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Il nulla tra filosofia, scienza e metafisica: alcune brevi considerazioni – Lavinia Felicioni
Nella storia del pensiero umano, il concetto di “nulla” è forse il più controverso e dibattuto, sia sul versante filosofico, sia sotto l’aspetto scientifico, mistico-religioso ancorché metafisico. In proposito, l’impossibilità di pervenire ad una sintesi soddisfacente, concerne la difficoltà di comprensione della stessa idea e concetto di “nulla”. Forse, non per caso, in lingua latina, il termine “nullus” viene declinato con il genere neutro, né femminile né maschile.
La metafisica, la scienza e la filosofia del nulla
Per ragioni facilmente supponibili, è preferibile provare ad approcciare il “nulla” nel contesto di un unico paragrafo, sotto tutti i tre aspetti citati nel titolo. D’altra parte, si è ben consapevoli della circostanza che gli autori dei quali si fa appresso menzione, non sono etichettabili né riconducibili, nei perimetri ristretti della filosofia o della metafisica, oppure della scienza, sic et simpliciter, come “liberi pensatori”: in pratica, se facciamo riferimento, ad esempio, a Meister Eckhart, a Isaac Newton o ad Arthur Schopenhauer, definendo taluno esclusivamente un filosofo, oppure talaltro uno scienziato o un esperto di metafisica sarebbe limitante, riduttivo e circostanziale.
Ora, provando a fare, seppure nell’ambito di un breve excursus, un po’ di chiarezza e schematizzando, bisogna distinguere, in primo luogo, il pensiero orientale da quello occidentale. Nella cultura orientale, il concetto di nulla è fondamentale; l’induismo e il buddismo, ad esempio, postulano l’archetipo del nirvana, traducibile sia come “libertà dal desiderio”, sia come “cessazione del soffio”, e, indi, in una parola, “estinzione”. Sinteticamente, trattasi di concetti che vanno coniugati non con terminologia positiva, bensì “negativa”, nella misura in cui non è possibile affermare ciò che è, ma ciò che non è. Più in particolare, la cessazione del bisogno, (e lo “iato” o frattura tra questo e la paura), provoca l’annullamento del dolore. Così, e soltanto così, si potrà misticamente pervenire all’esperienza del divino come nulla: la nullificazione del sé conduce nei meandri dell’abisso del nulla divino, in una ineffabile condizione di vacuità.
Nel pensiero occidentale, invece, volendo operare, sempre per schemi, non può non farsi riferimento a Platone (428 a.C.-347 a.C. circa) il quale, nel “Sofista”, logicamente afferma la realtà del “non essere”. Introducendo la categoria della “alterità”, egli sosteneva che il nulla fosse il “non-essere dell’essere di qualcuno”, individuandolo nella diversità di ciò che è. In precedenza e diversamente, Parmenide, (515 a.C.-450 a.C. circa), prova a connotare, ontologicamente, il non essere, in contrapposizione assoluta all’essere, come assenza di ogni positività; va da sé che soltanto quest’ultimo può essere definito ed aggettivato. Lapidari sono gli incisi a noi lasciati in eredità dal filosofo greco, quasi il suo testamento: “L’ essere è, e non è possibile che non sia”, mentre : “Il non essere non è, ed è necessario che non sia”.
Ciò comprova che il nulla è un concetto frutto di astrazione, qualcosa di non esistente in natura, ma che scaturisce dall’immaginazione. Non a caso, già con i pensatori dei primi secoli dopo Cristo, la ricerca del nulla si avvicina ad un esercizio di tipo spirituale. Ad ogni modo, il nulla non è pensabile, in quanto conduce al grave errore della “reificazione”, cioè a considerare come concreto e reale qualcosa che esiste solo in astratto come costruzione ipotetica. Non si dimentichi, in proposito, che l’autorevole Plotino (203 d.C.-270 d.C. circa) individuò, nelle loro rispettive epoche ed ambiti, il nulla – addirittura – nella materia.
