Il mito del cavallo di Troia – Luigi Angelino
Il mito del cavallo di Troia, che narra dell’astuto stratagemma ideato dagli Achei per conquistare la città situata nell’attuale Turchia, presente per la prima volta nel poema omerico dell’Odissea e non nell’Iliade che si chiude con la morte di Patroclo, è di certo uno dei più conosciuti dell’antichità. La sua fama è giunta integra fino ai nostri giorni, tanto è vero che l’espressione “utilizzare un cavallo di Troia” è diventata nel linguaggio comune, equivalente ad esprimere il compimento di uno spregevole inganno. Ma si trattò davvero di un “cavallo di legno”, o vi sono fondati motivi elementi per credere che lo strumento adoperato, per accedere nella città nemica, fosse in realtà qualcosa di completamente diverso. Cercheremo, in questa breve trattazione, di fare chiarezza in merito. In via preliminare, ritengo opportuno ripercorrere i punti salienti del racconto, così come proposto dalla versione tradizionale e tramandata attraverso il corso dei secoli.
L’episodio, come precisato in apertura, è citato da Omero nell’Odissea, soltanto in via incidentale e, successivamente, ampliato e modificato da Virgilio nell’Eneide (1), con scopi soprattutto di carattere celebrativo per enfatizzare la magnificenza del “princeps” Ottaviano Augusto. Enea, principe ed esule troiano, avrebbe raccontato la triste sorte toccata alla sua patria, durante il soggiorno a Cartagine, in un’accorata conversazione con la regina Didone, perdutamente innamorata di lui, prima di fuggire verso le coste del Lazio, dove sarebbe divenuto il capostipite della genealogia fondatrice di Roma. Enea avrebbe riferito a Didone che lo stratagemma era stato ideato dallo scaltro Ulisse, protetto ed ispirato dalla stessa dea Atena (Minerva per i Romani), allo scopo di mettere fine al lungo e sanguinoso conflitto con la città di Troia (Ilion). Quest’ultima, con la sua opulenza ed ampia sfera di influenza politica, ostacolava l’espansione dei Greci dell’età arcaica, al di là dell’espediente letterario del rapimento di Elena da parte di Paride, indicato come motivo principale della guerra (2). Forse ci fu un evento drammatico che determinò un rapido peggioramento delle relazioni diplomatiche fra le due opposte fazioni, ma l’inimicizia affondava salde radici antiche. Seguendo il piano messo a punto da Ulisse, i Greci finsero di abbandonare il teatro operativo del conflitto e di tornare verso il loro Paese, lasciando sulla spiaggia, nei pressi della città di Troia, un imponente cavallo di legno, in apparenza vuoto, ma che, invece, nascondeva al proprio interno i più coraggiosi condottieri achei, tra cui lo stesso sovrano dell’isola di Itaca. Il piano era stato perfettamente preparato in tutti i dettagli e nulla era stato lasciato al caso. Per convincere i Troiani sulla sincerità della pace proposta e per indurli ad accettare l’insolito dono, il giovane Sinone si finse disertore e spiegò a Priamo, il re di Troia, che il cavallo era stato lasciato in quel luogo per placare le reazioni iraconde della dea Atena, a causa della profanazione del suo tempio perpetrata da Ulisse. Con l’intento di rendere ancora più credibile il proprio racconto, a ciò il giovane Sinone aggiunse che il dono avrebbe protetto i Greci nel viaggio di ritorno verso casa e che il cavallo era stato costruito con dimensioni così considerevoli, da non poter essere condotto attraverso le porte della città. A questo punto, i Troiani, credendo alle parole del finto disertore, provocarono grandi brecce nelle mura della città, per consentire al cavallo di legno di essere introdotto all’interno, nonostante i disperati avvertimenti del sacerdote Lacoonte, divorato immediatamente dai serpenti marini, per volere delle divinità che parteggiavano per la vittoria degli Achei. Anche la profetessa Cassandra, che aveva su di sé la maledizione di prevedere con esattezza il futuro, ma di non essere creduta, pregò suo padre Priamo, affinchè non cedesse alle lusinghe dell’infido Sinone. Le invocazioni di Lacoonte e della principessa Cassandra rimasero inascoltate ed il sovrano si convinse della sincerità dello spergiuro Sinone che, per rincarare la dose, riferì a Priamo che la dea Atena avrebbe perseguitato la città di Troia, qualora i suoi abitanti avessero distrutto il dono, voto religioso di pace degli Achei. Con l’ingresso del cavallo tra le mura della mirabile e potente città, fino ad allora considerata inespugnabile, i Troiani andarono in maniera inesorabile incontro alla loro definitiva rovina.
