Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il sincretismo del reale nel peana euripideo – Gabriele Cupaiolo
Consonanza quale Philotes, dissonanza quale Neikos – 2^ parte
Viene sottoposta all’attenzione del lettore, in seguito alle considerazioni più generali fattesull’ancipite valenza dell’inno in Euripide, una trattazionespecifica, riguardantela particolare forma innodica del παιάν (o παιών in attico1). Alcune informazioni preliminari: questo prodotto artistico consistein un canto originariamente eseguito in onore di Apollo-guaritore2, poiestesosi alla preghiera ad Artemide3 e successivamente ad altre divinità olimpiche, fino a divenire anche generico sinonimo di canto monodico, dedicato persino ai morti4; l’accompagnamento musicale era costituito dal suono della lira o del flauto5, mentre il carattere marziale e concitato scaturisce dalla cellula ritmica fondamentale, ossia il piede del peone – nelle sue quattro varianti – e plausibilmente da formule melodico-armoniche contemplanti tecniche di quarte e quinte parallele, cromatismi, movimenti per tono congiunto, canto simil sillabico6. La funzione di questa modalità esecutiva era principalmente propiziatrice e festiva (is a song intoned in joyful or hopefuloccasions7: L.P.E. Parker fa derivare a buon merito il carattere raggiante del peana dalle due differenti matrici della gioia in quanto appagamento o in quanto fremente aspettativa), al fine di ottenere protezione divina di fronte al pericolo8, o in occasione di sacrifici e di banchetti, o successivamente ad una vittoria conseguita, nonché allo scopo di mantenere le file durante l’attacco bellico9.
In Euripide incontriamo questo termine all’interno di nove tragedie; innanzitutto nello Ione, v. 906, che è un passo in cui è attribuita a Febo la prerogativa sacrale su questo tipo di canto: σὺ δ’ ἀεὶ10κιθάρᾳκλάζεις παιᾶνας μέλπων, E tu, invece, sei sempre a cantare con la cetra, intonando peani: così il Coro apostrofa Apollo, biasimandolo in quanto autore della violenza su Creusa (pochi versi prima si faceva grottescamente riferimento agli inni armoniosi delle Musecantati dal dio – vv. 881-4), ma sottolineandone comunque il patrocinio su un preciso genere poetico e su uno specifico strumento musicale ad esso associato – perdipiù correlato con i generici ὕμνοι in suo onore. Nell’Alcesti, al verso 221, Apollo viene invocato dal coro nella sua qualità di Signore Peana (ὦναξ Παιάν), esortato ad inventare un toccasana per Admeto (μηχανάντιν’ Ἀδμήτωι, v. 222), di modo che la sua fatale condanna a morte possa disciogliersi e non essere pagata da alcuno. Ai vv. 422-4 Admeto risponde al Coro che lo esortava a darsi pace, in quantoné il primo né l’ultimo dei mortali ad aver perso una moglie bella; replica infatti: Su, curerò la processione del cadavere, voi state qui, e aspettando fate risuonare un peana privo di libagioni al dio infernale:
ἀλλ’, ἐκφορὰνγὰρτοῦδεθήσομαι νεκροῦ,
πάρεστε καὶ μένοντεςἀντηχήσατε
παῖανα τῶικάτωθενἄσπονδονθεῶι
Se πάρεστε assume con tutta probabilità il significato di rimanete al funerale, è da valutare con attenzione il significato di ἀντηχήσατε, da ἀντηχέω, verbo che leggiamo anche al v. 426 della Medea, col significato di far risuonare di rimando; lo Pseudo-Aristotele (Problemi 919b 16) lo riferisce, nello specifico, alla risonanza simpatetica degli strumenti a corda. Certamente il suffisso ἀντι- del composto presuppone una qualche tecnica assimilabile all’antifona, secondo una modalità di controcanto tipicamente propria del genere corale e dunque del peana; pure di un peana eccezionale e sospetto, a) in quanto ἄσπονδον, non accompagnato dall’usuale libagione, che è d’uopo nell’ambito della celebrazione per ringraziare una divinità, b) in quanto rivolto a Ade, il quale solitamente non è venerato tramite questo strumento poetico-musicale. Sussistono dunque due possibilità, che ‘peana’ sia utilizzato per indicare, più che il genere poetico musicale, quello che Parker definisce shock-effect11 (in linea con passi sia eschilei che euripidei – interessante il confronto anche coi passi di anti-inno che avevamo esaminato12 nella scorsa trattazione – i quali, pur evidenziando effetti fra loro non necessariamente somiglianti, offrono una valida alternativa concettuale, capace di risolvere l’inappropriato accostamento fra morte e peana stesso), oppure che Admeto stia esortando ad un canto di ottimismo in aperto segno di sfida alla