Il Mistero della Triplicità e il “Triplice Mithra” – Stefano Arcella
Uno studio comparato fra l’Antroposofia e i Misteri romani di Mithra
Il mistero della triplicità
Nel ciclo delle conferenze su “la missione di Michele”[1], Rudolf Steiner si sofferma, con particolare attenzione, sul “mistero della triplicità”. Il termine “mistero” non è pronunciato a caso, come sempre nel linguaggio, preciso e attento, delle sue conferenze; si tratta di un significato profondo che concerne l’essenza della natura dell’uomo, le sue componenti costitutive fondamentali e la peculiarità della sua posizione nel cosmo. Dice Steiner:
“…Se abbracciamo con lo sguardo l’intera situazione, possiamo affermare di poter comprendere il mondo solo se lo afferriamo mediante la triplicità; abbiamo infatti da un lato quanto è luciferico, dall’altro lato quanto è arimanico, nel mezzo è inserito l’uomo che, come terzo, in posizione di equilibrio fra i due, deve sentire il proprio elemento divino. Solo ponendo come base tale triplicità si arriva a comprendere il mondo, avendo ben chiaro che la vita umana è come un giogo di bilancia…qui è il fulcro, qua è un piatto della bilancia, l’elemento luciferico che in realtà porta in su, dall’altro piatto l’elemento arimanico che in realtà tira in giù. Chi tiene il giogo in equilibrio è l’uomo.
Chi era iniziato a tali misteri ha sempre affermato nel corso dell’evoluzione dell’umanità che si può comprendere l’esistenza del mondo in cui l’uomo è posto solo nel senso della triplicità, che non si può comprendere il mondo, se lo si vuole afferrare nella sua struttura fondamentale in base ad altri numeri che non siano il tre. Nel nostro linguaggio possiamo quindi dire: nell’esistenza del mondo abbiamo a che fare con l’elemento luciferico (rappresentato da un piatto della bilancia), con l’elemento arimanico (rappresentato dall’altro piatto della bilancia) e con la condizione di equilibrio che rappresenta l’impulso del Cristo.
Si può quindi capire che è interesse delle potenze luciferiche e arimaniche tener nascosto il mistero della triplicità, poiché la giusta penetrazione di esso rende l’umanità capace di stabilire la posizione di equilibrio fra quelle due potenze. Ciò significa utilizzare da un lato ogni tendenza alla libertà (elemento luciferico) per mete universali giovevoli, e dall’altro lato fare altrettanto con l’elemento arimanico. La condizione di spirito più normale dell’uomo è quella di impegnarsi nella maniera giusta entro la triplicità del mondo, nella struttura del mondo in quanto esso è fondato sulla triplicità…”[2].
Per Steiner il Cristo è una entità spirituale solare (“l’entità spirituale che noi chiamiamo Cristo”, dice nelle conferenze sull’Arcangelo Michele), come si evince chiaramente da tutto il complesso della sua produzione e, in particolare, da questo ciclo di conferenze nonché da quelle sulla saggezza dei Rosacroce, in cui parla di Cristo quale spirito solare[3].Nel testo citato è rappresentata una bilancia che Steiner disegnò nel corso della sua conferenza per rappresentare plasticamente la triplicità dell’uomo (Sole spirituale interiore-Lucifero-Arimane).
