Il contributo di Evelino Leonardi aII’idea della Atlantide-Tirrenia-Italia – Marco Pucciarini
L’otto novembre del 392 d.C., 1’imperatore Teodosio 1 (347—395) emanò un editto (Gentilicia constiterit superstitione) (1) che cambiò totalmente la storia dell’Occidente romano: fu vietata, in assoluto, ogni manifestazione (sia pubblica sia privata) della religio greco-romana. Dopo questa data inizierà una nuova storia di essa, poco investigata dagli studiosi, riguardante la supposta trasmissione occulta dei culti della religio e della «Antica Sapienza»; infatti, nonostante l’editto imperiale, sembra certo che essa continuò ad essere praticata(2) e ad influenzare i destini dell’Italia (3). Durante il periodo Medievale tale tradizione si occultò definitivamente. Con l’avvento del periodo Rinascimentale, invece, la corrente della antica Sapienza ritornò allo scoperto, influenzando personaggi conte Giordano Bruno (1548—1600) e Tommaso Campanella (1568—1639). Questa Sapienza che da una remota antichità fu trasmessa in maniera occulta di generazione in generazione, ha attraversato i millenni, irrompendo a volte in maniera improvvisa, sulla scena della storia attraverso miti e simboli capaci di riportare alla luce «ricordi» ancestrali della stirpe (4):
Accadde così che tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento riemersero alcune tradizioni riguardanti le più remote origini italiche, come quelle inerenti il primato delle antiche genti della Penisola, l’Italia Atlantica e il grande Cataclisma Italo, riconducibili, nella loro essenza, a quegli ambienti esoterici depositari della Prisca Sapienza. Questi miti, intrinsecamente correlati tra loro, costituiscono il nucleo di un filone di pensiero che influenzò profondamente la cultura italiana dell’epoca risorgimentale (5).
Queste tradizioni si basavano sull’idea che in un tempo primigenio l’Italia, diversa fisicamente da quella odierna, fosse il luogo dove si formò la prima umanità detentrice di una sapienza divina. Una specie di «Primato Italico» che sosteneva di basarsi su una superiorità sacrale e sapienziale delle genti primitive dell’Italia. Tale civiltà primordiale fu distrutta, secondo i sostenitori del mito, a seguito di un evento geologico di derivazione vulcanica (su questo, c’era anche chi sosteneva che fossero i Colli Albani laziali l’epicentro delle grandi eruzioni vulcaniche che sconvolsero l’Italia in tempi primordiali), denominato «Cataclisma Italo», che portò gli antichi abitatori della Penisola a fuggire dalla loro terra c a viaggiare, senza una meta precisa, verso altri paesi. Questo popolo nomade, identificato con i mitici «Pelasgi»(6) (cioè emigranti per il pelago, per il mare), comunicò la propria sapienza e civiltà agli abitanti delle terre nelle quali emigrò, ad esempio, gli Egizi e i Greci. Una volta che l’evento cataclismatico terminò, questi erranti tornarono, dopo diverse generazioni, nella loro patria d’origine contribuendo alla formazione di un nuovo e potente impero nella penisola italica: quello Etrusco. Infatti, gli etruschi furono considerati gli eredi spirituali degli Italo-Pelasgi e, quindi, custodi dell’Arcana Sapienza (7). La diffusione di tali tradizioni, riguardanti la più arcaica storia d’Italia e il primato spirituale delle genti che la abitarono in tempi remoti, circolavano già dalla seconda metà del Settecento nell’ambito dei gruppi esoterici italiani, proponendosi di risollevare l’identità nazionale italiana, umiliata da secolari frammentazioni ed egemonie straniere, con lo scopo di valorizzarne le peculiarità spirituali c la funzione di cardine sapienziale e civile del mondo antico.