Gli storici si sono chiesti se la grande opera di legno si possa considerare una sorta di “grande cavallo stilizzato” oppure se avesse una fisionomia strutturale del tutto diversa. I primi dubbi furono avanzati già in tempi remoti, come scrive Pausania nel II secolo d.C.: “che quello realizzato fosse un marchingegno per abbattere le mura e non un cavallo, lo sa bene chiunque non voglia attribuire ai Frigi una assoluta stupidità. Tuttavia, la leggenda sostiene che si tratti di un cavallo”(3). Recenti ipotesi ritengono che il famoso colosso di legno non fosse altro che un pregevole esemplare di un particolare tipo di imbarcazione e che l’equivoco millenario sul “cavallo” derivasse da un mero errore di traduzione del poema omerico, ripreso tanti secoli dopo anche dal grande Virgilio. Il termine “hippos” non avrebbe indicato l’intelligente quadrupede, ma una nave di fattura fenicia, abbastanza diffusa in quell’epoca nelle acque del Mediterraneo. Riferimenti a questo tipo di imbarcazione si ritrovano negli scritti di Plinio il Vecchio (4) che ne attribuisce l’invenzione ad una capace ed ingegnoso maestro d’ascia fenicio, chiamato appunto Hippos. A memoria di questo personaggio, le navi sarebbero state dotate di una speciale polena: la testa a forma equina. A quelle già esposte, è necessario aggiungere un’ulteriore considerazione, sottolineando, come il leggendario Omero o il vero autore dei suoi poemi, fosse a conoscenza delle specifiche attività militaresche achee e di come fossero particolareggiate nei suoi scritti le descrizioni delle tecniche di costruzione dei mezzi marini. E’ probabile che proprio la disinvoltura con la quale Omero menzionasse l’hippos, senza specificare che volesse alludere ad un’imbarcazione, dando per scontato che i lettori ne comprendessero il significato, abbia ingenerato l’equivoco che ha portato a credere nell’esistenza del vero e proprio cavallo di legno. Lo stesso Virgilio, quando nell’Eneide si occupa della descrizione dell’imponente animale di legno, delinea alcune tecniche di costruzione navale in voga durante l’epoca della guerra di Troia. Il poeta, inoltre, riferisce di come il cavallo fosse stato costruito partendo dal guscio esterno e di come le “murate”, sostantivo usato nel gergo marinaresco per indicare le fiancate di una nave, fossero formate da materiale ricavato dall’abete, mentre la costolatura interna era costituita da rovere. Si tratta, a ben vedere, di una metodologia tecnica di costruzione perfettamente corrispondente a quella che si utilizzava per confezionare le navi di quel periodo storico, soprattutto nell’area commerciale di influenza fenicia (5).
L’identificazione dello straordinario marchingegno con una nave renderebbe l’intera vicenda più plausibile, alla luce anche dell’importante constatazione che le navi fenicie di questo tipo godevano di un ottimo prestigio, in quanto venivano usate, in primo luogo, per trasportare materiale prezioso e di valore, nonché per riscuotere tributi. Pertanto, ciò poteva risultare ancora più verosimile per i Troiani che non dovevano essere in fondo così ingenui. In più, il gruppo di guerrieri greci, avrebbe potuto nascondersi meglio nella doppia stiva di un’imbarcazione, piuttosto che nella “pancia” di un cavallo. Non deve essere trascurata nemmeno la descrizione data da Omero sulle modalità di trasporto del possente oggetto verso la città di Troia. Il tragitto sarebbe stato coperto mediante il cosiddetto “allaggio”, un sistema di rotolamento su rulli che anticamente si adoperava per il rimessaggio delle navi, al termine del periodo di navigazione.