Un raffronto con l’arte religiosa mikaelita
A tale riguardo, avendo studiato la chiesa di S. Giovanni a Carbonara in Napoli[4], osservo che in quella chiesa, nella Cappella Caracciolo del Sole (i cui dipinti e le cui sculture sono datati intorno alla metà del XV secolo), vi è, sul lato del monumento funerario a ser Gianni Caracciolo, un rilievo raffigurante l’Arcangelo Michele che regge in una mano una bilancia e con l’altra impugna la spada, cercando di mantenere l’equilibrio del giogo, mentre il drago tende a spingere verso il basso, verso di sé, uno dei due piatti della bilancia medesima. Michele è in lotta col drago, non ha ancora vinto e il combattimento è impegnativo. Sull’altro lato del monumento funerario, vi è un secondo rilievo dell’Arcangelo (la cui corazza è decorata con una patina aurea, a sottolineare la sua natura di Arcangelo Solare) che con la spada colpisce e vince il drago. Nel primo rilievo abbiamo l’Arcangelo combattente, in posizione mediana fra i due piatti della bilancia, mentre nel secondo rilievo abbiamo l’Arcangelo vincitore. Pertanto, nel simbolismo religioso del Quattrocento, persiste ancora l’allusione alla triplicità dell’uomo e del cosmo, particolare importante tenendo conto del momento strico in cui si colloca questa rappresentazione, quando già da molti secoli, come meglio vedremo più avanti, tale struttura ternaria era stata negata.
Lucifero e Ahriman
Occorre quindi preliminarmente chiarire cosa intenda Steiner per elemento luciferico ed elemento arimanico. Ed è lui stesso a definire queste due locuzioni nel corso della sua conferenza:
“…Occupiamoci prima del loro lato più esteriore: esse abitano alla pari di noi uomini le sfere nelle quali stiamo noi stessi e, se afferriamo il loro aspetto più esteriore, possiamo dire che ci possiamo rappresentare le entità luciferiche come portatrici delle forze che noi uomini avvertiamo quando vogliamo diventare fantasiosi, quando ci abbandoniamo in modo unilaterale alla fantasia o al fanatismo, quando vogliamo, per usare un’immagine, portarci con il nostro essere al di sopra del nostro capo….
Pensiamo all’opposto a tuto quanto ci comprime sulla Terra, a tutto quanto fa di noi degli ardi prosaici, a quanto ci porta a sviluppare dei princìpi materialistici, a quanto ci compenetra di quello che possiamo chiamare arido intelletto, e abbiamo le potenze arimaniche”[5].
Fin qui Steiner ha descritto il lato più esteriore delle due potenze ed è significativo che esse siano presenti nel nostro stesso mondo, nella dimensione di noi uomini qui sulla terra e non in un mondo trascendente. Poi l’Autore affronta il tema sotto un aspetto più interno.
“Si può affermare che quanto sta nel sangue ha la propensione per il luciferico, quanto sta nelle ossa ha la propensione per l’arimanico e l’uomo è in una posizione di equilibrio tra i due, così come egli deve essere animicamente in equilibrio tra esaltazione e arida prosaicità …Ma possiamo caratterizzare queste due entità in maniera più profonda: possiamo osservare gli interessi che le entità luciferiche hanno nell’esistenza cosmica, e allora troviamo che nel cosmo esse hanno anzitutto l’interesse a che il mondo, specialmente il mondo umano, rinneghi le entità spirituali che dobbiamo considerare come le vere creatrici dell’uomo. Le entità luciferiche non desiderano altro che rendere il mondo infedele nei confronti delle entità divine . . .Le entità arimaniche hanno un’altra intenzione: hanno l’intenzione deliberata di prendere nella loro sfera di potere specialmente il regno umano, e con esso la Terra, di renderli dipendenti da sé, ma prima di tutto vogliono dominare gli uomini come tali….le entità arimaniche hanno la tendenza a costringere gradualmente entro la loro sfera di potere l’umanità e tutto quello che le è connesso . . .”[6].