Quello che si può considerare il primo studio dedicato a tale argomento risale alla prima metà del XIX secolo con l’opera dal titolo Delle Origini Italiche (1840) di Angelo Mazzoldi (1802- 1864). A tutt’oggi non è possibile stabilire con chiarezza in che modo Mazzoldi sia arrivato a portare avanti una teoria cosi audace sulla preistoria italica, forse partendo da pure intuizioni personali o sulla base di informazioni segrete che erano giunte a lui da determinati ambienti esoterici. La tesi più probabile sembra far propendere per la seconda ipotesi, anche se mancano testimonianze sicure di affiliazioni del Mazzoldi a società segrete o di suoi contatti con esponenti dell’esoterismo italico del tempo. Mazzoldi sosteneva che l’opinione, in massima voga tra gli studiosi del suo tempo, di considerare l’Egitto e la Grecia come le aree che «forgiarono» la civiltà, era, in definitiva, fallace in quanto tale primato andava ascritto agli antichi italici c non agli egiziani e ai greci (9). Questa tesi, di per sé innovativa, era solo la premessa all’intero teorema elaborato dal Mazzoldi stesso; egli, infatti, affermava, come detto, che l’Italia in tempi primordiali (ad oggi non ancora definibile il tempo preciso) era stata abitata da un antichissimo e civile popolo autoctono:
Tutti gli scrittori — spiegava il Mazzoldi — che parlano degli antichi popoli d’Italia, fecero menzione di un comune ceppo di cui si conservò la memoria nella denominazione di Aborigeni. Gli stessi greci che avevano fatto proposito di arrogare al paese loro tutte le nostre tradizioni, dovettero confessare avere avuto la sede loro in Italia popoli che non vi erano venuti da alcun’ altra arte (10).
L’idea del Mazzoldi che generò più clamore tra gli studiosi del tempo fu quella dell’identificazione dell’originario popolo italico con l’Atlantide citata nel Timeo e nel Crizia da Platone. Mazzoldi era convinto che la mitica isola che era stata collocata nell’Oceano Atlantico, in maniera errata dai moderni, doveva essere identificata con l’Italia primordiale. La penisola italiana, infatti, non doveva aver avuto in origine la forma che ha oggi, ma sarebbe stata unita alle isole della Sardegna e della Sicilia formando un grande continente primordiale. Però, la grande civiltà che era andata sviluppandosi nell’Italia primeva era stata distrutta circa 1986 anni prima dell’era cristiana, a causa dell’evento catastrofico epocale (di cui accennavamo), che causò l’inabissamento di gran parte della penisola, dandole la forma attuale. Lo studioso era certo che tale evento catastrofico doveva ricollegarsi con il racconto platonico sull’ inabissamento di Atlantide (11).
Per quanto riguarda le cause che avevano generato l’enorme catastrofe, Mazzoldi, pur dando la precedenza ad un grande sconvolgimento tellurico, teneva in considerazione anche la pista legata ad un ipotetico evento astronomico, come la caduta sulla terra di una cometa. Mazzoldi ricordava anche una interpretazione metafisica che gli antichi avrebbero assegnato a tale cataclisma: esso sarebbe stato causato dalla Divinità suprema per castigare gli Itali antichi diventati troppo superbi. Di fronte a tale sconvolgimento che si abbatté sulla penisola, l’antico popolo dovette emigrare via mare verso paesi lontani, diffondendo, tra le genti del Mediterraneo, il germe della civiltà. Mazzoldi, infatti, in riferimento ad un passo del Timeo di Platone, sosteneva che l’antichissima colonizzazione italica del Mediterraneo fosse contemporanea all’inabissamento del primordiale continente italo-atlantico e fosse suggerita più dalla necessità che dalla reale volontà di conquista. Fu il volere divino, che si manifestò attraverso un oracolo, a sancirne il ritorno, dopo molte generazioni, alla terra originaria. Le teorie sulle origini italiche del Mazzoldi furono riprese — con notevole autonomia critica —, un ventennio più tardi, dallo studioso romano Camillo Ravioli; sempre nella seconda metà dell’Ottocento altro sostenitore della tesi Italo-Atlantica fu lo studioso c letterato romano Ignazio Ciampi (1824—1850). Altri continuarono questa linea di indagine: Ciro Nispi-Landi e Evelino Leonardi di cui ci occuperemo in dettaglio.
