“Il sogno nella tarda antichità” di Patricia Cox Miller: i sogni di San Gerolamo e il Pastore di Erma – 5^ parte – Piervittorio Formichetti
Gerolamo, nativo di Stridone in Dalmazia, per primo tradusse integralmente la Bibbia in latino: alla sua versione, detta «Vulgata», risale lʼequivoco dal quale derivò la famosa immagine di Mosè cornuto (qeren in ebraico) anziché raggiante (qaran) che si ritrova anche nella celebre scultura di Michelangelo Buonarroti. Nellʼanno 384 Gerolamo si trovava a Roma come teologo consulente del papa Damaso e consigliere di un gruppo di colte donne cristiane. A una di loro, Eustochio, egli scrisse una lettera in cui raccontava come una decina dʼanni prima, trovandosi nel deserto siriano presso Calcide dove si era ritirato in ascetica meditazione, la sua mente era sovente assediata da immagini delle comodità della vita a Roma e soprattutto di fanciulle danzanti. Non risulta chiaro se queste visioni, che – con le parole di Patricia Cox Miller – «riflettevano la lotta dellʼasceta contro il persistere del desiderio sessuale», siano state veri e propri sogni durante il sonno, o piuttosto immagini prodotte inconsciamente durante la meditazione diurna.
Pur non avendo scritto nessun trattato sistematico sui sogni, alcune riflessioni sparse nella sua opera indicano comunque che Gerolamo «aveva familiarità con le differenti opinioni affermatesi nella sua cultura in merito ai fenomeni onirici», distinti anche da lui in sogni veridici, possibilmente premonitori e profetici, e sogni falsi o insignificanti. Tra questi ultimi, ad esempio, quello di un mendicante che sogni di trovare unʼimprovvisa ricchezza, o quello di un assetato che sogni di bere: questi sogni sono soltanto vagis imaginibus (vaghe immagini) chiaramente rivelatrici di ansie e problemi dellʼindividuo. Conosceva la teoria psico-biologica dei sogni, generati ad esempio da un pasto troppo abbondante, così come la possibilità dellʼispirazione demonica dei sogni, ad esempio le immagini tentatrici di donne nude sognate dallʼeremita Ilarione, di cui Gerolamo scrisse la biografia. Quanto ai sogni significativi, egli conosceva la teoria dellʼispirazione divina, quindi la possibilità che essi abbiano valore di predizione o di allegoria morale. Come Tertulliano, anche Gerolamo accettava senza riserve – sulla base del libro biblico di Daniele, che narrava i sogni simbolici inviati da Dio allʼimperatore babilonese – che chiunque, pagani e cristiani, sia persone corrotte sia moralmente integre, potessero ricevere sogni significativi; il carisma della decifrazione, però, era concesso da Dio soltanto alle personalità integerrime, cioè ai santi.
Come Artemidoro, Gerolamo fu molto attento alle condizioni materiali e contestuali del sognare: i sogni potevano servire per «fare il punto» sui vari aspetti della vita del sognatore. E a questo proposito, nella stessa lettera ad Eustochio in cui ricordava le visioni (oniriche?) che lo tentavano, egli raccontò «il più celebre dei suoi sogni» – avvenuto probabilmente nellʼanno 374, pochi mesi prima di ritirarsi in eremitaggio in Siria, cioè agli inizi della sua pratica ascetica, «quando, incapace di rinunciare alla sua amata biblioteca, digiunava solo per poter poi leggere Cicerone a moʼ di ricompensa per le sue rinunce. Faceva lo stesso anche con Plauto, e, evidentemente, con il resto del corpus profano che tanto ammirava», mentre – come ad Agostino dʼIppona prima di convertirsi al cristianesimo – lo stile delle Sacre Scritture gli sembrava troppo sciatto per essere attraente. Gerolamo, dunque, durante una malattia sognò di essere portato «in spirito» davanti al Giudice celeste (il Cristo), davanti al quale si dichiarò cristiano; il Giudice però replicò: «Tu menti: sei ciceroniano, non cristiano», e ordinò che fosse colpito da alcune figure presenti con una verga o con dei flagelli, finché giurò: «Oh Signore, se mai terrò ancora dei testi profani o ne leggerò, sarà come se ti avessi rinnegato!». Gerolamo si svegliò con gli occhi «talmente inondati di lacrime da rendere credibile anche alle persone più incredule la sincerità del mio dolore».
