Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il titolo di Augustus: materiali per una definizione storico-religiosa – Claudia Santi
Il 16 gennaio del 27 a.C. (1), in una seduta storica, il Senato di Roma conferiva a C. Iulius Caesar Octavianus il titolo di Augustus.
Così l’avvenimento viene ricordato nelle parole di Augustus stesso:
IN CONSVLATV SEXTO ET SEPTIMO, POSTQVA[M B]EL[LA CIVIL]IA EXTINXERAM, PER CONSENSVM VNIVERSORVM [POT]IENS RE[RV]M OM[N]IVM, REM PVBLICAM EX MEA POTESTATE IN SENAT[VS POPVLI]QVE R[OM]ANI [A]RBITRIVM TRANSTVLI. QVO PRO MERITO MEO SENAT[VS CONSVLTO AV]GVST[VS APPE]LLATVS SVM (2).
“Nel mio sesto e settimo consolato, dopo che avevo estinto la piaga delle guerre civili, trovandomi ad avere il potere assoluto con il consenso di tutti, trasferii la repubblica dalla mia facoltà al volere del senato e del popolo romano. Per questo mio merito, per decisione del senato fui chiamato Augusto” (3). Da Svetonio e da altri autori antichi apprendiamo che, volendo gratificare Octavianus di un titolo distintivo, furono avanzate due proposte: Romulus, da una parte, e Augustus, per iniziativa di Munatius Plancus, dall’altra; alla fine fu quest’ultima proposta a prevalere (4). Cassio Dione precisa che inizialmente Octavianus avrebbe desiderato essere chiamato Romulus (5), ma quando si rese conto che questo poteva ingenerare il sospetto che mirasse a diventare re, rinunciò accettando il titolo di Augustus (6). Fin dagli esordi della res publica, infatti, ogni tentativo di restaurare la forma di governo monarchica era punito attraverso la sacratio, una condanna a morte comminata senza processo e senza giudizio (7). Ma vi erano anche altre ragioni che sconsigliavano l’attribuzione ad Octavianus del nome di Romulus: Romulus, nato secondo la tradizione dal dio Mars, fu divinizzato in un’epoca imprecisata, ma comunque assai antica, nella forma di Quirinus (8), a seguito del processo che Dario Sabbatucci definì ‘dissociazione mitico-rituale’ (9). Conferire ad Octavianus, già divi filius, il nome del primo re di Roma, assimilato ad una figura divina cui era reso un culto pubblico stabile, avrebbe significato procedere con troppo slancio verso una sorta di divinizzazione in vita (10) e verso l’adozione di un modello di monarchia di tipo ellenistico, un modello incompatibile con l’assetto costituzionale e con la storia politica di Roma (11). Il cognomen di Augustus, al contrario, non era mai stato portato da nessun personaggio né del periodo regio né della res publica, e perciò, come sottolinea Svetonio, era originale (novum), a rimarcare l’eccezionalità della persona e della personalità cui veniva conferito, e al tempo stesso poteva risultare amplius (12).
Ma che senso ha definire amplius il cognomen Augustus rispetto al nome del fondatore Romulus? A nostro giudizio, l’aggettivo amplius non va in questo caso inteso nel significato figurato di ‘più illustre’, ma piuttosto nel suo valore semantico letterale di ‘più grande’. In maniera allusiva, perciò, Svetonio sembra far riferimento al fatto che l’Urbs fondata da Romulus non era più da tempo una città-stato, ma esercitava la sua egemonia su un territorio vastissimo e sovranazionale, e vi erano tutte le premesse perché l’imperium di Roma si accrescesse ancora, in quanto destinato ad essere sine fine. Attraverso il cognomen Augustus, amplius rispetto al nome del fondatore Romulus, si auspicava perciò un’ulteriore propagatio dei confini di Roma (13), senza negare peraltro a chi lo portava la possibilità di assumere alcune delle prerogative tipiche del sovrano di una monarchia di tipo ellenistico-orientale, ma proponendo piuttosto una gradualità che poteva risultare gradita a tutti, a partire dal princeps. Inoltre, attraverso l’allusione ad una maggiore grandezza, il titolo Augustus veniva riportato all’interno del lessico religioso, stabilendo un legame con la solenne cerimonia dell’auguratio e ulteriormente rafforzando questo legame a livello etimologico con il riferimento all’auctus, ossia all’accrescimento o, in alternativa al volo (avium gestus) o al cibarsi (avium gustus) degli uccelli augurali. Svetonio, infatti, subito di seguito, ricorda riguardo all’aggettivo augustus, due usi riferiti alle res: 1. sono augusta i luoghi religiosi e nei quali è stato consacrato qualcosa attraverso la cerimonia dell’auguratio; 2. fu augustum l’augurium con cui fu fondata Roma.
quod loca quoque religiosa et in quibus augurato quid consecratur augusta dicantur, ab auctu vel ab avium gestu gustuve, sicut etiam Ennius docet scribens:
Augusto augurio postquam incluta condita Roma est(14).
“perché si chiamano augusta anche i loca religiosa e quelli nei quali qualcosa è stato consacrato attraverso la cerimonia dell’auguratio, che prende il nome da auctus ‘crescita’ oppure dal movimento o dal cibarsi degli uccelli, come dimostra anche Ennio quando scrive:
dopo che la gloriosa Roma fu fondata con l’augustum augurium”
Le ultime parole di Svetonio, da quod fino alla citazione del verso di Ennio, sono state ritenute interpolate (15), perché si presentano nella forma molto simili alla glossa che apre l’opera erudita di Verrio Flacco. Verrio Flacco, infatti, scrive:
Augustus locus sanctus ab avium gestu, id est quia ab avibus significatus est, sic dictus; sive ab avium gustatu, quia aves pastae id ratum fecerunt (16).
“Un luogo sanctus è detto augustus dal volo degli uccelli, cioè per il fatto che è stato indicato dagli uccelli augurali, o dal loro cibarsi, perché gli uccelli augurali avendo mangiato lo hanno ratificato”.