Evelino Leonardi nacque a Gubbio il 5 giugno 187 1 da Gaetano Leonardi e Marzia Mantovani. Sposatosi con Giuseppina De Lenne (di cui al momento non si hanno chiare notizie), il Leonardi ebbe poi una figlia di nome Liviana Marzia Leonardi. La personalità irrequieta del Leonardi (12) è testimoniata anche dalla sua carriera scolastica ed universitaria che, dai primi dati raccolti, risulta essere assai singolare e «movimentata». Iscritto presso il Ginnasio del Liceo classico di Gubbio (negli anni 1887 e 1888), ottenne probabilmente la licenza liceale presso il Liceo Classico di Senigallia. Si laureò presso 1’Università di Bologna, Facoltà di Medicina e Chirurgia, il 18 novembre 1897, con una tesi dal titolo: Un caio di lesioni cutanee di natura isterica; essendosi prima iscritto alla Facoltà di Veterinaria di Perugia, passando poi a quella di Medicina e Chirurgia nella stessa sede per poi trasferirsi a Napoli e concludere a Bologna. Sia la sua vocazione terapeutica di medico chirurgo (da sottolineare che fu anche omeopata e utilizzava questo tipo di medicina alternativa per curare anche gli animali), sia la ricerca della «sapienza» e delle «origini italiche», presero ispirazione dalla particolare vicinanza dcl Leonardi a filoni dell’ermetismo italico e ad alcuni prestigiosi personaggi c studiosi importanti. Al di là dal rintracciare «filologicamente» chi e come veicolò certi insegnamenti tradizionali — dei quali si fece portatore il Leonardi — occorre sottolineare come essi costituiscano un corpus pressoché unitario di conoscenze a cui solitamente ci si riferisce con l’espressione di Schola Italica.
Leonardi fu un personaggio che riuscì a ricoprire professionalmente più ruoli, infatti, oltre all’esser stato clinico e scienziato, fu giornalista, polemista, filologo molto geniale. Nel 1909, nella lista di nomi approntata per la designazione dei nuovi soci della «Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria» , secondo le varie Categorie, da portarsi all’Assemblea generale per la necessaria conferma, compare anche il Leonardi come «socio aggregato». Nell’Assemblea generale dcl 191 2 tenutasi a Todi il 22 settembre nella sala comunale l’allora segretario ordinario dott. Francesco Briganti diede lettura di alcune adesioni pervenute e tra queste compare pure il nominativo di Evelino Leonardi, confermando ulteriormente il suo ufficiale ingresso coinc socio aggregato nella Deputazione (13). Particolare inte resse é dato dal fatto che di tale istituzione furono eletti a «soci aggregati» anche l’avv. Ciro Alvi (1572–1944) c il prof. Enrico Caporali (14). Trasferitosi, poi, a Roma (intorno agli anni fra il 19 15-1 S), Leonardi iniziò una importante carriera di medico chirurgo, fondando anche (durante la Prima Guerra Mondiale) la Clinica Morgagni, della quale fu per anni il direttore e diventando socio dcl C.O.R., Centro Omeopatico Romano (associazione omeopatica attiva nei primi anni dc1 Novecento). A Roma approfondi pure gli studi di archeologia c di esoterismo. Non è noto se fosse affiliato alla massoneria, mentre è probabile la sua adesione al Martinismo.
Sulla questione legata al Martinismo, possiamo dire che il dott. Pericle Perali (1554—1949), intimo amico del Leonardi, illustrò le motivazioni che spinsero il medico di Gubbio ad aderire a questa organizzazione esoterica; infatti, questa «pazza» ricerca dottrinale e spirituale del Leonardi, lo aveva portato in quegli anni della Prima Guerra Mondiale alle indagini sopra i segni e i simboli della cosiddetta antica scienza e lo aveva attratto verso una corrente di tipo misteriosofico o iniziatico di derivazione, appunto, dal Martinismo che cercava di penetrare anche in Italia (15). Leonardi ebbe contatti con Julius Evola (1898-1974) testimoniato dalla corrispondenza e dalla sua collaborazione alla rivista evoliana «La Torre» (ne usciranno solo 10 fascicoli nel 1930) .