Nel corso del medioevo, la mistica o meglio la “teologia negativa”, ha posto -teologicamente – l’accento sul nulla sotto due aspetti in apparente opposizione: il concetto di nulla non spirituale, quindi come “non divino”, elaborato in particolare da René Descartes (1596-1650) che si confronta con il nulla come “essenza profonda del divino” proprio di Jacob Böhme (1575- 1624) e soprattutto, di Meister Eckhart (1260-1327 circa) loro predecessore. È quest’ultimo, coevo dell’Alighieri (1265-1321) che coglierà, spingendosi fino ai confini dell’eterodossia, se non dell’eresia, il senso di Dio come nulla. Parafrasando il suo pensiero, possiamo dire che ci abbia insegnato a pregare Dio, liberandoci dallo stesso Dio… Il renano delinea una divinità impersonale fino a giungere al nulla divino: Dio è pensabile solo come nulla ma, se così è, ne consegue che, intuibilmente, l’immagine del dio che pensiamo come entità è lontana da Dio quanto il cielo lo è dalla terra. Solo il nulla è (il) Dio nella sua totale e, nella migliore delle ipotesi, intuibile trascendenza; mentre, viceversa, un Dio immanente, aggettivato e frutto della volizione, costituisce un “parto”, quasi una “rielaborazione” del pensiero umano. Vastissima ed incisiva sarà l’influenza che avrà il pensiero dell’eccardo sui filosofi a venire, fino a Nietzsche e oltre. Teologo e filosofo controverso, capostipite della mistica renana, non a caso Meister Eckhart ha visto – seppure post mortem – condannati una parte dei suoi scritti dal papato dell’epoca.
In epoca successiva, nella “Scienza della Logica”, con Hegel (1770-1831) viene affermato il famoso assioma secondo il quale dal nulla non può venire “niente” (il nulla come pura negazione logica), riconoscendo, pur tuttavia, al nulla, un valore ontologico nella misura in cui positivo e negativo hanno nel nulla la loro base astratta. Ma è senza dubbio Arthur Schopenhauer (1788-1860) il filosofo che maggiormente saprà fissare i capisaldi ontologici di esso, così come ci sono pervenuti ai nostri giorni. Secondo Schopenhauer estirpare il desiderio di vivere, significa rinunziare alla vita: la via che conduce al Nirvana, all’estasi senza Dio, nel presupposto non dogmatico che “nulla è Dio”, passa dalla nullificazione del sé, ottenuta attraverso il digiuno, la castità e, in definitiva, il silenzio della corporeità ma anche della psiche. Il nulla reca quindi in questa accezione, una valenza prettamente negativa e vi si giunge attraverso la negazione della fallace realtà vista come oggettivizzazione del pensiero. Significativi sono gli studi e tutti gli approfondimenti di filosofia orientale del filosofo: in base al suo pensiero, nel nirvana, la persona perde la propria individualità e coscienza, come “l’acqua contenuta in un recipiente versata nel mare”. Schopenhauer parla, in proposito, di esercizio della “nolontà” (dal latino “non volo”, cioè non voglio), in contrapposizione alla irrazionale volontà (“volo”), come atto di potenza e di ribellione, esercitato dall’individuo, che spinge il medesimo a desiderare. L’ orientalista e filosofo tedesco, pur accettando la metodologia operativa dei mistici cristiani, perviene a conclusioni e rielaborazioni del tutto diverse. Egli si muove nei meandri del “misticismo ateo”: per giungere alla pura negatività rifiuta il mondo e, al contempo, rifugge ogni forma di ricongiungimento con Dio e con l’Universo.
Se il mondo è, e consiste, nell’espressione della volontà, è altrettanto vero che, con la soppressione della volontà, si afferma la libera negazione. Da qui la fine delle forme universali, ivi compresi lo spazio e il tempo: da qui il nulla. Per coloro che avranno rinnegato la volontà, l’universo, con il suo macrocosmo e il suo microcosmo, è il nulla. Nella misura in cui l’individuo sarà capace di uccidere la volontà dentro sé stesso, allora si sarà incamminato verso quello status di quiete interiore, calma e pace, che è l’anticamera del nulla: tutto ciò però potrà avere inizio soltanto allorché il soggetto avrà vinto l’orrore che prova nei confronti del nulla. In fisica, invece, l’etimo “nulla” indica il vuoto, cioè l’assenza di materia. Tuttavia, gli scienziati, poiché è impossibile pensare di costruire un luogo senza materia, ci fanno tutt’al più ipotizzare l’esistenza del vuoto quantico, piuttosto che del nulla. Più in particolare, in matematica il nulla è un dato informale che indica un insieme vuoto, ragion per cui non ha un significato tecnico. In tal caso, esso corrisponderebbe alla dimensione zero. Va da sé, che in campo scientifico, si concordi sulla circostanza che pensare il nulla significa eliminare il concetto di tempo: se c’è il tempo il nulla non c’è! Se vi è “nulla” non c’è un tempo che scorre, non c’è un tempo che misura le cose e gli eventi. Il nulla, inteso come il “mondo non esistente” non è collocabile nel tempo e, quindi, ciò che è non appare dal nulla: l’errore consisterebbe quindi, in questo caso, nel pensare il nulla come un essere. In “Essere e tempo” Martin Heidegger (1889-1976) ci ammonisce, in proposito, sulla distinzione tra vita autentica e vita inautentica dell’uomo calato nel tempo.