Gerolamo non negò mai lʼautenticità del suo sogno, e nella lettera mostra di distinguerlo bene dalle «vane immaginazioni che spesso ci ingannano» e dai sogni insignificanti (vana somnia). Secondo Patricia Cox Miller, il sogno fu davvero unʼesperienza segnante per lui, e rifletté il suo conflitto interiore tra la forte attrazione per la vita ascetica da un lato, e lʼaltrettanto forte passione per la cultura umanistica classica, così come la visione (onirica?) delle belle danzatrici durante la meditazione nel deserto esprimeva il dibattersi della sua mente tra la volontà ascetica e il senso erotico. Gerolamo tuttavia non fu completamente fedele al suo giuramento onirico di rinuncia assoluta alle letture pagane e profane, perché, anni più tardi, «elaborò una teoria per un uso giudizioso di tale letteratura da parte dei cristiani». Dal punto di vista psicologico, il sogno del tribunale divino – scrive lʼAutrice – presentò al futuro santo «“lʼaltro” del suo io ciceroniano, un io risanato e non più combattuto tra due linguaggi contendenti. Tuttavia […] questo sogno presentava a Gerolamo lʼimmagine di un io che non esisteva ancora. […] Inoltre, poiché la fonte dei sogni era collocata nellʼalterità – in Dio – il sogno presenta al sognatore unʼimmagine di se stesso “scritta” da ciò che è altro da lui».
Questa stessa dinamica psicologica – lʼuomo “nuovo” (cristiano) che grazie ai sogni inviati dalla Divinità integra e migliora lʼuomo “vecchio”, senza che però sia possibile escludere totalmente il retroterra psicologico pagano – si trova anche nel testo intitolato Il Pastore, scritto verso lʼanno 140. Il Pastore era molto diffuso nel II secolo: il «Frammento Muratoriano» (dal nome del noto storico Ludovico Antonio Muratori, che lo scoprì nel 1740) testimonia che le autorità della Chiesa del II e III secolo dibatterono sullʼopportunità di includerlo nel canone dei testi biblici, dal quale fu poi escluso, permettendone però la lettura in privato. Il Pastore cui allude il titolo è la figura centrale del testo, ma appare soltanto alla fine, dopo cinque «visioni» (horaseis) di Erma, lʼautore-narratore che secondo il «Frammento Muratoriano» era fratello di Pio, il vescovo di Roma. Le cinque visioni giungono a Erma, a distanza di alcuni giorni tra loro, mentre siede sul suo letto o quando si addormenta; inoltre egli parla di «rivelazioni» mostrategli di notte «mentre dormivo»: dunque si tratta quasi sempre di sogni. Allʼinizio de Il Pastore, Erma si trova in viaggio; durante una sosta sʼaddormenta e – narra – «lo Spirito Santo mi prese e mi trasportò lontano», facendogli attraversare un paesaggio (onirico) scosceso e impervio, alla fine del quale si apre una radura pianeggiante, dove Erma si mette a pregare; a questo punto dal cielo scende la prima delle due figure femminili allegoriche da lui viste.
Fin qui il racconto di Erma è abbastanza simile a quelli di alcuni profeti biblici e dellʼautore dellʼApocalisse; Cox Miller nota anche che «il sequestro di Erma e il suo rapido accompagnamento nellʼincubo, che avviene mentre sta “glorificando la grandezza, la magnificenza e la possanza del Creato”, genera una somiglianza formale con lʼinizio del trattato ermetico Poimandres: qui il narratore, mentre sta “pensando allʼEssere”, sente i suoi sensi corporei “trattenuti come accade a coloro che sono sopraffatti dal sonno”, quindi si trova di fronte a una gigantesca figura onirica». In effetti tra il Poimandres (o Pimandro), primo testo del Corpus Hermeticum, e la figura del pastore un legame cʼè, poiché il significato di questo nome deriva forse dal greco «pastore dellʼuomo» (poimen àndros) o dallʼegizio Pime-nte-Ra, «Conoscenza di Ra», il dio solare supremo. La figura femminile che appare a Erma è Rode, una «sorella», cioè cristiana come lui, nella cui casa Erma era stato servo prima di essere affrancato. Come egli narra, un giorno Rode gli aveva chiesto di aiutarla ad uscire dalle acque del Tevere dopo un bagno, senza badare che fosse nuda e che lui era un giovane già sposato; questo episodio aveva suscitato in Erma «desideri adulterini che non era riuscito a reprimere completamente con successo». La Rode del sogno può dunque essere una reminiscenza del suo desiderio erotico, ma anche unʼimmagine per mezzo della quale egli disapprova i propri pensieri lussuriosi; tuttavia la donna rassicura il sognatore che mediante la preghiera potrà redimersi. Rode scompare ed Erma si ritrova «tremante e contristato» nel paesaggio del «sogno-cornice».