In realtà, ad esaminarle con attenzione, le due glosse divergono su un particolare: Verrio, infatti, fa riferimento al locus sanctus e non ai loca religiosa, come Svetonio; per il resto il senso delle glosse è sostanzialmente convergente, e sta a segnalare come la cerimonia dell’auguratio si applicasse, propriamente, a porzioni di spazio già distinte per una loro diversa qualità. Anche Ovidio (17) e Servio (18) confermano che le res sanctae erano dette augustae in virtù della loro consacrazione attraverso l’augurium. Trattandosi di un termine molto antico del linguaggio tecnico della religione, che ne ha fatto un uso – a quel che sembra – assai limitato, l’etimologia può fornire qualche elemento utile a determinare il valore semantico della parola nella fase arcaica. L’ipotesi che collega augustus a avium gestus / gustus è sembrata in generale poco persuasiva (19) e di fatto, a livello etimologico è accettata l’idea che il termine latino augustus, di cui augur è un corradicale, appartenga alla famiglia dei derivati di augeo (20), il cui tema sarebbe riconducibile alla radice del protoindoeuropeo *au̯eg-, u̯ōg-, aug-, ug- «vermehren, zunehmen» ‘moltiplicare, crescere’ (21). Il verbo aug-eo, nel significato transitivo – attivo causativo ‘far crescere’ e intransitivo assoluto ‘accrescersi’ (22), dà vita in latino a una serie di derivati verbali e nominali: l’arcaica formazione verbale augifico (23) e l’incoativo augesco (24); la forma arcaica augmen ‘crescita’ (25); il sostantivo auc-tus, nomen actionis usato per lo più per indicare l’aumento di portata dei fiumi (26), e quindi un accrescimento di volume, tridimensionale e non lineare, ma presente anche in forma di figura etimologica, nell’espressione augere auctibus (bonis); da auctus si formano i verbi auctifico (27), da cui anche i composti nominali auctifer (28) e auctificus (29). Nei derivati di augeo in uso nelle lingue tecniche, il significato spesso, per non dire sempre, offusca la parentela con augeo e non agevola nell’individuazione del valore originario della radice: e.g. augmen, arcaica voce del linguaggio tecnico della religione, sostituita progressivamente da augmentum, indica una parte della vittima (30); auc-tor ‘autore, promotore’ (31), nomen agentis da cui anche l’astratto auctoritas (32), si spiega con difficoltà con riferimento all’idea di accrescere; così anche il gruppo di augur, augurium, di cui Augustus è corradicale. Nel dizionario etimologico di A. Ernout e A. Meillet, a proposito dell’aggettivo augustus, gli autori sottolineano il legame esistente con il sostantivo augur, -uris ‘augure’, formazione nominale da un antico tema in sibilante -s- (del tipo fulgur, -uris), testimoniato anche nella forma auger (33), e indicano come significato del derivato nominale «accroissement accordé par les dieux à une entreprise» ‘accrescimento accordato dagli dei ad un’impresa’ o «présage favorable» ‘presagio favorevole’, oppure al singolare maschile «celui qui donne les présages favorables» ‘colui che dà i presagi favorevoli’ (34): questa etimologia sembra riprendere quanto si legge nei versi di Ovidio, laddove il poeta con evidente intento encomiastico sottolinea che Augustus socium summo cum Iove nomen habet (35) e che quodcumque sua Iuppiter auget ope (36).
Complessivamente, la proposta di A. Ernout e A. Meillet tratta Augustus come un’epiclesi divina, che in quanto tale dovrebbe essere esclusiva di Iuppiter, dal momento che nella teologia di Roma questo è il dio titolare degli auguria e che è lui e non altri ad inviare i signa (e non i presagi) favorevoli o meno che siano. Ciò che non emerge nell’interpretazione di A. Ernout e A. Meillet è lo scarto che necessariamente dovette verificarsi nel momento in cui un termine del lessico religioso, così vetusto e carico di significato, e fino ad allora riservato alle res e funzionalmente connesso alla sfera di Iuppiter, fu attribuito ad una figura magistratuale, ad un cittadino romano ancora in vita. A ben vedere, l’etimologia di A. Ernout e A. Meillet appare profondamente influenzata dal clima evoluzionista dell’epoca e, in definitiva, la spiegazione che viene data del titolo augustus è una spiegazione di stampo primitivista: aleggiano, senza essere mai nominati, da una parte il trattato Das Heilige di Rudolf Otto, in cui viene formulata in modo sistematico la cd. teoria dell’ambivalenza del sacro, secondo la quale nel ‘sacro’ vi sarebbero due opposti e coesistenti aspetti, il potere attraente (fascinans) e al tempo stesso la forza orrorifica e repulsiva (tremendum) (37), dall’altra il mana melanesiano, la presunta potenza impersonale che si riteneva potesse permeare oggetti e persone rendendoli sacri (38). In particolare, si possono confrontare le conclusioni di A. Ernout e A. Meillet con quanto espresso da Hendrick Wagenvoort, esponente della corrente primitivista d’interpretazione della religione romana, a proposito di augustus. A suo giudizio, augustus sarebbe da ricollegare ad *augus > augur- ‘incremento’ ed il suo valore semantico originario sarebbe «supplied with an increase» ‘fornito di un incremento’ (39); lo studioso nota come prima di Apuleio gli dei non siano mai chiamati augusti (40) e ne deduce che ciò fosse dovuto al fatto che in origine augustus era usato in senso passivo, cioè che i templi fossero soggetti ad un incremento al quale dovevano la loro venerazione, laddove gli dei erano venerati in virtù della loro stessa natura (41). Secondo Wagenvoort, l’*augus > augur-, la potenza impersonale corrispondente al mana (42), sarebbe trasferito dal sacerdote alla res, in particolare al tempio, per contatto, attraverso la cerimonia del postem tenere, da Wagenvoort erroneamente assimilata all’augurium (43). In questa prospettiva, augustus è considerato un sinonimo di sacratus/consecratus (Wagenvoort richiama a riguardo le glosse di Svetonio e di Servio) (44) e la prova di ciò risiederebbe, a