La potenza arimanica è l’impulso alla pietrificazione materialistica, all’irrigidimento in un orizzonte plumbeo in cui l’uomo è incatenato alla materia. Ahriman è una figura trascendente e oscura che compare nell’antica religione persiana a partire dalla riforma spirituale di Zarathustra (in origine era chiamato Angra Mainyu, poi Ahriman, il Signore della menzogna)[7]. Nella storia del Novecento abbiamo esempi lampanti di questo impulso: il bolscevismo, l’ateismo di Stato, il socialismo reale, la dittatura del partito comunista, ma anche il più sottile, seducente e insidioso materialismo pragmatico americano, il consumismo di massa, la riduzione dell’uomo alla sua dimensione esclusivamente economica. Oggi con la pandemia e tutte le misura restrittive che le sono connesse, si afferma come dominante la concezione dell’uomo esclusivamente come un corpo da sanare, emarginando e negando ogni concezione olistica in cui l’uomo viene considerato come un tutto, articolato nelle sue componenti spirituali, psichiche e fisiche. Processi sociali come il telelavoro, la didattica a distanza, le misure limitative della libertà personale, i confinamenti di massa, lasciano trasparire un progetto antropologico in cui l’uomo è sempre più isolato in una dimensione meccanico-digitale, privato della sua umanità, ridotto ad una vita sempre più automatizzata. La potenza luciferica si esprime nel fanatismo e nell’evasionismo dell’estremismo islamico, nel fenomeno della tossicodipendenza, nelle sette religiose – e abbiamo avuto casi eclatanti – che predicano il suicidio come liberazione dal mondo terreno. È interessante notare come le due potenze che minano il sano equilibrio dell’uomo, pur essendo apparentemente opposte, siano in realtà complementari; dove c’è l’una, c’è anche l’altra, come si può osservare anche sul piano geopolitico nella saldatura fra fanatismo talebano in Afganistan e Cina capital-comunista, punto di confluenza del peggiore comunismo e del più cinico capitalismo.
Mefistofele nel Faust di Goethe
Steiner svolge poi un’osservazione critica su Goethe (di cui pure era stato un attento studioso e un profondo estimatore), il cui personaggio, Mefistofele, nel Faust, mescola tratti arimanici e luciferici[8]. Questa confusione fra le due potenze e quindi fra i due impulsi interni all’uomo ha, per Steiner, un’origine antica, che l’Autore illumina nella sua problematicità. È un tema di grande interesse sotto il profilo storico-religioso, ma soprattutto sotto quello dell’orientamento spirituale dell’uomo, della sua formazione interna, del senso e dell’importanza di una Via dell’anima cosciente che è stata storicamente ostacolata dal potere ecclesiastico nel cristianesimo storico-istituzionale.
Il Concilio di Costantinopoli dell’869 d.C.
“Dobbiamo ora pensare – dice Steiner – a quali interessi vi siano nella storia spirituale moderna. Persino la triplice struttura dell’organismo umano nella sua totalità, come ho spesso accennato, è stata in un certo senso eliminata per la civiltà occidentale dall’ottavo concilio ecumenico di Costantinopoli dell’anno 869, nel quale è stato elevato a dogma che il cristiano non debba credere a un’entità umana ternaria, ma solo a una binaria. Credere in corpo, anima e spirito è interdetto, e i teologi e i filosofi del medioevo che sapevano ancora molto della verità ebbero una gran pena a distanziarsi da essa, perché la cosiddetta tricotomia, l’articolazione dell’uomo in corpo, anima e spirito era stata dichiarata eretica. Furono costretti a insegnare la dualità. L’uomo consiste di corpo e anima e non di corpo, anima e spirito. Quello che certi uomini e certi esseri sanno bene, è quale enorme importanza abbia per la vita spirituale umana la partizione binaria al posto della ternaria . . .”[9].
Steiner insiste molto sulla necessità e sulla estrema serietà del compito che attende l’uomo moderno: quello di un capovolgimento di certi valori, poiché la concezione binaria dell’uomo si è diffusa e radicata nella mentalità popolare e ha implicato una rappresentazione gravemente riduttiva e limitativa dell’uomo e quindi un suo indebolimento ed un offuscamento della consapevolezza di sé, della ricchezza e complessità delle sue componenti e delle sue facoltà. Egli avverte che il capovolgimento dei valori di cui parlava Nietsche (di cui Steiner fu un attento studioso), va presa molto sul serio, pur nella netta differenza di orientamenti che intercorre fra l’uno e l’altro pensatore. E occorre andare più in profondità; oltre alla visione riduttiva di sé, si è ingenerata una confusione fra spirito e anima, attribuendo allo spirito le caratteristiche dell’anima, ossia di quella che gli Antichi chiamavano la psyché. E poiché la psyché è, per sua natura, più passiva, occorre che ad essa sia data una “forma” da un principio formatore esterno alla coscienza dell’individuo, ossia dall’autorità religiosa, coi suoi dogmi e i suoi precetti.
