Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il significato esoterico della donna velata – Emanuele Franz
La donna sottomessa con il velo è un luogo comune occidentale. In verità il velo della donna è la massima forma di rispetto che le si può attribuire. La donna velata, da Iside alla Vergine Maria, è il Simbolo del superamento dell’apparenza. Ovvero il non considerare la donna solamente come un corpo ma come un Anima da rispettare, oltre a ciò che si vede di lei. Evidentemente però una società iper-edonista come la nostra non comprende il significato simbolico di una cultura che non sfoggia apertamente le nudità della donna. Il velo oggi in generale è visto negativamente in occidente come il segno di una profonda diversità culturale, che sfocia spesso nella visione di una presunta sottomissione e arretratezza, e di sovente si inserisce nel quadro di una propaganda anti-islamica più o meno esplicita. Tuttavia il significato della donna velata, come mostreremo, non si esaurisce assolutamente nella tradizione islamica ma abbraccia le più diverse e lontane culture religiose a prova che il suo Simbolo è un Archetipo universale. La nostra società consumistica ha ridotto i rapporti umani alle stesse valenze del mercato, riducendo le persone a cose e i corpi a beni mercificabili. Le donne, fiere della loro emancipazione, non colgono la contraddizione che loro stesse generano mostrando di sé il loro corpo truccato ad arte come al mercato si lucida e si profuma il prodotto da vendere. Loro stesse si riducono a un corpo fruibile e sostituibile paventando la loro emancipazione sul piano unicamente materiale e pavoneggiando un corpo che anziché essere considerato un Tempio, sede delle più alte facoltà dell’Anima e dell’Intelligenza, viene ridotto a merce di scambio, a funzione di un baratto. Questa emancipazione non può essere altro che una schiavitù quando invece la sola e l’unica libertà è quella dello Spirito.
I rapporti di coppia e le relazioni fra le persone avvengono con le stesse modalità del mercato, il partner lo si usa per il proprio piacere e per la propria convenienza fino a che non è stato interamente consumato e infine sostituito. Si cambia partner con la stessa facilità con cui si compra una giacca nuova a fine stagione. Chi oggi parla ancora di sentimenti universali, di castità, di pensare allo Sposo e alla Sposa come a un compagno per un percorso di crescita interiore e di conoscenza di sé viene visto come un uomo medioevale, ridicolizzato, perfino emarginato. Chi oggi crede ancora che l’uomo è votato all’Eterno è messo al bando come un fuori legge in questa società cui la forma mentis dominante è quella dell’effimero. Poiché l’Amore e l’Eros sono le due Forze universali più potenti che esistano e poiché da Esse sorge la libertà dell’uomo è evidente che una cultura che vuole costruire sull’apparenza la sua realtà scateni la sua massima battaglia proprio su queste due Forze. Da Buddha a Gesù Cristo il messaggio soteriologico è stato quello dell’Amore. Buddha ha insegnato la compassione per tutti gli esseri, Gesù ha detto:
“Perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.”
(Giovanni 4,7)
E i Greci hanno perfino fatto dell’Amore un Dio. Ma la società di oggi vuole insegnarci a forza la menzogna che l’amore è corpo che si sgretola, persone che si usano e si lasciano. E l’attentato a questo Amore è ridurre la donna, ministro stesso del Cielo, al suo corpo. Gli antichi Sacerdoti sapevano invece che il Sentimento per una donna deve essere tale oltre la vista, occorre amare oltre a ciò che l’occhio fisico vede, poiché l’Amore è amore per la completezza dell’essere amato e abbraccia la sua Anima. Da qui il significato nascosto del velo. Esso è Simbolo che oltre alla realtà visibile c’è la dimora dell’invisibile, e velare non significa rendere cieco l’uomo, ma aprirgli invece gli occhi, conferirgli la facoltà di vedere oltre al fisico. La statua di Iside velata, la Maria velata dello scultore Antonio Corradini e il Sari, l’abito tradizionale delle donne indiane, ancora usato, dovrebbero far entrare in mente a qualcuno che il concetto di donna velata non è un concetto esclusivo dell’Islam, piuttosto, un Simbolo che oltre al visibile vi sono le dimore dell’invisibile. Perché la donna? Perché appunto Essa è la porta per l’invisibile. Plutarco, nel De Iside et Osiride, riferisce che sotto la statua di Iside velata a Menfi stava la seguente iscrizione:
“Io sono tutto ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo.”