Gli appare quindi una seconda figura femminile, questa volta anziana e autorevole: «Vedo innanzi a me un bianco seggio, grande, fatto di lane nivee. E venne una donna vecchia, in splendide vesti, con un libro in mano». Iconograficamente, potrebbe sembrare una delle Sibille, che si riteneva vivessero molto più a lungo dei comuni mortali: nel libro VI dellʼEneide, Virgilio definiva la Sibilla Cumana «longeva sacerdos». Fingendo di non sapere, la vecchia chiede a Erma perché sia così triste; e al suo racconto del precedente incontro onirico con Rode, ella risponde leggendo dal libro (lʼAutrice non precisa se sia un volumen, cioè un rotolo, o un codex) che ha in mano: «parole da far tremare», dice Erma, rivolte soprattutto a «pagani e apostati». Dunque, secondo Patricia Cox Miller, Erma fu segnato da queste apparizioni oniriche anche perché gli rivelavano «il suo io apostata […], perché gli impongono di confrontarsi con aspetti di sé che egli preferirebbe non vedere». Tuttavia lʼanziana donna, lasciandolo, lo incoraggia: «Comportati da uomo», per suggerirgli che «se egli ascolterà le parole che gli ha detto nel sogno, sarà un uomo e non più quel ragazzo miserabile e confuso che è in questo momento».
Circa un anno più tardi, Erma sogna di trovarsi di nuovo nello stesso paesaggio onirico dove gli appare nuovamente la vecchia, che legge ad alta voce da un libricino. La donna chiede a Erma di far conoscere ciò che sta leggendo alla sua comunità, ma poiché egli non riesce a ricordarlo tutto, lei gli consegna il libro perché possa copiarlo. Ed Erma narra: «Ricevuto il libro, mi sedetti in disparte e trascrissi ogni cosa lettera per lettera, giacché non riuscivo a individuare le sillabe della scrittura». Quindici giorni dopo, un nuovo sogno gli chiarisce «la conoscenza di quello scritto», ed Erma capirà che quelle sillabe sono addirittura una descrizione di lui stesso. Questa “dislessia onirica” indicherebbe che Erma deve ancora progredire nella conoscenza di se stesso e del significato delle immagini oniriche che lo visitano: il sogno di Erma equivale dunque alla celebre esortazione greca gnòthi seàuton, «conosci te stesso».
Erma diverrà un buon ermeneuta dopo tutta una serie di sogni allegorici in cui, prima del Pastore, compare ancora la donna vecchia con la duplice funzione di immagine allegorica e di interprete. In un sogno, essa appare in una landa desolata, dove ordina a un gruppo di ragazze: «Andate e costruite», dopodiché scompare. Il sogno continua con le giovani che costruiscono una torre; Erma prega allora la vecchia di rivelargli il senso di questa scena e lei, riapparendo, spiega che «il sogno interno sulla costruzione della torre è una parabola, e che, inoltre, lei stessa è la torre, che è anche la Chiesa». In un successivo sogno-parabola, Erma si intrattiene con le vergini che hanno costruito la torre-Chiesa: «“Con noi dormirai da fratello, non già come sposo – gli dice una di loro – tu sei nostro fratello, perciò dʼora innanzi abiteremo con te, giacché la nostra tenerezza per te è grande”. Ma io mi vergognavo di restare con loro, e allora quella che sembrava la prima fra esse prese a baciarmi e ad abbracciarmi, e anche le altre, ciò vedendo, cominciarono a baciarmi conducendomi intorno alla torre, giocando giovanilmente con me […]: alcune danzavano, altre saltellavano, altre infine cantavano, e io, silenzioso, passeggiavo con loro intorno alla torre, compenetrato della loro delizia». Questa scena onirica è stata commentata così da Peter Brown: «Nella vasta mente [di Erma] frusciano agili fanciulle che danzano nei verdi prati di unʼArcadia cristiana». Più avanti, il Pastore apparso a Erma, nel rivelargli il significato dei suoi sogni menzionerà i nomi di queste fanciulle: Fede, Continenza, Verità, Concordia, Amore, e così via, facendogli comprendere che esse sono dodici virtù umane del cristiano, il quale soltanto unendosi a loro come un fratello può costruire la torre-Chiesa.