suo giudizio, nel fatto che augustus e sacer si troverebbero spesso associati (45); tale accostamento, prosegue Wagenvoort, non sarebbe dovuto solo a ragioni etimologiche, ma sarebbe determinato anche dal fatto che sacer (46) corrisponderebbe a tabu, la qualità ‘proibitiva’ attribuita alle cose (47), da R.R. Marett correlata al mana nella formula tabu-mana ritenuta la ‘definizione minima di religione’ (48). Al contrario, di sacer, che viene considerato, sulla scorta di R. Otto, un concetto ambivalente contenente al proprio interno un aspetto positivo e uno negativo, augustus avrebbe assunto, secondo Wagenvoort, l’unico e univoco significato di ‘elevato a sacralità’ (49). Senza entrare nel dettaglio della posizione di Wagenvoort, noteremo come, al di fuori di un orientamento primitivista, riduzionista ed evoluzionista, il significato proposto per augustus sia privo di senso: in altri termini, se non si conviene che *augus sia il corrispettivo di mana, che quindi sia una sorta di materia sacralizzante che può essere manipolata e trasferita attraverso apposite cerimonie su un quid, che si trova quindi al termine della procedure ad essere ‘fornito di sacralità’, tutto il costrutto perde valore (50). Vi è poi da aggiungere che l’associazione augustus-sacer non sembra affatto provata dai testi di autori latini che Wagenvoort indica; questi testi appartengono in larga misura ad autori del I sec. d.C. e oltre, ad autori quindi che nell’uso linguistico non potevano non essere influenzati dalla temperie culturale augustea; gli unici due passi di epoca pre-augustea presi in considerazione da Wagenvoort, derivati entrambi dal de natura deorum di Cicerone, non risultano utili a sostenere la relazione sacer-augustus, semplicemente perché i due termini non vi si trovano associati (51).
Alla definizione del valore etimologico di augustus si applicò anche Georges Dumézil, approfondendo in particolare il rapporto tra *auges (52) latino e ójas vedico (53), termini derivanti entrambi da una comune radice indoeuropea: secondo Dumézil, che riprende in larga misura le conclusioni di Jan Gonda (54), ójas esprimerebbe la ‘forza fisica’, la ‘pienezza della forza’ del combattente (55); il latino secondo Dumézil avrebbe spostato il significato dal piano fisico a quello mistico, e di conseguenza, *auges, derivando dallo stesso tema da cui ójas, dovrebbe esprimere ‘la pienezza della forza mistica’ come condizione del successo, in ogni situazione in cui gli uomini possano augurarselo (56).
Come è stato notato, l’analisi di Dumézil, dopo aver ricavato per ójas il significato di ‘forza’ basandosi unicamente sugli sviluppi dell’indoiranico dove esso è documentato, non solo proietta questo valore semantico sul protoindoeuropeo, ma addirittura lo esporta in latino (57). Le conclusioni di Dumézil per quanto riguarda il latino augur, rimangono, perciò, altamente congetturali. Ne La religion romaine archaïque, lo studioso riprese l’argomento, inserendo il termine augustus nella cd. teoria della bipartizione del sacro. L’idea di una bipartizione del ‘sacro’ in due aspetti, opposti e complementari (e non più opposti e coesistenti, come per Otto) si è fatta strada attraverso la linguistica. La prima formulazione si rinviene in uno studio di W. Baetke applicato al lessico religioso tedesco, in cui lo studioso ritenne di poter rilevare, per quanto riguarda l’espressione dell’idea del ‘sacro’, la presenza di due classi di termini, una derivata dalla radice indo-europea indicante lo stato perfetto di ‘integrità’ (germ. *hailagaz), che definirebbe il ‘sacro-positivo’, l’altra dalla radice che in indoeuropeo esprimeva l’azione del ‘separare’ (germ. *wīhaz), che indicherebbe il ‘sacro-separato’ (58). Da allora, molti studiosi hanno dato il loro contributo nel tentativo di completare lo schema con l’apporto degli altri sistemi linguistici appartenenti al gruppo delle lingue indoeuropee, ma la casella del latino continua ad essere fortemente controversa (59). G. Dumézil, riferendosi alla teoria della bipartizione del sacro, indicò nella coppia augustus – sacer i due termini che in latino avrebbero espresso rispettivamente l’idea di ‘sacro-positivo’ e di ‘sacro-separato’ (60). In questo caso, lo studioso francese sembra riproporre i risultati della ricerca da lui condotta sul tema *auges: dal momento che, nella sua interpretazione, augustus avrebbe designato la persona o la cosa dotata della ‘pienezza della forza mistica’, e dunque, l’aspetto positivo del ‘sacro’, risultava quasi automatico indicare in sacer il termine latino che avrebbe dovuto esprimere la nozione del ‘sacro separato’. Come abbiamo esposto altrove, per quanto riguarda sacer-sacrum, nessun argomento, né a livello di significato né a livello di etimologia, sostiene il valore semantico di ‘sacro separato’ (61), che al contrario sembra più adeguatamente riconoscibile nella nozione di religiosus (62), e abbiamo proposto di riconoscere in sacer-sacrum l’espressione di una dazione in senso verticale dalla civitas agli dei (63). Al contrario, l’idea di una connessione tra augustus e la nozione di ‘sacro positivo’ può avere una validità, a condizione che questo significato venga confermato dai testi. L’etimologia di un lessema, infatti, deve derivare dai suoi significati e non viceversa, e quindi per ricostruire l’etimo di un significante, è necessario partire dai contesti in cui questo significante compare. Assumiamo quindi per augustus, come suggerito da Dumézil, il significato di ‘sacro positivo’, che in definitiva è il ‘sacro’ in senso moderno, ossia ‘connesso con il mondo degli dei e della religione’, e andiamo a verificare se questo significato ha un senso nei contesti in cui il termine augustus risulta inserito; prenderemo in considerazione solo i testi che risalgono ad una data anteriore al 27 a.C., per avere la certezza che questi testi non risentano del clima culturale augusteo.