Lo spirito, il nous degli antichi Greci, è un principio attivo che si veicola attraverso la Forza sovrasensibile del pensiero, del pensiero concentrato e cosciente, di cui il pensiero logico-discorsivo, calcolante e quantificante, è solo un riflesso degenere. Peraltro, la pronuncia del Concilio di Costantinopoli dell’869 d.C., crea la confusione fra luciferico e arimanico, attribuendo ad Arimane qualità luciferiche (l’impulso della libertà e della ribellione) e a Lucifero qualità divine, così determinando una confusione sulle vere caratteristiche del divino.
Un raffronto col pensiero di Giovanni Colazza
Tutto ciò consente di comprendere perché Giovanni Colazza, nel suo primo intervento in UR, che si intitola, non a caso, “Barriere”, evidenzia la necessità prioritaria, per chi voglia intraprendere un serio iter di ricerca spirituale, di coltivare un profondo mutamento nella concezione di sé stessi che va pensata immaginativamente e soprattutto sentita, interiorizzata, attraverso la riproposizione ritmica di una immagine vasta e profonda di sé; essa scende nel subconscio del ricercatore, si radica profondamente e non è un pensiero astratto, cerebrale, ma diviene uno stato interiore, la presenza di una Forza che veicola l’Io.
“…L’uomo è il centro dell’universo. Tutte le masse fredde o incandescenti delle miriadi di mondi non pesano nella bilancia dei valori quanto il più semplice mutamento della sua coscienza. I limiti del suo corpo non sono che illusione; non è solo alla terra che si appoggia, ma egli si continua attraverso la terra e negli spazi cosmici. Sia che muova il suo pensiero o muova le sue braccia, è tutto un mondo che si muove con lui; sono mille forze misteriose che si lanciano verso di lui con un gesto creativo, e tutti i suoi atti quotidiani non sono che la caricatura di quello che fluisce a lui divinamente.
Così pure deve volgersi intorno e liberare dall’impietramento ciò che lo circonda. Prima di saperlo, dovrà immaginare che nella terra, nelle acque, nell’aria e nel fuoco vi sono forze che sanno di essere, e che le cosiddette forze naturali non sono che modalità della nostra coscienza proiettate al di fuori. Non è la terra che fa vivere la pianta, ma le forze della pianta che strappano alla terra elementi per la propria vita. Nel senso della bellezza delle cose, deve innestarsi il senso del mistero delle cose come una realtà ancora oscura ma presentita. Poiché non soltanto quel che possiamo vedere e conoscere deve agire in noi; ma anche l’ignoto coraggiosamente affermato e sentito nella sua forza…”[10].
Richiamo l’attenzione del lettore su alcuni punti dell’insegnamento di Colazza: “I limiti del suo corpo non sono che illusione” e inoltre “egli si continua attraverso la terra e negli spazi cosmici”. La visione riduttiva e limitativa che l’uomo, ordinariamente ha di sé stesso e che si è radicata in lui da moli secoli, anche a causa del dogma proclamato nel Concilio dell’869 d.C. e che si è diffusa nella communis opinio fin nella mentalità popolare, va superata nei termini di una visione ampia, vasta, profonda dell’essere umano, delle sue correlazioni cosmiche e delle sue grandi potenzialità. Quest’opera preliminare di purificazione liberatrice è fondamentale per accostarsi al mondo spirituale. Coordinando gli insegnamenti di Steiner con quelli di Colazza, si comprende l’organicità del pensiero antroposofico, della sua visione dell’uomo e del mondo e si ha quindi una visione più chiara del cammino da intraprendere e di come va seguito.
Una comparazione coi Misteri romani di Mithra.
