Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il Dizionario dei simboli di Juan Eduardo Cirlot: summa del sapere tradizionale – Giovanni Sessa
Di alcuni libri non ancora tradotti nella nostra lingua, si sente davvero la mancanza. Per quanto attiene la pensiero di Tradizione, grazie alla casa editrice Adelphi, è stato da poco colmato un vuoto editoriale che durava da troppo tempo. Ci riferiamo alla recente pubblicazione nella nostra lingua dell’opera capitale di Juan Eduardo Cirlot, Dizionario dei simboli, da poco nelle librerie per la traduzione di Maria Nicola (pp. 551, euro 34,00). L’autore (1916-1973), dopo l’iniziale partecipazione al dada e al surrealismo, si avvicinò all’etnomusicologo Marius Schneider, che lo introdusse allo studio dello spiritualismo e della simbologia. Fu poeta, compositore, critico d’arte ma, soprattutto, dette il meglio di sé come iconografo: le pagine del libro che presentiamo lo confermano senza tema di smentita. La prima edizione del testo fece gemere i torchi nel 1958, la seconda, rivista ed ampliata, nel 1969.
L’incipit del volume chiarisce, a priori, le intenzioni di Cirlot, che sostiene: «Siamo convinti, con René Guénon, che “il simbolismo è una scienza esatta e non una fantasticheria”» (p. 9). Intenzione prima dell’autore è far cogliere, al lettore, l’universo valoriale dei simboli nella sua complessità, sottraendosi alla consuetudine, tipicamente moderna, di analizzarli ed “interpretarli”. Ogni simbolo, per quanto determinato e circoscritto, ammette sempre significati “secondari” e “concomitanti”. Oltre a Schneider, le guide ideali che hanno accompagnato Cirlot, lungo tale via, sono state Guénon e Eliade. Non mancano, comunque, per il simbolismo medievale riferimenti a Marie Madeleine Davy e, per quello ermetico, ad Evola. Gli strumenti utilizzati in questa esegesi sono disparati: antropologia, filosofia, iconologia, teologia, esoterismo, per citarne solo alcuni. Come ogni Dizionario che si rispetti i singoli simboli sono presentati e discussi in rigoroso ordine alfabetico. Non si tratta, si badi, di un’opera di mera consultazione, le sue pagine vanno lette integralmente, in quanto solo al termine l’articolazione della simbologia si presenterà al lettore, nei suoi molteplici rimandi interni, quale struttura per leggere accortamente il mondo e per vivere virtuosamente. Lasciarsi influenzare dai simboli, infatti, stante la lezione di Goethe, implica che ognuno di noi si faccia latore: «di una riconfigurazione e rammemorazione del trascendente» (p. 12).
Il simbolo è realtà dinamica e polisemica, pregna di valori emotivi ed ideali, tanto da “intensificare” lo stesso piano religioso. Ciò non implica che il simbolismo e la storicità siano realtà inconciliabili. Infatti, come colse Eliade: «il simbolismo aggiunge un valore nuovo a un oggetto o a un’azione, senza per questo intaccare i loro valori propri ed immediati» (p. 17) e può concedere vere “aperture” sulla realtà profonda del mondo. Simbolicità e storicità, cioè, possono concorrere al dischiudersi del piano metafisico, consentendo all’uomo di aderire all’ “Idea” del mondo, alla sua dimensione immutabile. Tale tesi induce Cirlot ad esplicitare la sua adesione all’ “Unità trascendente delle religioni” e a ipotizzare: «un’origine unica per tutte le tradizioni simboliche» (p. 18), e a presentarne un’analisi significativa. Con S. Paolo e la tradizione cristiana egli ritiene che simbolo e miti conducano: «Per visibilia ad invisibilia» (p. 19). L’espressione paolina sintetizza precedenti visioni sviluppatesi a partire dal IV millennio a. C.: «Nel Neolitico si formarono l’idea geometrica dello spazio, il valore del numero sette, il rapporto tra il cielo e la terra, i punti cardinali» (p. 20), che permisero il definirsi dell’universo simbolico. Con Schneider è possibile asserire che, l’ultima fase del Neolitico, vede affermarsi la concezione che tutti i fenomeni siano centrati sua una struttura ritmica, vibratoria.