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Derivato dal più antico strato del lessico religioso-giuridico di Roma antica, l’aggettivo augustus, per quanto è nelle nostre fonti, ebbe fino al 27 a.C. un campo di applicazione assai ristretto; per definire il suo campo semantico, non disponiamo di nessuna testimonianza che provenga da una fonte giuridica, perciò per la nostra ricognizione dovremo basarci solo sulle fonti letterarie. Allo stato attuale, le più antiche attestazioni di augustus si rinvengono nelle opere poetiche di Accio e di Ennio (64). Nell’Oenomaus di Accio augusta si riferisce a faventia (65), ad indicare il ‘sacro silenzio’ (66) richiesto per la riuscita del rituale divinatorio; negli Annales di Ennio, è augustum l’augurium con cui Romulus fondò la città (67); anche in questo caso, si può verificare la connessione con l’ambito rituale. Dopo questi autori dell’epoca arcaica, Cicerone offre una serie di esempi in cui augustus si riferisce ai templi (68), agli auspicia (69), e ai mysteria (70), in connessione con religio/religiosus (71) o con sanctus/sancte (72). Questa contiguità con la sfera di sanctum e di religiosum, di fatto conferma quanto espresso nelle definizioni di Verrio Flacco e di Svetonio. Ancora: nel de haruspicum responso, Cicerone accosta la nozione di augustum a quelle di sanctum e di religiosum, a delimitare l’ambito di deliberazione dei pontifices.
quod tres pontifices statuissent, id semper populo Romano, semper senatui, semper ipsis dis immortalibus satis sanctum, satis augustum, satis religiosum esse visum est (73).
“Ciò che fu stabilito da tre pontefici sembrò sempre al popolo Romano, al senato e agli stessi dei immortali, sufficientemente da rispettare pena sanzione (sanctum), sufficientemente sacro (augustum), sufficiente degno di timore reverenziale (religiosum)”.
Questo passo è di particolare rilievo ai fini della nostra indagine, perché attesta la necessità di un pronunciamento in merito da parte dei pontifices, ed almeno una delle nostre fonti ricorda l’intervento dei pontefici accanto al senato nel momento in cui si attribuì al princeps il titolo di Augustus (74). Si noti che Cicerone, membro del collegio augurale, doveva avere una grande competenza nel campo del diritto religioso, competenza peraltro confermato dall’assenza in questo passo di ogni menzione del sacrum, nel quale – secondo la ben nota definizione di Elio Gallo (75) ribadita anche da Gaio (76) – rientrava tutto ciò che, secondo il costume o per statuizione della civitas, era stato dedicato e consacrato agli dei (77).
Nei contesti che abbiamo esaminato, il significato ‘sacro positivo’ sembra appropriato per rendere il valore semantico di augustus; sulla base di questo risultato, è possibile ora riprendere il discorso etimologico, in vista di una più chiara definizione.
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Di recente, il linguista M. Weiss, riprendendo un’idea di A. Meillet (78), ha proposto l’ipotesi che augur-, nella sua fase preistorica, sia da riportare alla forma *augus, non derivato nominale, bensì arcaico aggettivo in -u-; determinante a sostegno della tesi di Weiss è la forma augura attestata in Accio (79), forma che si spiegherebbe più agevolmente come neutro plurale regolare di un aggettivo ormai desueto, piuttosto che come accusativo plurale del sostantivo augur(i)a, con scomparsa della -i- per ragioni metriche (80). A livello morfologico, *augus sarebbe da ricondurre alla classe di aggettivi in -u- dell’indoeuropeo, aggettivi che descrivono per lo più qualità fisiche e che si trovano di norma ordinati in coppie antinomiche (81). Nelle lingue storiche, ne sopravvivono pochi esempi (82): in latino apparterrebbero a questa classe vetus, ‘vecchio’ e minus ‘piccolo (poi minore)’ (83). A livello fisico, l’aggettivo *augus, che, in assenza di un adeguato corrispettivo semantico possiamo rendere in italiano con la perifrasi ‘che è in crescita’, troverebbe il suo opposto complementare nell’aggettivo formato dalla radice *mei-5 «mindern »’ (84) ‘ridurre’, da cui minus. Il neutro singolare di *augus avrebbe assunto, secondo un uso regolare in latino, anche funzione di sostantivo, finendo per esprimere la ‘crescita’, come fenomeno fisiologico, e dunque positivo (85)(la crescita delle piante, dei bambini, della famiglia, ovvero dei coniugi per la nascita di un figlio – 86), e ponendosi a ridosso del campo semantico delle voci del latino storico augmen (87) e auctus (v. supra p. ). L’accrescimento che, quindi, *augus esprimerebbe in latino non sembra avere niente di magico, non si trasmette per contatto o per contagio, come il mana, ma sembra piuttosto legato all’idea di uno sviluppo naturale, in grado di realizzare una potenzialità già presente e perciò in qualche modo anche necessaria. A livello giuridico-religioso, e quindi sul piano immateriale, questo *augus si applica in modo simbolico alle res dall’esterno, solo se gli dei danno il loro consenso, inviando i segni prescritti; il locus, perché l’*augus principalmente interessa i loci, diviene allora augustus; la res diviene augusta:
locus sanctus/religiosus + *augus =locus augus- tus
res x + *augus = res augus- ta (88)
Se ciò è vero, se ne può concludere che, come in germanico l’idea di ‘sacro positivo’ si legava all’idea di ‘integrità, incorruttibilità’, in latino l’idea di ‘sacro positivo’ si legava all’idea di ‘crescita (positiva)’. Una conferma potrebbe derivare dalla preghiera che Livio fa pronunciare a Scipio, in procinto di partire per la guerra:
Ubi inluxit, Scipio e praetoria nave silentio per praeconem facto ‘divi divaeque’ inquit ‘qui maria terrasque colitis, vos precor quaesoque uti quae in meo imperio gesta sunt geruntur postque gerentur, ea mihi populo plebique Romanae sociis nominique Latino qui populi Romani quique meam sectam imperium auspiciumque terra mari amnibusque sequuntur bene verruncent, eaque vos omnia bene iuvetis, bonis auctibus auxitis (89).