Avendo studiato a lungo i Misteri romani di Mithra[11], intendo soffermarmi sulla consapevolezza che in questi Misteri si aveva del mistero della triplicità e sulla sua raffigurazione simbolica.
Quando ci si sofferma sulla scena della Tauromachìa, di solito l’attenzione, ad uno sguardo superficiale, è catturata dall’uccisione del Toro primordiale da parte di Mithra. In realtà l’attenzione va ampliata a tutto l’insieme della scena mitico-simbolica che ha significati cosmologici, astrologici e, soprattutto, di palingenesi interiore. Dal punto di vista dell’osservatore, Mithra ha alla sua sinistra il dadoforo Cautes (che in latino è chiamato Lucifer ed a cui è connesso il sesto grado di iniziazione mitriaca, quello dell’Heliodromos, in tutela Solis), con la fiaccola rivolta verso l’alto, mentre alla sua destra ha Cautopàtes (in latino chiamato Hesperus ed al quale è connesso il quinto grado d’iniziazione, quello del Perses, in tutela Lunae), con la fiaccola rivolta verso il basso. Non è raro, però, trovare i due dadofori in posizioni invertite: Cautes alla destra di Mithra e Cautopates alla sua sinistra (dal punto di vista dell’osservatore). In quest’ultimo caso, la scena va letta in senso orario: al levarsi del dio del sole (in alto a sinistra) segue il tramonto (in alto a destra) e a questo in cerchio segue nuovamente l’alba (Cautes-Lucifer in basso a destra) e l’ascesa della luna (Cautopàtes–Hesperus, in basso a sinistra)[12].
Il Triplice Mithra
Se congiungiamo con una linea ideale le tre figure di Mithra e dei dadofori abbiamo un triangolo ideale la cui base è costituita dal corpo del toro bianco (in termini alchemici è la materia dell’Opera, il piombo da trasformare in oro) in cui Mithra (che nelle epigrafi mitriache è appellato “Sol Invictus Mithra”) occupa non solo la posizione più elevata corrispondente al vertice del triangolo, ma anche, al tempo stesso, quella mediana, equidistante fra i due dadofori, ossia il “giusto Mezzo” fra le due fiaccole. Orbene, se leggiamo questo triangolo sub specie interioritatis, possiamo notare che, in mancanza dell’elemento mediano, tutta la scena sarebbe sbilanciata verso Cautes (ossia verso l’alto) o verso Cautopates (fiaccola rivolta in basso). In termini più concreti, la spinta verso l’alto, in mancanza di un perno di equilibrio, può degenerare in evasionismo sognante e astratto e quella verso il basso (che nella sua versione corretta è la discesa agli Inferi) può degenerare in una pietrificazione materialistica.
Il Mithra Sol Invictus, quale solarità interiore dell’uomo, è il punto di equilibrio. Se l’uomo, attraverso un cammino interiore di ascesi (dal verbo greco askéo = io mi esercito[13]) di concreta ricerca esperienziale, si riconnette al suo Sole interiore, trova in sé il suo punto di equilibrio. La spinta verso l’alto, verso una sana elevazione spirituale, è una benefica componente; ci si apre alla dimensione del “sogno di chiarezza”, del sogno simbolico ma senza scadere nell’essere prigionieri dei sogni ad occhi aperti e di disordinate fantasticherie. La spinta liberatrice non degenera in revisionismo astratto. La spinta interiore a scendere nelle profondità del proprio mondo oscuro, nella conoscenza del proprio astrale inferiore, resta un sano cammino di autoconoscenza e di autosuperamento (= la morte del toro e la sua trasformazione in spiga di grano). Si conosce se stessi e il mondo ma senza lasciarsi avvincere dal proprio mondo oscuro, dal proprio astrale inferiore (gli strati inferiori della psiche, quali istinti, passioni, brame, attaccamenti) e senza lasciarsi prendere dal mondo, senza chiudersi in una passiva ottusità materialistica.
