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Il metodo come via ascetica: una riflessione sulla filosofia di Spinoza – Gabriele Bux
La vita di Baruch Spinoza è segnata da spiacevoli vicissitudini personali. Fra tutte la scomunica dalla comunità ebraica nel 1656 seguita, nello stesso anno, dalla chiusura dell’attività commerciale di famiglia. Questi tormenti influenzeranno la sua filosofia tanto da darle una spiccata peculiarità nella congiunzione di due aspetti credo fondanti: l’indagine razionale utile alla verità e all’esercizio di vita quotidiana. Nell’avvertenza al lettore del Trattato sull’emendazione dell’intelletto si avvisa che l’opera, malgrado incompleta, sia ciononostante proficua: «Contenendo però molte riflessioni eccellenti e utili, che non dubitiamo affatto saranno di non poco giovamento all’onesto ricercatore della verità, non abbiamo voluto privartene»(in B. Spinoza,Tutte le opere, a cura di A. Sangiacomo, Bompiani, Milano 2011, p. 109). Ci interessano proprio queste “riflessioni eccellenti e utili ”che vedremo come consigli di vita utili per la verità e la felicità. Delineeremo dunque i tratti ascetici e la filosofia di vitadi Spinoza partendo dal Trattato sull’emendazione dell’intelletto. Scegliamo quest’opera per due motivi: evidenziare il biòs filosofico-ascetico dell’autore e mostrare come si sviluppi in seno alla nozione di metodo. Inoltre pensiamo che questa prospettiva fornisca una chiave di lettura utile alla riabilitazione del senso della vita.
Inizierei riportando la nozione di metodo per come espressa nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto: esso non è «nient’altro che una conoscenza riflessiva, o idea di idea; e poiché non si dà idea dell’idea se prima non si è data idea, ne segue che non si dà metodo se prima non si dà idea» (B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto in Tutte le opere, cit., p. 117).Il metodo è quindi un arrovellarsi che potenzia la pienezza di un’idea. Diremmo si tratti quasi di un rimuginare epistemologico: concepisco più ampiamente l’idea se ritorno ad analizzarla. Inoltre, il metodo presenta uno strettissimo legame con la speculazione, notato da F. Mignini [1]: «Il metodo è perciò immanente e necessario alla filosofia: non può esservi metodo senza filosofia in fieri, né filosofia che possa evolvere fino al suo culmine, con certezza e non casualmente, senza metodo» (F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2015, p. 29). Dal canto suo, Spinoza spiega che «sarà perfettissimo quel metodo che mostra come si debba dirigere la mente secondo la norma dell’idea data dell’Ente perfettissimo» (B. Spinoza, op.cit., p. 129). Se quindi la nostra conoscenza è adeguata fondandosi sull’idea dell’Ente perfettissimo, indurrà anche ad «astenersi da operazioni inutili» (B. Spinoza, op.cit., p. 131). Tuttavia il Trattato sull’emendazione dell’intelletto è un’indagine sulla possibilità di una conoscenza autentica e il metodo deve dapprima individuare «quale debba essere il punto di partenza di ogni riflessione» (A. Sangiacomo, Saggio introduttivo, in B. Spinoza Tutte le opere, cit., p. 15). Vorrei ora avanzare l’idea che non solamente porti a una conoscenza certa ma pure a una forma di ascesi, dunque un esercizio o regola di vita sugli aspetti conoscitivi ed etici del soggetto.
L’arduo compito dell’opera è quello di perseguire un bene che «una volta trovato e acquisito, mi facesse godere in eterno di una continua e somma letizia» (B. Spinoza, op.cit., p. 111). Si tratta dunque di una ricerca finalizzata a portare l’uomo a uno stato di felicità perenne, che Spinoza crede estraneo al piacere dei sensi (cfr. ibidem). Ancora, per Spinoza felicità e mondanità sono ben diversi e si chiede se sia «mai possibile arrivare a una nuova regola di vita, o almeno alla certezza su quale fosse, pur non mutando l’ordine e l’impostazione abituale della mia vita, ma lo tentai spesso invano» (ibidem). Questo passaggio dimostra la presenza dell’ascesi nella filosofia spinoziana, che si trova nell’equivalenza tra vita felice e conoscenza adeguata. Pertanto mi interesserebbe illustrare come il metodo sia la via a queste due mete: la felicità e la conoscenza. Ora: la costruzione del metodo, ovvero l’emendazione dell’intelletto, è un’operazione, per come la definisce Mignini, «negativa e catartica» (F. Mignini, op.cit., p. 22) e permette di risolvere i modi di conoscere inadeguati. È interessante notare che questa purificazione della mente accompagna uno stile di vita sano e composto da ferree regole:
«1. Parlare al livello della gente comune, e fare tutte quelle azioni che non portano alcun impedimento al raggiungimento del nostro scopo. Infatti, possiamo ottenere da costoro non pochi vantaggi, solo che concediamo alla loro intelligenza ciò che è possibile concedere. Inoltre, in questo modo porgeranno orecchie propense ad ascoltare la verità. 2. Godere dei piaceri nella misura sufficiente a conservare la salute. 3. Infine, cercare denaro, o qualsiasi altra cosa del genere, quanto basta a conservare la vita e la salute, e conformarsi agli usi sociali non contrari al nostro scopo». (B. Spinoza, op.cit., p. 117)
