelo ed.;
- Sul simbolismo del falco: Il falco. Helen Mac Donald. Saggi Animalia Nottetempo edizione 2019.
Bibliografia:
Animali e cacce nella Divina commedia. Dante. Etologo e falconiere. Giorgio Zauli. Ed Sarnus
Storia e cultura della caccia dalla preistoria a oggi. Paolo Galloni. Ed Laterza, 2000.
Animali guida. Nella vita, nel mito, nel sogno. Neil Russack. Ed. Moretti e Vitali 2003
La lingua degli uccelli. Il classico della letteratura Sufi. Farid Ad-Din Attar. Ed Mediterranee 2002
Dancus Rex – Guillemus Falconarius, Gerardus Falconarius. Tilander G. Ed Carl Bloms Boktryckeri A.-R., 1963
Obbedire a Danco. Studi Normanno Svevi. Tommaso Duranti. CESN 2019
Sitografia
- https://www.unesco.it/it/patrimoni-unesco/patrimonio-immateriale/falconeria/
- https://www.ereticamente.net/il-simbolismo-animale-nella-tradizione-occidentale-manuele-testai/
Manuele Testai