morte, nella forma dell’encomio e dunque perfettamente adatto alla valenza stretta del termine13. Lo shock-effectsarebbe presente anche nelle Troiane, v. 126, nel corso dell’evocazione della flotta greca da parte di Ecuba, descritta mentre procede tra l’odioso peana dei flauti (αὐλῶν παιᾶνιστυγνῷ) e la voce degli armoniosi zufoli (συρίγγων τ’ εὐφθόγγωνφωνᾷ), associazione solo all’apparenza dissonante: in questo contesto infatti, per sottolineare l’ambivalenza di questo peana, viene posto particolare riguardo all’accumulo aggettivale in quanto mezzo espressivo, in modo da creare una risonante pateticità, carica di elementi esornativi ed indicativi14; al v. 578, durante la sticomitia tra Andromaca ed Ecuba, la moglie di Ettore chiede alla suocera: Perché gemi il mio peana? (τί παιᾶν’ ἐμὸνστενάζεις;), ponendo in essere ancora una volta l’ossimorico accostamento di peana e lamento luttuoso, con la conseguenza di un’icasticità particolarmente riuscita. Accostamento particolarmente caro ad Euripide, che lo sfrutta anche nell’Elena, al v. 178, quando la Tindaride – all’interno del suo lamento che evocherà il Coro in risposta, dando vita al κόμμος – auspica che coro di sangue in sintonia coi miei lamenti invii Persefone, e che in cambio si prenda da me un peana per i morti in rovina, sotterra, nel suo tenebroso regno(παρ’ ἐμέθεν ὑπὸ μέλαθρα νύχια παιᾶνα νέκυσινὀλομένοιςλάβῃ), un peana descritto pochi versi prima come una μοῦσαν da intonare δάκρυσιν ἢ θρήνοις ἢ πένθεσιν.
A consentire il così sorprendente accostamento ‘morte/rovina-peana’ (manifestatosi nella tradizione precedente persino tramite espressioni quali peana delle Erinni15 o peana di Ade16), estremizzazione del concetto di anti-inno, concorre in una qualche misura, probabilmente, quell’elemento di eccitazione emotiva che – di per sé – già connotava il bagaglio di occasioni tradizionalmente tipiche del genere stesso: i momenti della celebrazione o dell’attacco bellico, della preparazione del sacrificio e dell’invocazione in presenza di ostilità, per quanto causa di diffusa esaltazione, sono tutti accompagnati da quella componente di irrequieta reverenza rivolta al più poliedrico e misterioso fra gli dei, Apollo allo stesso tempo ἑκατηβόλος e, per l’appunto, παιάν; e questo quasi come se, in segno di omaggio alla natura del multiforme Febo, si rendesse necessario provvedere ad una più complessa articolazione di quel genere canoro a lui dedicato, cogliendo l’occasione di descriverne anche i lati più oscuri (si pensi alla figura del dio presentata nello Ione). Allo stesso tempo non è da sminuire la potenzialità di un’intenzione talvolta fondamentalmente ironica, come leggiamo nel Ciclope, al v. 664, quando il Coro definisce bel peana il lamento intonato da Polifemo da poco accecato: καλός γ’ ὁ παιάν· μέλπε μοιτόνδ, ὦ17Κύκλωψ. Cantamelo, o Ciclope!: questa sollecitazione rende certo merito alla natura lirica di questo tipo di invocazione, ma soprattutto indica che l’accezione del peana in un senso antitetico rispetto alla sua natura è stata sicuramente anche oggetto di parodia18 – cosa che avviene in quest’opera, che tragedia non è, bensì dramma satiresco. Paduano legge sotto questa luce ironico-dissacrante anche l’Agamennone eschileo, v. 645, ma non crediamo che la stessa chiave di lettura possa essere adottata così diffusamente: per descrivere l’effetto del peana rovesciato nella tragedia forse la terminologia di Parker è la più adatta, e verosimilmente anche quella in grado di far intuire perché proprio il peana, più frequentemente tra tutti gli inni, vada incontro ad un particolare ampliamento semantico, per nulla tratto caratteristico di altre forme di poesia e di canto. L’ironia utilizzata nel Ciclope e condivisa con la tragedia attica classica tutt’al più sta nel rapporto dialogico tra i due protagonisti, Coro e Ciclope: è un tòposche X e Y si trovino in stati interiori opposti, e che la descrizione che X offre di Y sia allo stesso tempo conveniente e inappropriata rispetto all’azione in corso; negli altri passi questa formula non è presente, ragione per cui un’idea di peana negativo in quanto frutto di finalità in toto ironiche non sembra convincente. Nell’Ifigenia in Tauride emerge esplicitamente tutta la distanza che separa il vero peana dal tema della tristezza e del cordoglio, infatti ai vv. 181-185 leggiamo:
ἐξαυδάσωτὰνἐν
θρήνοιςμοῦσαν νέκυσινμέλεον,
τὰνἐνμολπαῖςἍιδας ὑμνεῖ
δίχα παιάνων.