Orbene, questa lettura del triplice Mithra è scientificamente fondata. Non si tratta di una immaginazione arbitraria. La fonte antica che parla del Triplice Mithra è lo Pseudo Dionigi l’Aeropagita (Ep. VII, 2 = PG,3, col.1081 A : tou truplasìou Mitrou)[14]. Franz Cumont[15] ha mostrato che questo testo concerne la rappresentazione del Mithra tauroctono fra i due dadofori che, nella sua lettura, personificano rispettivamente l’alba e il tramonto, il Sol levante e il Sole discendente. Tale lettura naturalistica, se letta sotto l’aspetto dell’interiorità, schiude altri significati. L’alba è il momento più propizio per la chiarezza mentale, per la freschezza delle intuizioni e le esperienze meditative, poiché il “corpo astrale” non è ancora inserito pienamente nel corpo fisico e il “corpo eterico” ha una relativa mobilità ed elasticità rispetto al corpo fisico. Il tramonto è il momento più propizio per il raccoglimento interiore e per l’introspezione.
Mithra, in tale triangolo ideale, è il Mezzo-giorno (ossia il “giusto Mezzo”), il momento della massima luce diurna, fisica, sentita come manifestazione della Luce spirituale, ma è anche il dio della Mezza-Notte, essendo un dio solare celebrato negli antri sotterranei. nelle grotte naturali o costruite, ove manca la luce fisica ma che, proprio per questo, sono i luoghi della luce spirituale[16]. E’ un dio connesso, quindi, all’esperienza del Sole di Mezzanotte[17].
Mithra Mesìtes
Peraltro, Plutarco riferisce che “i Persi chiamano Mithra mediatore (Mesìtes)”[18]. Il mediatore non è solo l’intermediario fra umano e divino, il dio del patto sacrale fra l’uomo e il divino e fra gli uomini, ma è “il dio che sta nel mezzo”, ossia “il Signore del Giusto Mezzo”, della Via Mediana, come il suo legame con gli Equinozi di Primavera e d’Autunno mostra chiaramente. Nell’antico calendario persiano al dio Mithra è attribuito un posto centrale sia nell’anno, sia nei mesi; nel corso dei 30 giorni mensili il 16° è quello che gli è dedicato, così come il 7° mese dell’anno è quello che gli è consacrato[19]. Se il calendario mitriaco inizia col 21 marzo, come si evince da un’iscrizione del mitreo di S. Prisca[20], settembre è il mese legato al dio invitto, nel tempo della costellazione della Vergine, in cui brilla la stella Spica, cui allude, simbolicamente, la spiga di grano che nasce dalla coda del toro nei dipinti mitriaci[21]. Per quanto concerne la collocazione nello Zodiaco, secondo la testimonianza di Porfirio[22], Mithra occupa il posto degli Equinozi, poiché essi segnano il punto intermedio nel corso del sole, sono i punti in cui l’eclittica solare interseca l’equatore celeste, partendo da una visione geocentrica tolemaica.
Nel cosmo, vissuto quale simbolo, quale ierofania, il dio ha la collocazione che gli compete quale punto mediano d’incontro fra divino e umano, fra trascendenza e immanenza, fra uomini e dèi, fra l’alto e il basso. Gli Equinozi (si noti che aequus è anche la radice di ‘equanimità’ e di ‘equilibrio’) sono i momenti dell’anno in cui il giorno e la notte hanno una eguale durata, ossia sono i momenti del “giusto mezzo”. Questa concezione del “Triplice Mithra” concorda pienamente con la concezione del Triplice Sole di cui parla il filosofo neoplatonico Flavio Giuliano imperatore: il Sole intellegibile, chiamato anche il Bene o l’Uno; il Sole demiurgico, figlio del Bene, creatore del mondo terreno e il Sole fisico, “questo disco che vediamo”[23]. Peraltro questa concezione della triplicità si riscontra più anticamente nelle tre funzioni divine (dèi sovrani, dèi guerrieri, dèi della fecondità) e nelle tre funzioni sociali (sacerdoti, guerrieri, coltivatori-allevatori) che caratterizzano quella che George Dumézil chiama “l’ideologia trifunzionale” propria dei popoli indoeuropei[24]. Abbiamo quindi triplicità nell’ordine divino, triplicità nell’ordine sociale umano, triplicità nella costituzione dell’uomo, corrispondenza fra divino e umano, fra macrocosmo e microcosmo. La legge del Tre è sempre stata una conoscenza nei Misteri del mondo antico e anche in quelli del mondo tardoantico. E’ una conoscenza che persiste anche nei nuovi Misteri della “Scienza dello spirito” di indirizzo antroposofico, con la differenza, importante, di una netta accentuazione della interiorizzazione dell’elemento solare, in rapporto alla trasformazione della costituzione interiore dell’uomo e quindi in forme e modalità adatte al suo mutamento rispetto all’uomo di epoche più antiche[25].