Potrebbe anche essere probabile che il Nostro abbia preso parte pure alle atti-vità stesse del Gruppo di Ur (16) di matrice esoterica coagulatosi attorno allo stesso Evola, Gruppo attivo dal 1927 al 1929. Inoltre, per le connessioni del Leonardi con il mondo tradizionalista del tempo, vi è anche una corrispondenza epistolare con Roggero Musmeci Ferraro Bravo, esponente anch’egli del gruppo di Ur il cui pseudonimo era Ignis, personaggio poliedrico e di difficile incasellamento. Poi, per ciò che riguarda la divulgazione, in senso stretto, delle sue idee dobbiamo evidenziare anche la sua collaborazione come redattore scientifico al quotidiano «La Tribuna-L’Idea Nazionale»’’ (17). Un rapporto che con il passar del tempo si fece sempre più intenso, tanto da giungere a pubblicare, il 16 maggio 1928, uno dei suoi più rilevanti c interessanti articoli Che cos è il Fascio Littorio? I fasces lictoriae erano, nell’antica Roma, un simbolo del potere statale c dell’ autorità maggiore, l’imperium. Questo simbolo del potere era stato preso, però, dagli Etruschi: ma, istituita la repubblica, passò dai Re ai consoli che ebbero 12 littori (numero derivante dalla dodecapoli etrusca, VII secolo a.C.). Si trattava di un fascio cilindrico di verghe di betulla bianca, simboleggianti il potere di punire, legate assieme da nastri rossi di cuoio (fasces), simboli di sovranità c unione, al quale talvolta era infissa un’ascia di bronzo, a rappresentare il potere di vita e di morte sui condannati romani. L’articolo si chiudeva, poi, con l’appello alle gerarchie del Fascismo perché fondamentalmente penetrassero le più profonde valenze di quest’antica simbologia italico-romana. Leonardi, in definitiva, voleva che il movimento fascista si caratterizzasse per quegli strumenti simbolici tali da per- mettergli di riappropriarsi della «sapienza italica primordiale».
Il Leonardi collaborò anche ad una delle riviste «d’azione» del Fascismo, Antieuropa («Rassegna mensile dc1l’occidente romano»; il primo numero uscì ne1l’aprile 1929), fondata e diretta dal bresciano Asvero Gravelli (1902—1956). Qui pubblicò, nel 1929, alcuni articoli, nei quali discuteva intorno al Primato italico . D’altro canto il fatto che Leonardi avesse chiari rapporti con gli intellettuali del Fascismo deriva anche dalla pubblicazione di una delle sue monografie, L’Unità della Natura (18). Intorno alla metà degli anni Trenta Leonardi incominciò a collaborare con la rivista Augustea diretta da Franco Ciarlantini. Inoltre, a Roma, al fine di promuovere gli studi concernenti l’ipotesi tirrenico-atlantica, fonda nel gennaio 1930 la «Società Romana Per Gli Studi Mediterranei» (19). In linea con l’ipotesi tirrenico-atlantica, quasi simbolo di un segno «profetico» del Leonardi, fu la scoperta operata dal paleontologo Alberto Carlo Blanc (190ò—1960), avvenuta al Circeo di uno dei primi crani italici di Homo Neanderthalensis all’interno della «Grotta Guattari» (tra le più importanti cavità naturali disseminate sui fianchi del Monte Circeo), subito dopo la morte del Leonardi, precisamente il 25 febbraio 1939 e proprio al Circeo. Va notato che proprio ncgli anni ’30 fu proprio nella piccola villa Blanc (in cui soggiornò per periodi più e meno lunghi negli anni 1936—38), situata a San Felice Circeo che Leonardi istituì in una sorta di museo in cui esponeva i suoi «petrefatti» che nella sua interpretazione erano costituiti da vera e propria materia vivente pietrificatasi attraverso un processo ignoto e di cui il Circeo conservava una ricca testimonianza. Morì a Gaeta il 5 ottobre 1938.