“Quando fece giorno, Scipio dalla nave pretoria ottenuto il silenzio per intervento dei praecones pregò: “Dei e dee che abitate i mari e le terre, vi prego e vi imploro di aiutare bene, di accrescere con buona crescita tutte le cose che sono state fatte, che sono fatte e che in futuro saranno fatte sotto il mio comando, per me, per il popolo e per la plebe di Roma, per gli alleati e per la gente Latina che seguono la parte del popolo romano e la mia parte, il mio potere e i miei auspici in terra in mare e sui fiumi”.
Le parole di questa invocazione sono certamente nel complesso una creazione letteraria di Livio, ma la formula auctibus augere, che peraltro si ritrova anche in altri autori (90), è stata considerata tradizionale e derivata da un’antica ed autentica preghiera della religione romana (91). Ne possiamo concludere che nella religiosità di Roma antica, si riteneva che gli dei potessero concedere boni auctus e con ciò augere le res gestae e le res gerundae di un magistrato cum imperio. Allo stesso modo, l’augurium, secondo la nota definizione ciceroniana, poteva essere percepito come una ricerca delle «rerum bene gerundarum auctoritates» (92) delle garanzie della validità delle azioni future; è da notare nel testo l’analoga figura etimologica che gioca sul legame aug-urium – auc-toritates.
A livello religioso-giuridico, l’applicazione dell’*augus, della ‘crescita’, a una persona non sembra previsto dal diritto religioso romano prima del caso di Octavianus, mentre esiste ed è documentato, a livello giuridico, il suo opposto, ovvero la (capitis) deminutio, ossia secondo la definizione di Gaio, una «prioris status permutatio» (93) un ‘cambiamento della posizione giuridica precedente’ (94). Per analogia con la (capitis) deminutio possiamo allora definire l’attribuzione del titolo di Augustus ad Octavianus come una prioris status permutatio, un cambiamento della posizione giuridica precedente, nella misura in cui il conferimento di *augus alla sua persona che determinò il privilegio di portare il nome Augustus, comportò anche l’attribuzione di un diverso status (95), che si andò a sostanziare in una maggiore auctoritas (96) rispetto alle altre figure magistratuali della res publica. Ma essenziale, nella procedura del conferimento dell’*augus doveva essere il consenso degli dei, che si manifestava attraverso appropriati signa. In che modo nel caso dell’attribuzione ad Octavianus del cognomen di Augustus gli dei espressero il loro consenso, se lo espressero? Tra i tanti presagi riguardanti Octavianus riportati dalle fonti, uno appare particolarmente significativo. Durante la cerimonia di presa degli auspici per il suo primo consolato (43 a.C.), secondo una tradizione largamente attestata, ad Octavianus apparvero dodici avvoltoi come a Romulus, e questo signum non passò inosservato, ma fu anzi interpretato come il presagio di una nuova fondazione dell’Urbs (97). L’auspicium che segnò l’ingresso di Octavianus nell’esercizio della massima magistratura repubblicana e l’inizio di un nuovo corso politico fu percepito come la replica dell’augustum augurium (98) con il quale, secondo la tradizione, Romulus fu indicato e legittimato come fondatore di Roma. Se Octavianus non poteva contendere a Romulus il ruolo di augur prototipico (99), egli tuttavia, nell’atto di intraprendere la sua carriera politica, ricevette l’augurium nella sua forma prototipica, in una forma che prima di allora Iuppiter aveva concesso solo a Romulus. Un’altra tappa nel percorso di enfatizzazione del valore degli auguria si ebbe nell’anno 29 a.C., allorché fu celebrato l’augurium salutis (100), un arcaico rito per la salvezza del popolo romano, che poteva essere officiato solo in tempo di pace e che perciò era di fatto caduto in disuso (101). A proposito della celebrazione dell’augurium salutis, Federico Santangelo nota come Octavianus abbia ottenuto, in questo modo, due risultati: trasmettere il messaggio che finalmente regnava la pace e ribadire il suo impegno e l’impegno del nuovo regime per la centralità del rito augurale nella religione pubblica di Roma (102). Un legame sempre più stretto e sempre più chiaro tra il princeps e l’auguratio si era andato costituendo nel tempo (103), e non si sarà lontani dal vero affermando che questo legame fu uno degli elementi che ispirarono a Munatius Plancus la sua proposta. Nella notte del 16 gennaio del 27 a.C., quando ormai la delibera del senato era stata approvata ed al princeps era stato attribuito il nome di Augustus, sembrò che gli dei mandassero un ulteriore segnale convalidante.
Αὔγουστος μὲν δὴ ὁ Καῖσαρ, ὥσπερ εἶπον, ἐπωνομάσθη, καὶ αὐτῷ σημεῖον οὐ σμικρὸν εὐθὺς τότε τῆς νυκτὸς ἐπεγένετο ὁ γὰρ Τίβερις πελαγίσας πᾶσαν τὴν ἐν τοῖς πεδίοις Ῥώμην κατέλαβεν ὥστε πλεῖσθαι, καὶ ἀπ᾽ αὐτοῦ οἱ μάντεις ὅτι τε ἐπὶ μέγα αὐξήσοι καὶ ὅτι πᾶσαν τὴν πόλιν ὑποχειρίαν ἕξοι προέγνωσαν (104).
“Caesar, dunque, come ho detto, fu chiamato Augustus, e per lui un segno non piccolo allora si verificò quella notte stessa: infatti il Tevere inondò e occupò tutta la parte pianeggiante di Roma, tanto che poteva essere attraversata in barca e, interpretando questo segno, gli indovini gli predissero che sarebbe cresciuto molto e che avrebbe avuto tutta la città di Roma in suo potere”.