In uno degli ultimi sogni, Erma sente la voce di Dio «come il suono della mia voce, dicendomi “Non esitare, Erma”». Patricia Cox Miller nota che per il narratore-sognatore questa voce, che è la propria ma esprime la volontà del Signore, segna per Erma un ulteriore avvicinamento al proprio Sé divenuto “adulto”, «unʼeco della propria prospettiva approfondita» grazie ai sogni precedenti. Nello stesso sogno, a questo aspetto uditivo se ne aggiunge un altro, visivo-cromatico, con analogo significato. Erma vede «una bestia enorme, come una balena», con la pelle multicolore, dalla cui bocca escono cavallette di fuoco (una rielaborazione inconscia di un elemento dellʼApocalisse); ne è spaventato, ma rammentando le parole di Dio, «Non esitare», cammina incontro alla bestia e questa non gli nuoce in alcun modo. LʼAutrice commenta: «Non essendo più esitante, Erma è in grado di affrontare persino le immagini oniriche più spaventose». Appare quindi nuovamente la vecchia, questa volta in veste di sposa (metafora del fatto che Erma sta concludendo un percorso), che gli spiega il significato allegorico dei colori del mostro: in modo interessante, il color oro simbolizza Erma stesso, che è divenuto prezioso (come il metallo) per se stesso e per Dio: «Come spiega la vecchia, il colore dorato di Erma significa il raggiungimento di una prospettiva etica responsabile». Da parte nostra, notiamo che il significato simbolico dellʼoro può sembrare analogo a quello dello stesso metallo prezioso nellʼalchimia intesa in senso ascetico, dove, come è noto, lʼoro finale può rappresentare anche il compimento dellʼevoluzione spirituale dellʼadepto, la sua purificazione dalle false immagini di sé e la scoperta della propria unione con la Divinità.
Nellʼultimo sogno di Erma giunge quindi il Pastore, che gli promette di dimorare per sempre con lui: esso è quindi unʼimmagine del magister interior, cioè del Cristo, e a livello psicologico «lʼincarnazione della coscienza mutata di Erma», che gli consente di reinterpretare tutti i suoi sogni, di scriverli e svelarne i significati edificanti a beneficio dei correligionari: come Erma, allʼinizio, aveva dovuto “leggere” e capire le immagini dei suoi sogni, così la sua comunità dovrà leggere e interiorizzare le parole de Il Pastore. Il protagonista soprannaturale del libro è infatti definito da Erma ànghelos tes metànoias, «messaggero del cambiamento di mentalità», cambiamento vissuto dallo stesso Erma grazie ai suoi sogni. Da questo punto di vista – nota Cox Miller – Il Pastore è parallelo formalmente ai Discorsi sacri di Elio Aristide, scritti, come si è visto, mezzo secolo più tardi: in entrambi i testi, «una figura divina appare al sognatore per trasmettere un certo tipo di informazioni essenziali, e in entrambi i casi il rivelatore onirico diventa un compagno permanente: nel caso di Erma, il Pastore afferma che vivrà nella sua casa [il che equivarrebbe a essere presente nella mente dell’autore] per il resto della sua vita. Inoltre, in entrambi i libri onirici le informazioni fornite dalla figura del sogno dànno al sognatore un senso di sollievo e la convinzione di essere stato salvato dalla rovina nel mezzo del suo travaglio esistenziale».
Piervittorio Formichetti
(continua…)