Il Leonardi, sulla questione del Primato italico scrisse (come anche altri prima di lui) abbastanza e a più riprese; egli sottolineava, per meglio esplicitare la sua tesi, che il primato d’Italia, quale noi lo intendiamo, oggi è posto per la «prima volta su basi completamente nuove, parendoci insufficiente quello che fu detto e scritto quando il primato si voglia far risalire al fatto che Roma e l’Italia furono la culla e il centro dcl grande Impero Romano. Anche altri popoli, quando prima e quando dopo, possono vantare in un certo modo generico un primato: ad esempio gli egizi hanno stupende epopee, la Grecia il periodo aureo delle guerre contro i persiani, l’Inghilterra il suo impero coloniale, ecc … Ogni popolo, ogni nazione, ha avuto periodi di grandezza e periodi di decadenza: e quindi un primato in questo senso resterebbe limitato c contingente in certi dati limitati di spazio e di tempo» (20):
Secondo noi dunque, il Primato indica precisamente ciò che è proprio Primo nel tempo e si riferisce specialmente all’ordinamento Crono-logico della natura e della umanità. Come tale, il Primato d’Italia vuole senz’altro esprimere che qui si avverarono quelle condizioni geo-fisiche che ne fecero la culla della umanità occidentale. Gli avvenimenti posteriori non furono che cicli di ritorno di cui gli ultimi vi condussero la sede dell’Impero romano e poi quella del Cristianesimo (21).
Il Leonardi evidenzia che il metodo positivo applicato alla storia e alla preistoria, quello relativo alla storia stessa e quello della paleontologia sono insufficienti. C’è scarsa relatività ne1l’osservazione della natura che si va talmente in là tanto che l’uomo non solo si figura il suo antenato primordiale simile a se stesso nella sua forma esteriore, ma ha applicato questa concezione auto-morfica perfino alla Divinità determinando un Dio con la barba e con la carnagione chiara; limitando anche 1’Eterno al concetto del tempo, lo ha fatto invecchiare come un qualsiasi altro uomo. Il Leonardi mette in risalto anche l’insufficienza della ricerca paleo-etnografica. Poi, dai mutamenti geologici verificatisi lungo i secoli fa notare come «i grandi picchi montagnosi che sono stati creduti per lungo tempo le ragioni più vecchie c solide del globo sono invece elementi recenti della struttura terrestre»(22) . Nel corso della storia, in seguito ad un prosciugamento singolare dell’intera Europa, il Mediterraneo tanto costante lino ad allora, sembra vicino a sparire per una rapida evaporazione. Durante l’epoca sarmatiana esistevano solo due grandi lagune salmastre; una che univa l’Andalusia alla punta ovest della Sardegna, l’altra copriva una parte dell’Italia indirizzandosi verso l’Egitto. Una terza grande laguna metteva insieme il bacino di Vienna con il mar Caspio. Invece, il mar Egeo era prosciugato come la più grande parte dell’Adriatico o forse era possibile andare a piedi dalla attuale Genova a Tunisi attraverso la Corsica e la Sardegna. Ciò che noi oggi chiamiamo Corsica, Sardegna, Sicilia, Calabria, Arcipelago lacupano e lo stesso monte Circeo sono resti dell’antico continente sommerso, che i geologi chiamano «Tirrenide»; corrispondente forse a ciò che gli antichi greci dissero con Turreccia o Tirreccia. Queste terre prime, emerse, formarono il “Ponte” dove ebbe origine la primordiale umanità (23). Quello a cui vuol arrivare la riflessione del Leonardi, in sostanza, è che si pensa sia esistita una umanità primordiale che probabilmente visse ancor prima di quello che noi identifichiamo con l’ “uomo primitivo” che ha attraversato le varie ere temporali, e che tutta la storia della vita sulla terra si è trovata per la maggior parte scritta nelle concezioni