Sollevare il velo qui significa conoscere la verità dell’intero universo, ma anche ri-velarla. Nietzsche un tempo scrisse che: “La verità come la vita è donna” e M. Heidegger aggiunse che: “Il velare è l’essenza stessa della verità”. Ma le origini del Simbolo sono lontanissime da oggi e si spargono nelle più diverse civiltà. Le prime tracce scritte si hanno addirittura nel babilonesi e nel codice di Hammurabi (1760-1750 a.C. circa). «Le donne sposate (…)quando escono di casa non avranno la testa scoperta. Le figlie di uomini liberi (…) saranno velate. La concubina che va per la strada con la sua padrona sarà velata». Nel mondo latino le donne vergini in procinto di matrimonio, indossavano un velo, detto “flammeum”; l’atto di “sposarsi” per la donna era detto “nubere” o “obnubere”, ossia proprio: “velarsi, prendere il velo”. Durante il rito nuziale della “confarreatio”, il capo della sposa era coperto dal flammeum, (in seguito definito proprio come “velo nuziale”). L’abbigliamento tipico indossato delle Vestali (le sacerdotesse vergini della Dea Vesta), era caratterizzato dalla presenza del suffibulum, un velo bianco di forma rettangolare. Il velo della donna nella Bibbia è preponderatamene presente (chiamato “za’if””)(Genesi 24,64-65; 38,14) (descritto anche in Isaia, Ezechiele, Daniele e Cantico dei Cantici). L’obbligo del velo è durato nelle chiese cattoliche fino ai nostri giorni e solo negli ultimi anni è stato generalmente abbandonato ed è rimasto nel figura clericale delle suore, che lo mantengono sia nella pratica religiosa che nella vita sociale. Farsi suora si dice anche prendere il velo. Rimane consuetudine il velo per la sposa nel sacramento del matrimonio, talvolta anche cresima e comunione. Anche se nel matrimonio cattolico, il velo ha acquisito, oggi, più una funzione ornamentale e estetica, che rituale. Velo deriva dal latino velum che indicava una stoffa sottile o rada che, pur coprendo e nascondendo, lascia intravedere ciò che sta sotto. Il mistico Sufi Muhyī al Din Ibn Al-’Arabī (1165 dell’èra cristiana) scrive “l’epistola dei settanta veli”, una delle più alte punte del misticismo islamico. Il mistico qui si richiama ai settanta veli di Dio, settanta veli di luce e di tenebra cui parlava il Profeta. Se questi venissero rimossi il volto di Dio brucerebbe ogni cosa. Scrive Al-’Arabī:
“Il mondo sussiste in quanto Dio lo protegge e sorveglia. Sennonché Egli è Colui che appare in una Luce tanto intensa da indebolire la capacità di percepirLo, perciò tale apparizione è detta Velo”.
In italiano la parola rivelare significa mostrare, portare alla luce, ma anche l’azione di velare di nuovo, ri-velare. Nel mondo Greco antico sono soventi gli esempi della velatura. Afrodite, accompagnandosi ad Anchise, si accosta il velo distogliendo il volto e abbassando gli occhi. Il velo accompagnava anche Demetra, Iside e molte altre divinità femminili. Il velo nella poesia antica era lucente, splendente, simbolo dell’identità femminile. Kalyptra (dal verbo kalypto nascondere) è il velo usato dalle donne greche sposate, che copriva la testa o era calato sul volto. Questo velo viene discosto la prima volta durante il matrimonio, che finisce con lo svelamento della sposa, sia in India che nell’antica Grecia. Il velo aveva una funzione simbolica nei rituali misterici di iniziazione. C’erano veli per coprire e veli per rivelare i misteri. I Mystai (gli iniziati) dovevano coprirsi gli occhi in alcuni momenti del rito e chiudere la bocca. I Misteri Eleusini si concludevano con una visione contemplata in silenzio, con uno svelamento da parte dello Hierofante (colui che mostra, che svela), della manifestazione simbolica della dea Demetra nella spiga di grano. Giocasta, in Edipo re, dopo che ha conosciuto la verità, non ha più parole, esce di scena con l’atto di coprirsi il volto con un lembo del suo peplo. In Alcesti lo svelamento segna, in silenzio, il varco del passaggio morte/vita. Eracle, dopo aver liberato Alcesti da Thanatos, entra in scena con una donna velata. L’eroe le toglie il velo e appare Alcesti che non parla. Il velo è il suo silenzio, lo svelamento la sua rinascita. È scritto nei Veda indiani che la Dea Maya, dopo aver creato la terra, la ricoprì con un velo, per impedire agli uomini la conoscenza della vera realtà. Per la Mitologia Indiana l’universo intero ha una natura femminile poiché è Mater, materia, che riceve lo Spirito. Similmente al Mito della caverna di Platone, gli uomini sono immersi in una placenta cha va disvelata per la rinascita. La Placenta è il Velo, così come nel feto che dall’utero materno viene alla Luce allo stesso modo gli uomini immersi nell’universo, utero cosmico, sono avvolti da una placenta cosmica, madre universale che ci accoglie, ci protegge, ci offre attraverso Lei di ri-nascere oltre al visibile, oltre la dimora dell’apparenza.
Il velo nella donna pertanto non è assolutamente un segno di sottomissione, come l’uomo comune occidentale e materialista insiste a credere. Il Velo della donna è Simbolo del Velo universale, della Mater Magna, la Grande Dea e Madre di tutto, che ci avvolge come feti che devono nascere alla Luce del sovrasensibile. Lo stesso velo è la porta verso questa Luce, perché ci spinge a considerare la realtà visibile appunto come apparenza, illusione, transitorietà, di contro a ciò che sta oltre al velo, all’imperituro, a ciò che non tramonta mai. Occorre imparare a vedere senza vedere poiché, come disse il Vangelo (Giovanni 20,29):
“Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno”
Emanuele Franz