ovvero intonerò per i morti la triste musica dei cordogli, quella che Ade esegue nei suoi canti inconciliabili col peana: sono le parole del Coro che si rivolge ad Ifigenia, dopo che essa ha rimembrato le sventure della casa paterna, convinta anche della morte del fratello Oreste, che di lì a poco incontrerà di nuovo. L’avverbio δίχα, come avevamo detto, indica una separazione netta e letteralmente dualistica, in questo caso tra la musica del θρῆνος e del παιάν: la sensazione di straniamento sperimentata dal pubblico all’udire questo termine accostato ad un contesto di desolazione e rovina doveva essere dunque, nei casi precedentemente visti, davvero scioccante e inaspettata, come sarebbe per noi, per esempio, ascoltare una festosa marcia di paese mentre accompagna un corteo funebre. Nella stessa tragedia il Coro, ai vv. 1125-7, descrive uno strumento tipico del peana:
συρίζων θ’ ὁ κηρόδετος
Πανὸςοὐρείουκάλαμος
κώπαις ἐπιθωύξει
ossiala cerata canna di Pan montano, zufolando, farà risuonare gli ordini per i rematori. Abbiamo un’importante conferma del legame tra uno specifico strumento e l’esecuzione musicale del genere in questione. Da cosa deduciamo che la melodia del κάλαμος risuonasse nel contesto di un peana? Questa descrizione prefigura la scena ai vv. 1403-419 (quando i marinai rispondono alla preghiera di Ifigenia e sono impegnati a muovere l’imbarcazione), in cui osserviamo che quel canto consiste proprio in quello auspicato: si ha così la possibilità di approfondire la qualità ritmica del nostro genere, utilizzato come vero e proprio canto cadenzato di marcia: ναῦται δ’ ἐπευφήμησαν εὐχαῖσινκόρης παιᾶνα γυμνὰςἐκ πέπλων ἐπωμίδας κώπηι προσαρμόσαντεςἐκκελεύσματος (Alla preghiera della fanciulla i marinai intonarono il peana, curvando le nude spalle sui remi a tempo). Quel che si presta maggiormente all’attenzione è la correlazione tra παιάν e κέλευσμα, sostantivo che indica l’esortazione nella forma di ordine vocale, facendo, in particolare, talvolta riferimento all’ordine reiterato che accompagna un’azione ripetitiva, quale il passo dell’andatura militare (come dicevamo parlando dei contesti di utilizzo del peana) o quale l’atto di remare (come in questo caso); di qui è naturale un riferimento a κελευστής, termine che designa il capo dei rematori, colui che, accompagnato dal suono del flauto (e dunque si presuppone dalla presenza di un αὐλητής), eseguiva un canto ritmato20 cui i rematori rispondevano in coro; si veda Dafni e Cloe III, 21, 2:
Οἷονοὖνεἰώθασι ναῦται δρᾶνἐς καμάτωνἀμέλειαν […]. Εἰςμὲν αὐτοῖςκελευστής ναυτικὰςᾖδενᾠδάς, οἱδέλοιποὶ καθάπερχορὸςὁμοφώνως κατὰ καιρὸντῇἐκείνουφωνῇ ἐβόων.