Del reale significato da attribuire all’espressione “cavallo di Troia”, sono state avanzate anche altre interpretazioni. Alcuni esponenti della storiografia moderna hanno fatto leva sulla simbologia tradizionale del “cavallo” oppure della stessa simbologia trasfigurata, però, su un piano metaforico, come potrebbe intendersi un cataclisma naturale oppure un devastante terremoto che avrebbe distrutto le mura della città di Troia, consentendo agli Achei un’agevole, quanto inaspettata, via di accesso. Seguendo questo schema teorico, il “cavallo” starebbe ad indicare un voto nei confronti di Poseidone, il dio del mare, ma anche la divinità preposta alla protezione degli equini e a favorire calamità naturali come maremoti e terremoti. A sostegno di tale ipotesi, vi sarebbero i ritrovamenti, durante gli scavi condotti nella regione della Troade, di chiari resti di un forte sisma. Nel corso dei secoli, su quel territorio, si sarebbero stratificate ben dieci città diverse ed i segni di un’intensa attività tellurica sono stati individuati un po’ ovunque. Gli stessi Achei avrebbero potuto dare una spiegazione soprannaturale all’evento, ringraziando Poseidone per aver risolto un conflitto che ormai si trascinava da troppi anni e lasciando sulla spiaggia un segno tangibile di ringraziamento, ossia un gigantesco cavallo, animale peraltro sacro al dio. Altri storici hanno ipotizzato che il cavallo di Troia si possa identificare con un ariete da assedio a forma di cavallo, il cui mito si sarebbe trasformato nel corso dei processi di tradizione orale che ne avrebbero consolidato la posteriore memoria.
Sul numero effettivo degli uomini appostati nel cosiddetto “cavallo”, le fonti tradizionali sono molto discordanti. Dando credito alla “Piccola Iliade” (6), un poema andato perduto, essi erano soltanto in tredici, un numero abbastanza esiguo e che appare improbabile per impadronirsi della città, mentre Apollodoro (7) riferisce che ve ne erano 50. Quinto Smirneo (8) elenca il nome di ben 30 condottieri, affermando che questi erano, comunque, affiancati da molti altri soldati. Nella tradizione classica fu stabilita una serie di 35 uomini, ovviamente capeggiati da Odisseo (Ulisse). L’unica certezza è che non sarà mai possibile stabilire la verità sul numero esatto dei componenti della mitica spedizione.
In sintesi, il storia del cavallo di Troia si basa su un insieme di paradossi. In primo luogo si configura come un paradosso il fatto che gli Achei scelgano proprio quel metodo per espugnare la città, come rappresenta altrettanto un paradosso che i Troiani si siano fidati così ciecamente delle affermazioni di Sinone, senza sospettare alcun inganno. E’ altrettanto un paradosso voler far intendere che i principali condottieri dell’impresa siano tre uomini di grandissimo valore, ciascuno insignito da meriti diversi: Ulisse, indicato come la “mente” del vile tranello, Epeo come l’artefice effettivo e Neottolemo per la sua eccezionale capacità guerriera. L’elencazione dei precitati eroi andrebbe interpretata, forse più correttamente, in funzione celebrativa della grande impresa del mondo ellenico che si stava imponendo sull’intero Mediterraneo orientale (9). Il racconto sintetizza in maniera magistrale il comune sentire religioso degli uomini della Grecia preclassica, con il loro indomito coraggio e con le loro superstizioni che non offuscavano, però, lo spirito pratico ed un elevato ingegno, che poteva essere trasfigurato anche nell’utilizzo o nell’immaginazione di metodi non del tutto ortodossi. Al di là del contenuto del mito, si collocano, invece, i fatti storici, sui quali l’archeologia moderna sta facendo chiarezza, riuscendo ad individuare testimonianze significative del conflitto cantato da Omero nel territorio dell’antica Troia, risalenti al tredicesimo secolo a.C. Si tratta presumibilmente dello stesso periodo a cui si riferiscono Omero e Virgilio nei loro poemi, scritti alcuni secoli dopo ed aventi come fonti una tradizione che si tramandava oralmente in maniera aulica e poetica (10).
Note:
1 – Eneide, libro II, vv. 40-50;
2 – Alberto Camerotto, Troia brucia. Come e perché raccontarel’”ilioupersis”, Edizioni Mimesis, Milano 2022;
3 – Pausania, Descrizione della Grecia, libro I, capitolo XXIII, sezione 8;
4 – Plinio il Vecchio, Naturalis historia, libro VII, sezione 202;
5 – Il mito del cavallo di Troia? L’archeologo: “in realtà era una nave”, pubblicato il 1 novembre 2017 su https://www.lastampa.it, consultato in data 7 dicembre 2023;
6 – La “Piccola Iliade” faceva parte del cosiddetto “Ciclo Troiano”, che narrava in versi l’intera vicenda della guerra di Troia;
7 – Quinto di Smirne, Posthomerica, libro XII, versi 314-335;
8 – Pseudo-Apollodoro, Epitome 5.14;
9 – Francesca Radaelli, La guerra di Troia, Editore How2, Bologna 2017;
10 – Oltre alla “Piccola Iliade”, altre fonti antiche sulla guerra di Troia sono i “Canti Cipri”, le “Etiopide”, la “Distruzione di Troia” e i “Ritorni”.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.