Spinoza non si sofferma molto su queste regole nel trattato, ma le approfondisce nell’Ethica, dove sono utili per la libertà. La regola di vita della conservazione di sé, presente nel trattato, è analogica al concetto di conatus dell’Ethica (cfr. B. Spinoza, Ethica, III, 7). Queste caratteristiche, a mio parere, incarnano perfettamente l’attività di un asceta che vive secondo le regole della ragione e orienta le proprie conoscenze alla conservazione della vita:
«L’uomo libero, cioè l’uomo che vive secondo il solo dettame della ragione, non è guidato dalla paura della morte (per P63), ma desidera direttamente il bene (per P63C), cioè (per P24) desidera di agire, di vivere, di conservare il suo essere secondo il principio della ricerca del proprio utile; e perciò a nulla pensa meno che alla morte, ma la sua sapienza è una meditazione della vita». (B. Spinoza, Ethica, IV, 67)
Crediamo che l’ascetismo del vivere secondo ragione si costituisca anche di una conoscenza adeguata, infatti il metodo: «è la via attraverso cui cercare o la verità stessa, o le essenze oggettive delle cose o le idee (questi termini hanno tutti lo stesso significato) nell’ordine dovuto» (B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto in Tutte le opere, cit.,p. 129).Inoltre:
«il metodo non è lo stesso ragionare per conoscere le cause delle cose, e ancor meno è il conoscere le cause delle cose; è piuttosto il conoscere che cosa sia l’idea vera, distinguendola dalle altre percezioni e investigandone la natura, al fine di poter conoscere la nostra capacità di intellezione, e costringere la mente a conoscere secondo quella norma tutto ciò che è da conoscere» (ibidem).
Il metodo è quindi la via per conoscere correttamente le cose sulla base di una prima idea vera. Sangiacomo spiega che se il Sommo Bene «dipende dal nostro modo di conoscere il mondo», dunque «questo modo è davvero adeguato solo quando siamo in grado di conoscere le cose non come possibili ma secondo necessità, giacché solo allora possiamo avere la certezza di non essere noi a fingerne aspetti o ipotizzarne la natura» (A. Sangiacomo, op.cit., p. 19). Il percorso del metodo porta alla conoscenza dell’ordine necessario di tutte le cose in quanto modi finiti della sostanza. Per Sangiacomo questo è l’unico modo «affinché l’amore possa rivolgersi a un ente assolutamente infinito ed eterno e dunque realizzare quell’emendatio vitae nella beatitudine, ricercata fin dalle prime pagine del Trattato sull’emendazione» (ivi, p. 25). Ancora: «La dimostrazione dell’assoluta unicità e infinitudine della sostanza è dunque meta argomentativa – si noti bene – anche perché costituisce la condizione di possibilità per il raggiungimento del fine esistenziale che la filosofia spinoziana si pone fin dal suo primissimo cominciamento» (ibidem).
Chiuderei con la fenomenologia dell’errore, come la chiama Sangiacomo, riferendola al metodo come rigorosa via ascetica orientata alla necessità. Si è visto che per conoscere veramente un’idea la si deve distinguere da tutte le altre e per questo viene svolta una fenomenologia dell’errore. Nonché una analisi delle idee sbagliate per trovarne la causa, che sappiamo essere la produzione di idee confuse (cfr. B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto in Tutte le opere, cit.,p. 159). Se la conoscenza adeguata passa dalla necessità, allora chi non dispone dell’idea vera avrà solo una visione parziale della realtà (cfr. ivi, p. 18). Perciò presumo che chi è immerso nella contingenza e sorvola la verità non saprà affrontare i problemi della vita. Sostengo quindi che il metodo abbia un’impronta ascetica proprio perché non è solo un esercizio di conoscenza ma anche un indirizzo di vita. L’Ethica corrobora la mia proposta, in particolare nella proposizione sessantanovesima del IV libro: «La virtù dell’uomo libero si rivela ugualmente grande tanto nell’evitare, quanto nel superare i pericoli». Nel relativo corollario troviamo pure: «l’uomo libero sceglie la fuga con la medesima fermezza, o presenza d’animo, con cui sceglie il combattimento». Crediamo che l’asse tra metodo e ascesi, se costruito, chiarisca in che modo Spinoza intenda una vita corretta. Essa non è fatta di penitenze, tanto meno include severi precetti, bensì è una tensione della ragione verso l’infinito. La grandezza dello Spinoza asceta sta quindi nel vivere la vita per come essa è apprezzandone ogni istante, nel bagliore perpetuo del necessario.
Note:
[1] Già ordinario di storia della filosofia all’università di Macerata, ora professore emerito presso la medesima cattedra, si è occupato del pensiero di Spinoza curando varie edizioni critiche e saggi tra cui si ricorda: L’Etica di Spinoza: introduzione alla lettura (Carocci, Roma 2002) e Dio, l’uomo, la libertà. Studi sul «Breve trattato» di Spinoza (Japadre, L’Aquila 1990).
Gabriele Bux