Come, dunque, sono soliti fare i marinai per alleviare le loro fatiche […]. Uno fra loro, il capo rematore, intonava melodie nautiche, mentre gli altri, come un coro, rispondevano alla voce di quello all’unisono e al momento opportuno. Dei vv. 1403-4 è poi molto interessante constatare la compresenza di due divinità quali scorta del viaggio marittimo21, Pan e Apollo. Già il verbo ἐπευφημέω orienta verso questo tipo di analisi religioso-spirituale, dato che nel V sec. a.C. è esclusivamente usato in connessione con le invocazioni alle divinità, a differenza di quanto accade nel greco moderno (il che lascia intuire lo spessore sacrale del peana): Wecklein suppone che l’invocazione ai due numi sia dovuta al trasporto di una statua di Artemide22, e questo è plausibile (cfr. vv. 488-88), ma è da evidenziare che non sussiste alcuna allusione alla statua nel canto dei vv. 1089-1152. La scelta di Pan è piuttosto inaspettata, poiché egli non ha niente a che vedere con gli eventi della tragedia; ciononostante sull’acropoli di Atene si ergeva un santuario del dio proprio vicino a quello di Apollo (il che potrebbe aver favorito l’accostamento fra i due nella tragedia), e precipua della musica che risiede sotto il patrocinio di Pan è quella qualità che Parker definisce shrillness, ossia un’acutezza quasi stridula che caratterizza proprio la musica prodotta sulle navi come canto cadenzato. Chi fra Pan e Apollo rivestisse il ruolo di αὐλητής e chi di κελευστής non è chiaro; per lo strumento che è impegnato solitamente a suonare e per il riferimento ai remi, Pan potrebbe essere colui che riveste i panni del κελευστής, lasciando così ad Apollo il compito di musico (ammettendo il suo impegno nell’uso della lira, in maniera simile ad Orfeo)23, ma l’incertezza si riflette innanzitutto nelle note degli studiosi su questo tema: Pan è chiamato τριηραύλης da alcuni (Weil, Bruhn, Kannicht), κελευστής da altri (Bond, England, Wecklein), mentre qualcuno addirittura ritiene che entrambi si alternino fra le due prerogative (Platnauer), a testimonianza, fra l’altro, di come il Coro si focalizzi sul tema del favore delle due divinità piuttosto che sulla specificità dei loro ruoli. Ai vv. 1135-6 viene specificato che la nave salperà in corrispondenza di condizioni meteorologiche ottimali: col vento a favore i rematori sono impegnati soltanto a compiere manovre alla partenza e all’arrivo, dato che la navigazione procede tramite le vele, cosicché il canto cadenzato durante il viaggio non si renda più necessario; è perciò da tenere in considerazione l’idea che Pan, col suo flauto, coadiuvasse i rematori durante il loro lavoro, mentre Apollo intrattenesse la ciurma dei passeggeri con la sua lira fino ad Atene.
Un esempio di peana da guerra ci è offerto dalle Fenicie ai vv. 1102-3: παιὰνδὲ καὶ σάλπιγγεςἐκελάδουνὁμοῦἐκεῖθενἔκτετειχέωνἡμῶν πάρα (il peana e le trombe risuonavano assieme dalla loro parte e dalle nostre mura). Ci troviamo poco dopo il suicidio di Meneceo, figlio di Creonte, quando il primo Messaggero descrive Tebe accerchiata da Polinice e dall’esercito argivo, il quale è accorso in suo aiuto: proprio prima del catalogo dei setti guerrieri schierati davanti alle porte della città (vv. 1104-40) e prima dello scontro si sentono risuonare παιὰν e σάλπιγγες, due segnali associati all’inizio di un attacco24 o addirittura di una gara25. Peana e squillo di trombe sono presenti nei Persiani26 di Eschilo, vv. 388-95 (si parla di κέλαδος, παιᾶν’ e σάλπιγξ sull’approssimarsi di una battaglia navale); il solo peana è individuabile in Tucidide, IV, 43, 3 e 96, 1, dove troviamo la stessa espressione (παιανίσαντες ἐπῇσαν) utilizzata per indicare il παιανίζειν in corrispondenza dell’atto di andare contro(ἔπειμι).
All’interno dell’Eracle Euripide si serve due volte del termine παιάν entro cinque versi (vv. 687-694), quando il Coro recita:
παιᾶνα μὲνΔηλιάδες
ὑμνοῦσ’ ἀμφὶ πύλας τὸν
Λατοῦςεὔπαιδα γόνον
εἱλίσσουσαι καλλίχορον:
παιᾶνας δ’ ἐπὶ σοῖςμελάθροιςκύκνοςὥςγέρωνἀοί-
δος πολιᾶνἐκγενύων
κελαδήσω
Presso le porte le fanciulle di Delo intonano il peana, volteggiando intorno all’illustre figlio di Latona, adorato nelle belle danze: come un cigno, anziano aedo, tramite le mie vecchie labbra farò riecheggiare i peana dinanzi alla tua dimora. Se il primo verso deve corrispondere con la strofa, Δηλιάδες deve essere seguito da una parola che inizi in consonante al verso successivo; perciò, Reiske propone μουσᾶνἀμφίπολοι e successivamente εἰλίσσουσι (perché se perdiamo ὑμνοῦσ’ non abbiamo più il verbo principale): se accettiamo queste emendazioni allora è preferibile anche optare per παιᾶνι (Wecklein) in luogo di παιᾶνα, facilitando la costruzione, e si potrebbe anche ammettere καλλίχοροι (Hermann) per καλλίχορον27. Il peana viene fatto risuonare ἐκγενύων, in quanto canto, e colui che lo proferisce si definisce un ἀοιδός simile al cigno, animale che secondo la credenza antica esala l’ultimo respiro cantando (Platone, Fedone, 84e-85b); inoltre, che il genere di questa forma di esecuzione risieda nell’innodia in questo passo è testimoniato esplicitamente: il verbo ὑμνέω non è utilizzato da Euripide con la stessa valenza di μέλπω o κελαδέω, ma in corrispondenza di quelli che sono veri e propri inni (cfr. Ifigenia in Tauride, v. 185 ed Eracle, v. 688, con παιάν; v. 367, con ὑμέναιος; negli altri passi comunque l’idea di celebrazione – in senso distorto o autentico, ricordiamo – è sempre presente).