Anticipazioni dell’anima cosciente
È da osservare, peraltro, che nei templi mitriaci l’ara per i sacrifici era interna al tempio, come interno al tempio erano il sacrificio del toro e il pasto sacro fra l’Heliodromos e il Pater, mentre nei templi più antichi della religione tradizionale (come può osservarsi, ad esempio, nei templi di Paestum) l’ara per la celebrazione dei sacrifici offerti agli dèi era esterna al tempio e intorno ad essa si radunavano i fedeli. Il tempio era esclusivamente la dimora del dio, il luogo in cui si custodiva il simulacro del dio che era il luogo della sua presenza spirituale e quindi nel tempio entravano esclusivamente i sacerdoti preposti al culto. Il Dies Natalis del tempio coincideva col Dies Natalis del dio, come documentato nella letteratura storico-religiosa[26]. Questa differenza di topografia religiosa ha una spiccata valenza simbolica; ad una distanza, reale e simbolica, fra il seguace del dio e la dimora divina (il tempio) subentra un rapporto, reale e simbolico, topografico e interiore, che allude ad un nuovo atteggiamento verso il sacro, ad un rapporto più intimo, diretto e individuale fra l’uomo e il divino, tipico delle spiritualità misteriche e, più specificamente, della misteriosofia solare. In questo senso, si può affermare che il culto misterico del Mithra romano segna un punto di passaggio da una spiritualità lunare (in cui l’uomo ha fuori di sé il suo riferimento sacrale) ad un orientamento solare decisamente più interiorizzato, in rapporto alle mutate esigenze di una diversa epoca nella storia spirituale dell’umanità.
I Misteri romani di Mithra precorrono la Via dell’anima cosciente in cui l’uomo, nel tempo dell’età oscura, è guida per sé stesso e vuole ritrovare in sé ciò che in altre epoche era concepito come riferimento trascendente.
Note:
[1] R. Steiner, La missione di Michele. La manifestazione dei segreti dell’essere umano (dodici conferenze tenute a Dornach dal 2 novembre al 15 dicembre 1919), O.O. n.194, Editrice Antroposofica, Milano, 2009.
[2] ID., op.cit., pp.16-17
(3) ID., op.cit., passim; ID., La saggezza dei Rosacroce (Quattordici conferenze tenute a Monaco di Baviera dal 22 maggio al 6 giugno 1907), O.O: n.99, Editrice Antroposofica, Milano, 2018, p. 92 ss.
[4] S. Arcella, La Chiesa di S. Giovanni a carbonara in Napoli. Solarità spirituale, Neoplatonismo ed Ermetismo nel linguaggio delle forme artistiche, in Le Vie di Hermes. Primo Simposio Internazionale di Studi Ermetici. Atti del Convegno (Napoli, 30 maggio 2015), Edizioni Rebis, Viareggio, 2017, pp. 22-39.
[5] ID., La missione di Michele, cit., pp.14-15.
[6] ID., op .cit., p.15.
[7] P. Filippani Ronconi, Zarathustra e il Mazdeismo, Irradiazioni, Roma, 2007, pp.173-192;
[8] R. Steiner, La misiione di Michele, cit., p.18..