Tra le grandi dispute sorte, peraltro, sul tema, non bisogna dimenticare quella tra Leibniz (1646- 1716) e Newton (1643-1727). Ora, mentre il primo sosteneva che l’universo era uno spazio vuoto all’interno del quale si muovevano i pianeti, Leibniz invece riteneva che il vuoto non era praticamente possibile. Nel corso del XX secolo, Albert Einstein (1879-1955) e Niels Bohr (1885-1962), amici nella vita quotidiana ma che non disdegnavano dibattere, anche pubblicamente, le loro differenti teorie scientifiche, si trovarono in contrasto tra loro anche sul concetto di nulla.
Conclusioni
Al termine di codesto, seppur breve, excursus, provare a vergare conclusioni che abbiano il carattere della esaustività, risulta oltremodo complesso, stante la connotazione vaga del fonema “nulla”: più si indaga sul tema, più si ha la sensazione di immergersi in qualcosa di indeterminato e pur sempre sfuggente. Ora, che si tratti di “nulla cosmico” o di “brodo primordiale”, sempre di qualcosa ci stiamo occupando: ciò val come dire che l’archetipo del nulla (“Ayn” metafisica, come in filosofia e in campo scientifico), pare altro non sia che un ossimoro, una contraddizione in termini: il tentativo di dipanare la matassa della dimostrabilità del nulla è esercizio sterile, se non addirittura inutile. E ancora: se la scienza può pervenire all’individuazione del concetto di vuoto, d’altra parte non ha elaborato, almeno fino ad oggi, un’idea totalizzante di nulla. Per altro verso, la metafisica non concepisce il nulla, a meno non individui questo in Dio, o meglio nel suo superamento; ma, se ci si inoltra in codesto versante, ci troveremo in presenza di un Dio “capace” di negare sé stesso e – sul punto – non tutti i teologi sono concordi, ragion per cui la disputa rimane aperta.
Non sarà, allora, che i cosiddetti addetti ai lavori in campo scientifico e metafisico, abbiano necessità di “guardare” alle risultanze speculative alle quali sono pervenuti i filosofi?
Ancora una volta coloro che avvedutamente operano all’interno di ciascuno dei componenti della trinità formata dalle tre sorelle metafisica, scienza e filosofia si rendano conto, più che mai, della necessità di cooperare insieme per trovare quella sintesi unitaria senza la quale non v’è risposta al quesito, superando la fallace convinzione che l’uomo, nel contesto di qualsivoglia iniziativa, debba per forza procedere separando ciascuno dei tre ambiti di cui sopra. Stante quanto sopra, qui come in altre circostanze, la filosofia viene in soccorso della metafisica e della scienza, quasi a compiere una cesura tra di esse.
(Arthur Schopenhauer)
E, pur tuttavia, non può non evidenziarsi il motto caro a Niels Bohr il quale, passato alla storia come fisico, è stato invece anche un finissimo filosofo: “Contraria sunt complementa” : I contrari sono complementari (chi coglie un qualche riferimento ad un certo Ermete Trismegisto?). Stante quanto sopra, non si esce, come può facilmente notarsi, dal “vizioso” circolo della dualità? Forse è un bene, per quanto possa apparire paradossale, che il nulla debba rimanere un rompicapo o, per dirla come gli antichi greci, un’ “aporìa”. D’altra parte, questo è il fascino del dubbio: l’impossibilità di dare una risposta universalmente valida ad un quesito oppure, per assurdo, la possibilità di presupporre e considerare più risposte valide al medesimo problema. Mi piace concludere ricordando, en passant, Ugo Foscolo (1778-1827) il principe dei poeti inquieti il quale, nel celebre sonetto “Alla sera”, ai versi 8-11 così ci affascina citando il nulla eterno: “Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme/Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge/Questo reo tempo, e van con lui le torme”. E a chi legge, le sue proprie e debite elucubrazioni e tentativi di possibili quanto insondabili soluzioni.
Lavinia Felicioni