NOTE:
[1]Kyriakou 2006, 442; Fraenkel su Eschilo, Agamennone, v. 1248.
[2]Ibidem; Bond su Eracle, v. 538.
[3]Ivi, 443; Ifigenia in Tauride, vv. 1467-8.
[4] Per una storia del genere si veda Rutherford 2001, 3-136. Si consideri che il peana in onore di un defunto compare già in Eschilo, Coefore, v. 151.
[5] Cerbo-Di Benedetto 1998, 139.
[6] Al riguardo Bélis 2003 reca prova del fatto che all’interno del PapyrusBerolinensis 6870 sia effettivamente contenuto un esempio di notazione musicale su testo di peana, composto da Mesomede di Creta; le odierne interpretazioni, per quanto differenti, adottano per le esecuzioni una serie di espedienti tecnici univocamente accolti. La stessa Annie Bélis ha contribuito alla realizzazione del noto Ensemble Kérylos, orchestra specializzata nella realizzazione della musica greca antica pervenutaci.
[7]Kyriakou 2006, 442.
[8] Parker 2007, 140.
[9] Tucidide, VII, 75, successivamente alla sconfitta di Nicia nella campagna siciliana e nel ricordare la baldanza delle prime mosse: ‘Parole di vittoria e suoni di peana lo coronavano, quando sciolse le vele’.
[10]σὺδὲ καὶ Diggle.
[11] Parker 2007, 140; per i passi tragici di Eschilo: Agamennone, v. 645, Coefore, v. 151, I sette contro Tebe, v. 869-70; di Euripide: Troiane,vv. 126 e 578, Elena, v. 178. Sulla discussione del termine ‘peana’ nella tragedia si veda Käppel 1992, 46-8 e Di Benedetto 1971, 239-40.
[12]Ifigenia in Tauride vv. 179-81; Ione vv. 881-4.
[13] Parker 2007, 140-1.
[14] Cerbo-Di Benedetto 1998, 139.
[15] Eschilo, Agamennone, v. 645.
[16] Eschilo, I sette contro Tebe, v. 868.
[17] L; Markland αὖ.
[18] Paduano 2005, 108-9.
[19]Kyriakou 2006, 443.
[20] Per un approfondimento si veda Morrison-Williams 1968, 196. 267-8; Casson 1971, 300-4. 309; Kannicht su Elena 1575-6.
[21]Kyriakou 2006, 361-2.
[22]Ivi, 363.
[23] Ap. Rh., IV, 1536-41.
[24] Sul peana utilizzato in guerra si veda Pritchett, The Greek State at War 1, 105-8.
[25]Mastronarde 1994, 456.
[26] Cfr. v.388, κέλαδοςἙλλήνων πάρα.
[27]Byrde 1914, 27.
BIBLIOGRAFIA:
- Bélis, Le ‘Péan de Berlin’: une relecture, “REG” 1162, 2003, 537-58.
O.R.A. Byrde, Euripides. Heracles, Oxford 1914.
- Cerbo, V. Di Benedetto, Euripide. Troiane, Milano 1998.
- Kyriakou, A Commentary on Euripides’ Iphigenia in Tauris, Berlin 2006.
D.J. Mastronarde, Euripides. Phoenissae, Cambridge 1994.
- Paduano, Euripide. Il Ciclope, Milano 2005.
L.P.E. Parker, Euripides. Alcestis, Oxford 2007.
W.K. Pritchett, The Greek State at War – Part I, Oakland 1975.
Gabriele Cupaiolo