[9] ID., op.cit., p. 20 ss. V. anche nt. 20 in op.cit., p. 231 “In questo Concilio, organizzato contro il patriarca Fozio, venne stabilito, nei Canones contra Photium (Can.11) che l’uomo non ha due anime, bensì unam animam rationabilem et intellectualem. Il filosofo cattolico Otto Willmann, molto stimato da Rudolf Steiner , scrisse nella sua opera in tre volumi Geschichte der IIdealismus (Braunschweig,1894, a pag.11 del II volume): ”L’abuso operato dagli Gnostici della distinzione paolina fra l’uomo pneumatico e quello psichico, dichiarando il primo espressione della loro perfezione e il secondo rappresentante dei cristiani soggetti alle leggi della Chiesa, decise la Chiesa stessa all’esplicito rigetto della tricotomia”.
[10] Leo, Barriere, in UR, Introduzione alla Magia quale Scienza dell’Io, Roma, 1927 (rist. Ed. Tilopa, Roma, 1978), p.6 ss; ID., Introduzione alla Magia quale Scienza dell’Io, vol. I, Mediterranee, Roma, 1971, pp.19-20.
[11] S. Arcella, I Misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica, Controcorrente, Napoli,2002; ID., Il dio splendente. I Misteri romani di Mithra fra Oriente e Occidente, Arkeios/Mediterranee, Roma, 2019; J. Evola (a cura e con due saggi introduttivi di Stefano Arcella), La Via della realizzazione di sé nei Misteri romani di Mithra, Fondazione J. Evola-Controcorrente, Roma-Napoli, 2007.
[12] Cfr. R. Merkelbach. Mitra, Ecig, Genova, 1984, p. 246.
[13] V. R. Steiner, I Sei Esercizi, Editrice Antroposofica, Milano, pp.9-11(prefazione di Athis Floride “Il senso esoterico dell’esercizio”).
[14] Cfr. R. Turcan, Recherches mithriaques. Quarante ans de questions et d’investigations, Les Belles Lettres, Paris, 2016, pp.34-36.
[15] F. Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux Mystères de Mithra. Vol. I, Bruxelles, 1896, p.19.
[16] Cfr. R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano, p.177 ss.
[17] S. Arcella, La contemplazione del Sole di Mezzanotte nel Gruppo di UR (e il rapporto Evola-Steiner), in La dimensione magica del Gruppo di UR (Atti del Simposio internazionale, Napoli, 14 ottobre 2017), Edizioni Rebis, Viareggio, 2020, pp.133-143.
[18] Plut., De Iside et Osiride, 46, 47.
[19] R. Merkelbach, op.cit., pp.255-261. Rinvio alla mia disamina ne Il dio splendente, cit., pp. 161-165.
[20] Nell’iscrizione del mitreo di S. Prisca il sole “inizia il suo cammino in Ariete” su cui v. R. Merkelbach, op.cit., pp.255-261.
[21] Rinvio alla mia diisamina Il dio splendente, cit., pp.161-165.
[22] Porph., De antro nympharum, 18.
[23] Giul, Inno ad Helios-Re, 5-6, su cui v. la mia analisi in Il dio splendente, cit., pp. 187-195. V. anche MIthra Demiurgo. Un confronto fra il Mithra romano e il Demiurgo nel Timeo di Platone, in Il dio splendente, cit., pp.147-153. Cfr. R. Steiner, Il mistero solare, Editrice Antroposofica, Milano, 1996.
[24] G. Dumézil, Juppiter Mars Quirinus, Einaudi, Torino,1955; ID., La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 1978.
[25] R. Steiner, La saggezza dei Rosacroce, cit., p. 131-132.; G. Colazza, Appunti per l’animazione dei «centri» in Introduzione alla Magia, cit., vol. II, p.190.
[26] M. Guarducci, Il graffito ‘Natus prima luce’ nel mitreo di Santa Prisca, in Mysteria Mithrae (Atti del Seminario Internazionale di Studi Mitriaci, Roma-Ostia, 1978), J. Brill, Leiden, 1979, p.156.
Stefano Arcella