In questo caso lo straripamento del Tevere non fu ritenuto, come di consueto, un dirum prodigium, il segnale di una crisi della pax deorum (105), ma al contrario fu considerato un portentum, un segnale, positivo o negativo, inviato dagli dei, che richiedeva un’interpretazione (106). Secondo l’interpretazione, data presumibilmente dagli aruspici, in quella piena del fiume (= in latino auctus) si doveva vedere per analogia il segnale della futura crescente grandezza di Augustus, potremmo dire il suo *augus augescens. Come nei casi di prodigio fausto registrati dall’annalistica nel periodo regio, questa anomalia della natura, che manifesta l’esistenza di una disposizione favorevole e propizia da parte degli dei, racchiude una profezia di imperium (107) e sembra svolgere la funzione di «valore permissivo che precisa l’augere» (108). L’eccezionale auctus del Tevere, che riportò il paesaggio urbano di Roma a quella palude su cui navigò la cesta che conteneva Romulus e Remus, sembra riattualizzare il tempo dei primordia, e sembra confermare che gli dei riconoscevano al princeps e nel princeps un *augus che lo rendeva degno di portare il cognomen fatale di Augustus.
Note:
1 – La data XVII K. FEBRUARIAS è confermata dal Feriale Cumanum e dai Fasti Praenestini, cfr. ILS: 400, laddove Ovidio, Fast. I, 590, colloca l’avvenimento alle Idus, ossia al 13 del mese; per le implicazioni astrologiche di questa data, cfr. Bakhouche 2012; sull’anno 27 a.C. si registra una generale convergenza, Dio Cass. LIII, 16, 6, Liv. Per. CXXXIV, ad eccezione di Orosio, VI, 20, 1, che data l’avvenimento all’725 aUc, ossia al 29 a.C.
2 – RGDA XXXIV, 1-2; ho seguito l’edizione di Scheid 2007, in particolare accettando l’integrazione [pot]iens, anziché [po]tens come invece proposto da Mommsen 1883: 146.
3 – Per l’interpretazione del passo, cfr. Costabile 2012.
4 – Suet. Aug. 7, 1-2: Postea Gai Caesaris et deinde Augusti cognomen assumpsit, alterum testamento maioris avunculi, alterum Munati Planci sententia, cum, quibusdam censentibus Romulum appellari oportere quasi et ipsum conditorem urbis, praevaluisset, ut Augustus potius vocaretur, non tantum novo sed etiam ampliore cognomine; accurato commento dell’intera testimonianza di Svetonio in Wardle 2014: 105-108; sul ruolo di Planco, cfr. Vell. II, 91, 1; Cens. die nat. 21, 8; per la portata dei provvedimenti del 27 a.C., cfr. Liebeschuetz 2008; per il ruolo di Munatius Plancus e dell’entourage di Octavianus, Zecchini 1996.
5 – Dio Cass. LIII, 16, 7-8: ὁ Καῖσαρ ἐπεθύμει μὲν ἰσχυρῶς Ῥωμύλος ὀνομασθῆμαι.
6 – Dio Cass. LIII, 16, 7-8.
7 – Secondo Liv. II, 8, 1; Plut. Popl. 12, 1; Dion. Hal. V, 19, 4, il console P. Valerius Publicola, nel 509 a.C., primo anno della repubblica, avrebbe fatto votare la lex Valeria de adfectatione regni, una legge che puniva con la dichiarazione di sacertà qualsiasi tentativo di restaurazione della forma monarchica; su questo tema, Santi 2004: 73-77; cfr. anche Pelloso 2013.
8 – Sul rapporto tra Quirinus e Romolus, v. Serv. ad Aen. I, 292: Romulus autem… Quirinus dictus est; nonché Lyd. mens. IV, 111: Κυρῖνον οἱονεὶ Ῥωμύλον; secondo Johannes Lydus, mens. IV, 111, l’uso di chiamare Octavianus con diversi nomi si era già affermato spontaneamente: alcuni lo chiamavano Caesar, altri Quirinus come Romulus; la testimonianza di questo autore si acorda con quanto in Serv. ad Aen. I, 292; il commentatore richiama l’autorità di Virgilio che per due volte nelle Georgiche, Georg. III, 27 e Georg. II, 171, allude al princeps chiamandolo Quirinus.
9 – Sabbatucci 1984.
10 – Per il rapporto Romulus-Augustus, v. Gagé 1930; Burkert 1962; Wiseman 1995: 144 ss.
11 – Pettazzoni 1938: 233-234
12 – Suet. Aug. 7, 2: praevaluisset, ut Augustus potius vocaretur, non tantum novo sed etiam ampliore cognomine.
13 – Cfr. Ov. Fast. I, 613-616: augeat imperium nostri ducis, augeat annos,/ protegat et vestras querna corona fores:/auspicibusque deis tanti cognominis (scl. Augusti) heres/omine suscipiat, quo pater, orbis onus.
14 – Suet. Aug. VII, 3.
15 – Così Vahlen 1928: 91; Gagé 1930: 138 n. 1 fa osservare che la frase anche se fosse interpolata sarebbe comunque antica; a proposito D’Anna 1954: 2, nota come piuttosto Svetonio sembri in dubbio se avvicinare questo gruppo di parole alle frasi avium gestus, avium gustus oppure ad auctus; Aricò Anselmo 2014: 54, prospetta l’ipotesi che Svetonio riprenda in questo caso parte delle motivazioni espresse da Munatius Plancus.
16 – Fest. 2L.
17 – Ov. Fast. I, 609-612: sancta vocant augusta patres, augusta vocantur/templa sacerdotum rite dicata manu: / huius et augurium dependet origine verbi / et quodcumque sua Iuppiter auget ope.
18 – Serv. ad Aen. VII, 153: AVGUSTA AD MOENIA augurio consecrata. hinc paulo post illud est ‘tectum augustum, ingens’. et nisi in augusto loco consilium senatus habere non poterat: unde templum Vestae non fuit augurio consecratum, ne illuc conveniret senatus, ubi erant virgines
19 – Cfr. Shuckburgh 2011: 13; contra Neumann 1976.