Tale processo mosse dal Vicino Oriente al mondo greco-romano, per giungere al mondo bizantino e da lì, prolungarsi nel Medioevo e nel Rinascimento. S. Agostino allude al valore simbolico della natura, portatrice di messaggi spirituali e di tale visione si sente l’eco negli erbari, bestiari e lapidari successivi. Per tutta la Rinascenza la pittura testimonierà un evidente interesse per il simbolico, mutuato dal neoplatonismo, si pensi, tra gli altri, a Botticelli. Medesimo propensione si palesa nel Romaticismo. Si pensi, tra gli altri ambiti, agli emblemi letterari e alle marche in filigrana dei fabbricanti di carta, apparse nel 1228 e alle quali, fino al Settecento, fu attribuito un riferimento esoterico: «Vi si trovarono cristallizzate come nei fossili, le aspirazioni e le tradizioni delle numerose sette mistiche presenti nell’Europa medioevale» (p. 27). Anche nei sogni, fin dal mondo antico, si è ravvisata una riemersione del simbolico. La simbolica onirica, nella sostanza, non è diversa da quella mitica e religiosa: in essa, si faccia attenzione, ai grandi archetipi sono commisti i residui dell’esistenza reale e influssi dal basso. Inoltre, sogni straordinari e liberanti sono propri di personalità fuori dal comune, solo a queste ultime è concessa la “grande visione”. Nel Rinascimento gli alchimisti elaborarono una: «una tecnica simbolica che […] anela a realizzare verità spirituali» (p. 31).
Juan Eduardo Cirlot
L’aspirazione più profonda di tale Via è da individuarsi nella coincidenza oppositorum del Rebis ermetico, conseguibile escludendo: «la realtà concreta e materiale del simbolo, in favore della potenza spirituale di ciò che era simbolizzato» (p. 33), in quel particolare momento dell’Opera. In tale contesto l’affiorare del materiale simbolico era da ricondurre al “superconscio”, alla dimensione uranica. Il simbolo ha tratto analogico. L’analogia fra due piani del reale si innesca quando in entrambi vige un “ritmo comune”. Per ritmo deve intendersi: «il fattore coerente, determinato e dinamico che un carattere possiede e che trasmette all’oggetto sul quale si innesta o dal quale scaturisce come emanazione» (p. 37). Come la scienza moderna getta ponti orizzontali tra enti di natura, la “scienza sacra” costruisce relazioni verticali fra oggetti collocabili all’interno del medesimo ritmo cosmico. E’ evidente che, se l’ordine simbolico viene stabilito grazie alla corrispondenza tra il basso e l’alto, ogni simbolo è carico di molteplici rinvii. Cirlot, a proposito dell’acqua, dice le sue qualità essere la fertilità, la capacità di purificare e di sciogliere. Tali qualità possono essere poste in relazione sia alle forme materiali che al mondo spirituale. A differenza della dimensione polisemica del simbolo, l’allegoria è un simbolo ridotto, limitato, come comprese Jung, ad una sola delle sue dimensioni seriali e dinamiche. La parzialità connota di sé anche l’approccio psicologico alla simbologia, in quanto: «esso è il termine medio fra la verità oggettiva del simbolo e la situazione contingente di chi vive quel simbolo» (p. 52).
Non ci si deve stupire di questa lunga storia del simbolo. Con Walter Andrae bisognerebbe, infatti, ricordare che: «il potere del mondo spirituale, cui il simbolo appartiene, è eterno» (p. 13).
Giovanni Sessa