Il tragico nell’idealismo tedesco: riflessioni su una raccolta di saggi – Giovanni Sessa
È nelle librerie per Orthotes Editrice il volume di AA.VV., Il tragico nell’idealismo tedesco (pp. 131,euro 17,00). Si tratta della raccolta degli Atti di un seminario di studio tenutosi il 2 e 3 maggio 2017 presso l’Università Vita-Salute San Raffaelle di Milano. Il testo è curato da Francesco Valagussa, docente di Estetica presso quell’Università. Le tematiche affrontate dagli autori sono di grande rilievo speculativo, mirate a soppesare il peso che il tragico ha avuto nella genesi e nella definizione dei sistemi idealisti, fioriti in Germania tra fine Settecento e inizio Ottocento, vera e propria “epoca assale” della filosofia moderna. Sergio Givone discute il tema della “contrapposizione assoluta” che attraversa il sistema panlogista dalle opere giovanili di Hegel fino alla Fenomenologia dello spirito. Per non dire del ruolo essenziale che tale plesso teorico svolge nello Spirito del Cristianesimo. L’autore del saggio presenta la differenza che, a dire di Hegel, distinguerebbe la religione della Legge, l’ebraismo, dalla religione dell’Amore, il cristianesimo. Per comprendere tale contrapposizione è necessario riferirsi alla figura di Gesù. Il Cristo mostra che la Legge è cosa del soggetto, della coscienza. In quanto tale è retaggio farisaico.
Per l’ebraismo la separazione di fronte a Dio, riguarda i Gentili, dato il loro riferirsi alla natura che, dal punto di vista dell’ebraismo ortodosso, non ha tratto divino. La separazione nel cristianesimo investe l’amante e l’amato, che “vivono” il dolore della separazione. Ebraismo e cristianesimo sono attraversati, in modalità diversa, dalla abosolute Entgegensetzung. Essa, nella religione dell’Amore riguarda Dio stesso. Un Dio trinitario: «identificare Dio con l’amore […] significa scoprire un doppio infinito» (p. 13): l’infinito della potenza amorosa e l’infinito negativo e mortifero. Tale potestas: «sta a Dio come il contorno sta alla forma» (p. 14) e, quindi, in qualche modo anche la potenza negativa è in Dio. Si tratta per Hegel, chiosa Givone, di: «tener fermo ciò che è […] immane, incontenibile, indomabile […] l’indomabile potenza del Negativo» (p. 15). Dio dice si alla vita ma anche alla morte, solo così la vita potrebbe essere sottratta, con il sacrificio del Cristo, all’inevitabile annientamento. Siamo nel cuore del pantragismo hegeliano. Solo il cristianesimo, rileva Givone con Hegel, svela il senso ultimo del tragico. Nell’ottica cristiana, infatti, l’immane potenza del negativo non ha valenza sostanziale, ma meramente “parassitaria”, non è confrontabile con la potenza amorosa. Il “tragico cristiano” è gnosi conseguita nel dolore. Il cuore di Antigone, del resto, è lacerato al pari di quello del cristiano. Il problema per Hegel è che il cristianesimo, in quanto religione: «si rifugia nel passato […] e si ritrova nel presente in quanto filosofia» (p. 20). Insomma, per il filosofo di Stoccarda la soluzione della “contrapposizione assoluta” si mostra solo nel sistema panlogista.
Marco Moschini, nel suo contributo, presta grande attenzione al ruolo giocato dalla tragedia greca negli Scritti giovanili. In queste pagine la riflessione sul tragico determina la progressiva presa di distanza hegeliana da Criticismo e da Romanticismo. Viene chiarito come il dialettismo del tedesco si definisca in questo corpo a corpo teorico. Gianluca Garelli affronta il tema dello “spirito vero” nella Fenomenologia, mostrando la genesi dialettica dell’eticità intesa quale seconda natura. Massimo Donà muove dall’esegesi dell’Estetica di Hegel ricordando, nell’incipit del suo scritto, come per il panlogista l’ideale dovesse conformarsi all’esperienza fenomenica e contingente che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere compresa quale azione. In essa, le determinatezze: «inter-agiscono […] ma solo in quanto animate […] dall’ideale» (p. 61). I determinati si modificano senza annullarsi mai trasfigurando la lotta per la vita: «in un agire volto alla crescita […] al perfezionamento di sé» (p. 61). I Greci, prosegue Donà, proprio perché “pensarono” l’azione non dissolsero, come accadde in certe mistiche d’Oriente, il particolare nel sublime. Il loro agire muoveva dall’accettazione della finitudine che, per quanto polemologicamente intesa, quale confronto tra opposti: «non è affatto costretta a lasciarsi fagocitare dal loro semplice contrapporsi» (p. 62). Per Hegel, l’universale (il divino) che abita il particolare non è una potenza non solo esterna, ma interna-esterna: «la sfida consiste nel riuscire a sviluppare questa duplicità […] facendo diventare un’unica azione il contrasto incessante tra […] il giudizio pronunciato dalle idee eterne […] e la libertà interna» (pp. 62-63). In Grecia, sulla scena tragica, si muovevano dei “caratteri”, delle individualità deprivate dei loro aspetti accidentali, che agivano contrapponendosi ad altre individualità, anch’esse animate da potenze legittime e sostanziali per violarle, cadendo così nella colpa. L’esito della tragedia, come dell’arte autentica, per il tedesco dà luogo a una conciliazione. Nella quale, si badi, universale e individuale non vengono annullati in un terzo: «ma rimangono opposti, dicendo ognuno anche sempre l’altro» (p. 66). Per la qualcosa, quando Hegel parla di “conciliazione”, cade in contraddizione con se stesso. Insomma, nel panlogista è l’universale, l’Idea, ad avere l’ultima parola nei confronti del particolare, in lui i desiderata degli uomini sono tacitati in funzione dell’ethos, il negativo è sempre tradotto in altro positivo in forza della “razionalità del destino”. Hegel: «sembra non vedere che i tormenti di Creonte e Antigone sconfessano nel modo più eclatante il suo verbo “dialettico”» (p. 74).
(Hegel)
Nello scritto di Gaetano Rametta viene affrontato il “decorso tragico” a muovere dall’alternanza dei toni hölderliniana. Anche Adone Brandalise si occupa di Hölderlin. In particolare, degli scritti La morte di Empedocle e Il significato della tragedia. La posizione del poeta rispetto al tragico è esperita quale possibile messa in discussione dell’approccio dialettico idealista, come critica al “sistema”. Francesco Valagussa discute la presenza del tragico in Fichte, dedicando particolare attenzione al rapporto tra essere e immagine. Un libro articolato, dedicato alla discussione di un problema centrale tanto dal punto di vista storico-filosofico, quanto da quello teoretico.
Giovanni Sessa