20 – Walde- Hofmann 1938: 79-83; DÉLL, s.v. augeo: 83-86.
21 – Pokorny 1959: 84.
22 – DÉLL, s.v. augeo: 83.
23 – Enn. Andr. 103 Vahlen: Quid fit? Seditio an tabetne numeros augificat suos?
24 – DÉLL, s.v. augeo: 83.
25 – ibid.
26 – DÉLL, s.v. augeo: 84.
27 – ibid.; Arn. ad nat. VII,17, 3; VII, 27, 6.
28 – DÉLL, s.v. augeo: 84; Cic. de fato fr. 3 Müller: pater ipse/Iuppiter auctiferas lustrauit lumine terras.
29 – DÉLL, s.v. augeo: 84; Lucr. II, 571.
30 – DÉLL, s.v. augeo: 82; augmentum è termine tecnico anche del diritto, della grammatica e della retorica.
31 – DÉLL, s.v. augeo: 85.
32 – ibid..
33 – Prisc. GLKeil, II, 27, 17: auger sacrum sacellum, antiqui auger et augeratus pro augur et auguratus.
34 – DÉLL, s.v. augeo: 84.
35 – Ov. Fast. I, 608.
36 – Ov. Fast. I, 612.
37 – Otto 1917.
38 – Per il mana, cfr. Brelich 1966: 12-13; Pignato 2001: 59-89.
39 – Wagenvoort 1947: 12.
40 – Wagenvoort 1947: 12-13; in questo caso, H. Wagenvoort non tiene conto del fatto che l’attribuzione delle epiclesi Augustus/Augusta/Augusti a figure divine inizia ben prima dell’epoca di Apuleio (125-170 d.C.), cfr. la dedica AVG(VSTIS) LARIBUS da Betriacum datata al 59 a.C., CIL V, 4087; la diffusione di questo uso in età imperiale dipende dal conferimento del titolo di Augustus ad Octavianus e dalla sua divinizzazione già in vita, a partire dalle province orientali, in associazione con la dea Roma: a Pola, in Dalmazia, il tempio della dea Roma e di Augusto fu dedicato quando Augustus era ancora in vita; un tempo dedicato alle stesse figure fu costruito nel Foro di Ostia in epoca tiberiana, e gli esempi potrebbero moltiplicarsi, anche per le province occidentali, cfr. Fishwick 1991: 436-481.
41 – Wagenvoort 1947: 13.
42 – Wagenvoort 1947: 12.
43 – Wagenvoort 1947, pp. 16-17; la confutazione delle tesi di Wagenvoort è stata fatta da Sabbatucci 1975: 127-147.
44 – Wagenvoort 1947: 13.
45 – Wagenvoort 1947: 14.
46 – L’equivalenza sacer-tabu si trova già chiaramente affermata in Warde Fowler 1911.
47 – Per la definizione di tabu, Brelich 1966: 54-57; Pignato 2001: 90-122.
48 – Marett 1909.
49 – Wagenvoort 1947: 14
50 – L’equivalenza augustus-mana ha mantenuto un certo credito in ambito filologico, cfr. Skutsch 1985: 315.
51 – I passi sono: Cic. nat.deor. II, 62: non eumquem nostri maiores auguste sancteque Liberum cum Cerere et Libera consecraverunt; Cic. nat.deor. II, 79: quae qui convenit penes deos esse negare, cum eorum augusta et sancta simulacra veneremur.
52 – Gli studiosi fanno riferimento alternativamente alle forme *auges / *augus, che sono avvertite come sostanzialmente equivalenti.
53 – Dumézil 1957, ripubblicato con il titolo ‘Augur’ in Dumézil 1969.
54 – Gonda 1952.
55 – Dumézil 1969: 95.
56 – Dumézil 1969: 93.
57 – Weiss 2011: 372.
58 – Baetke 1942.
59 – A titolo di esempio, ricordiamo che secondo Benveniste 1974: 187-192, sanctus esprimerebbe il sacro-positivo, sacer il sacro-separato.
60 – Dumézil 1966: 127.
61 – Santi 2004: 48-49.
62 – Santi 2004: 89-91.
63 – Santi 2004: 87.
64 – TLL I: 288-289.
65 – Acc. Oenom. VIII, 15-16 Dangel: Cives ominibus faustis augustam adhibeant / Faventiam;.
66 – Cfr. la traduzione di Dangel 1995: 114: «observer le silence sacré».
67 – Enn. Ann. 501 Vahlen: Augusto augurio postquam incluta condita Roma est.
68 – Cic. Verr. II.5, 186: augustissimo et religiosissimo in templo; Cic. dom. 137: in loco augusto
69 – Cic. Mil. 43: ad illa augusta centuria rum auspicia.
70 – Cic. leg. II, 35: augusta illa mysteria
71 – Cic. Brut. 83: non …de religione dici possit augustius.
72 – Cic. Tusc. V, 36: sancto augustoque fonte; Cic. nat. deor. I, 119: Eleusinem sanctam illam et augustam; Cic. nat. deor. II, 79: augusta et sancta simulacra; Cic. nat. deor. II, 62: auguste sancteque…consecraverunt; Cic. nat. deor. III, 53: auguste omnes sancteque veneramur.
73 – Cic. har. resp. XII, 10.
74 – Lyd. mens. IV, 111.
75 – Ael. Gall. fr. 14 Bremer: sacrum esse, quodcumque more aut instituto civitatis consecratum sit sive aedis sive ara sive signum sive locus sive pecunia sive quid aliud, quod dis dedicatum atque consecratum sit; accettiamo la variante more, piuttosto che modo, in quanto riteniamo che essa specifichi in modo tecnico l’alternativa ad instituto.
76 – Gai. Inst. II, 5: sacrum quidem hoc solum existimatur, quod ex auctoritate populi Romani consecratum est, veluti lege de ea re lata aut senatus consulto facto
77 – Per l’analisi di questi testi, cfr. Sabbatucci 1975: 163-176; francamente non comprendiamo su quali basi documentarie, Gianluca De Sanctis, De Sanctis 2009: 83-84, possa affermare, con sconcertante sicurezza, che «sacer indica uno stato naturale, (…) segnala una «qualità assoluta», potremmo dire, il valore «misterioso del sacro, la sua forma implicita».
78 – Ernout 1921: 238.
79 – Acc. Telephus fr. 92 Dangel: Pro certo arbitrabor sortis oracla adytus augura?
80 – Weiss 2011: 378; il significato di augura è chiaro grazie alla glossa di Non. 488, 2: ‘augura’ pro auguria
81 – Weiss 2011: 377-378.
82 – Cfr. il skr. tápu- ‘caldo’, Nussbaum 1986: 145; per questa classe di aggettivi in greco, cfr. de Lamberterie 1990; in greco, questi aggettivi tendono ad essere sostituiti da aggettivi derivati, e.g. κρατύς con κρατερός, Chantraine 1967: 106.
83 – Nussbaum 1986: 146; Weiss 2011: 378.
84 – Pokorny 1959: 711
85 – Weiss 2011: 378.
86 – Per il valore di augeo come fenomeno positivo riferito alla famiglia o ai genitori, cfr. Pl. Rud. 1207-08: atque adorna, ut rem divinam faciam, cum intro advenero,/Laribus familiaribus, cum auxerunt nostram familiam; Pl. Truc. 384: cum tu es aucta liberis, cfr. 516: quomque es aucta liberis; Cic. ad Att. I, 2, 1: filiolo me auctum scito.
87 – Per augmen=crescita come fenomeno naturale, cfr. Lucr. I, 434-435: nam quod cumque erit, esse aliquid debebit id ipsum augmine vel grandi vel parvo denique, dum sit; cfr. anche II, 72-73; II, 188, 495 e 1133; III, 268; V, 681 e 1307.
88 – Questo schema è ripreso e riadattato da Weiss 2011:
89 – Liv. XXIX, 27.
90 – Front. de fer. Als. 4; Ps.Sall. Caes. I, 7, 4.
91 – Ehrenthal 1881: 36.
92 – Cic. har. resp. XVIII.
93 – Gai. I, 159.
94 – Gai. I, 159-162; dal momento che la posizione giuridica si concretizzava nell’appartenenza alla civitas e alla famiglia, la deminutio capitis conosceva varie gradazioni: era massima, in caso della perdita della libertà e della cittadinanza, media in caso di perdita della cittadinanza e minima, quando attraverso l’adozione si cambiava famiglia, mantenendo sia la libertà che la cittadinanza.
95 – Betti 1942:38: «Si dice status di una persona la speciale posizione giuridica che quella persona assume, per una necessità superiore al suo interesse e indipendente dal suo volere, rispetto a una comunità di persone organizzata ad ordine giuridico, della quale fa parte. Comunità organizzate per necessità che trascendono l’interesse e l’arbitrio dei singoli e tali da costituire un ordine giuridico a sè sono per i Romani la civitas e la familia».
96 – RGDA XXXIV: POST ID TEM[PUS A]UCTORITATE [OMNIBUS PRAESTITI, POTEST]ATIS AU[TEM N]IHILO AMPLIU[S HABU]I QUAM CET[ERI QUI M]IHI QUOQUE IN MA[GIS]TRA[T]U CONLEGAE F[UERUNT]; recente revisione del problema dell’auctoritas di Augustus in Rowe 2013.
97 – Suet. Aug. 95: Primo autem consulatu et augurium capienti duodecim se vultures ut Romulo ostenderunt (…) nemine peritorum aliter coniectante quam laeta per haec et magna portendi; Obseq. 69; App. bell. civ., III, 13, 94; con qualche differenza, Dio Cass. XLVI, 46, 2-3; per questo episodio, Wardle 2014: 534; la bibliografia sull’auctoritas è vastissima; ancora valido, Heinze 1925; cfr. anche Ramage 1987: 80 ss; Hellegouarc’h 1987: 84-90.
98 – Non è possibile in questa sede entrare nella differenza tra auspicium ed augurium; richiameremo a proposito le parole di Linderski 2292: «Of course it is evident that the augurium contained an element of divine permission for without Jupiter’s will it could not manifest itself. But as Jupiter gave his permission through the agency of auspices, it follows that he employed the same means of communication also with respect to the acts of augury. Hence each act of augurium presupposes the consultation of auspices; without auspicium no augurium. In that combination auspicium stands for permission, and augurium denotes ‘increase’ or, more exactly, it transfers a person, a place or a ceremony into a special ‘inaugurated’ status».
99 – Per il cd. Romulusperiode di Augustus, Kienast 1982: 79 e n. 45.
100 – Suet. Aug. 31, 4; Dio Cass. LI, 20, 4; per un commento alla testimonianza di Svetonio, Wardle 2014: 253-254.
101 – Dio Cass. XXXVII, 24, 2-3; sull’augurium salutis, cfr. Montanari 1996; Montero 2001.
102 – Santangelo 2013: 262.
103 – Cfr. Kearsley 2009.
104 – Dio Cass. LIII, 20, 1.
105 – Per il prodigium come segnale della rottura della pax deorum, cfr. Santi 2008: 94-97.
106 – Benveniste 1969: 158-160.
107 – I due prodigi fausti sono: la cd. vacca ominale o «vache d’empire», Plut. Quaest. Rom. IV; Liv. I, 45, 4-7; Val. Max. VII, 3, 1; Zon. VII, 9; Aur. Vict. vir. ill. VII, 10, su cui v. Dumézil 1943, 208-213; Santi 2008: 60-62; il caput humanum, Liv. I, 55, 5-6 Dion. Hal. IV, 59-61; Plin. N.H. XXVIII, 13; Serv. ad Aen. VIII, 345; Zon. VII, 11d; Arnob. ad. nat. VI, 7, su cui v. Santi 2008: 62-66.
108 – Catalano 1960: 26.
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Claudia Santi, storica delle religioni e filologa, prof.ssa presso l‘Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.