ispirate di grandi esseri che tramite simboli e parole geroglifiche misero in salvo il patrimonio spirituale dell’uomo stesso. Più tardi, la millenaria tradizione fu raccolta nei racconti dei libri Sacri come ad esempio la Mitologia e la Bibbia che conosciamo. Ritengo utile, a questo punto, sottolineare alcuni dei principali punti del contributo del Leonardi e compiere un lavoro di confronto tra gli articoli pubblicati sul quotidiano “La Tribuna”, relativi alla dibattuta questione della “Italia- Atlantica”, con la ricca monografia Le Origini dell’Uomo e viceversa; ritengo che certe tematiche debbano essere riprese e analizzate secondo questo approccio, perchè, così facendo, si possono cogliere oltre che maggiori spunti relativi agli argomenti suddetti e quindi particolarmente utili per avere un quadro più ampio possibile della questione sul “Primato Italico”, anche comprendere più a fondo come si è articolato il percorso di studio e ricerca dello stesso Leonardi. In primo luogo occorre notare che gli articoli del quotidiano “La Tribuna” firmati dal Leonardi siano cronologicamente antecedenti e propedeutici alla pubblicazione della monografia stessa che avverrà solo alcuni anni dopo. A questo riguardo, vorrei mettere in evidenza alcuni passi relativi al dibattuto “tema atlantideo” del quale Evelino Leonardi, in Le Origini dell’Uomo al capitolo XX, così scriveva:
Rimesso in voga da Platone nel suo Crizia, è stato abbandonato e poi ripreso attraverso i secoli parecchie volte, per risorgere in mezzo al nostro mondo affaccendato e frettoloso, dando luogo a una letteratura che va verso l’apocalittico e la visione mistica. (…). Gli uomini hanno sempre avuto il presentimento che per via di questa magica parola “Atlantide”, essi si mettevano sulla via che conduce ai progenitori. Tutti i desideri della conoscenza in certi pensatori, scienziati e poeti, finiscono per concentrarsi nella vecchia leggenda dell’Atlantide. Essa, – dice l’astronomo Minèur, – è in definitiva il problema delle origini (…). Favola o allegoria, realtà storica o episodio paleogeografico, o fenomeno cosmico tellurico, la questione dell’Atlantide sommersa è stata più volte sepolta e più volte resuscitata (24).
Il testo, tranne che per le ultime due righe, ripete quanto fu scritto dal Leonardi in uno degli articoli su “La Tribuna” dal titolo Il Grande Enigma (25). Il Leonardi però continua, allo stesso capitolo, scrivendo:
Dagli antichi scrittori in poi non si parlò più dell’Atlantide fino al Medio Evo: e solo nel 1680 il Padre Kirker la rimise alla luce della discussione. Seguì una lunga pausa e una ripreda ai tempi della Rivoluzione Francese (26).
D’altro canto, nell’articolo citato poco sopra de “La Tribuna”, lo studioso eugubino scriveva:
Benché Omero, Esiodo, Euripide, Strabone, Dionisio, Plutarco ed altri abbiano fatto cenno dell’Atlantide, tuttavia la fò la non riapparve fino al medio evo. Rifiorì nel 1680 cogli studi di padre Kircher, poi dileguò di nuovo per risuscitare ai tempi della Rivoluzione francese (27).
Si può notare come le due parti, anche se provenienti da fonte diversa, ma della stessa mano, si differenziano leggermente nell’uso dei termini e parole impiegati (oltre che qualche possibile errore ortografico di trascrizione dal giornale «La Tribuna»), anche se entrambe le citazioni dicono la stessa cosa da1 punto di vista del contenuto. Leonardi, poi, su Le Origini dell’Uomo, sempre al capitolo XX scriveva:
Oltre il celebre romanzo di Benoit, un luminare della Chiesa Cattolica, filosofo e astronomo, l’Abate Moreau, pubblicò un volume dove egli afferma che scientificamente il dubbio sull’esistenza dell’Atlantide non può essere permesso. «Si, — egli dice, — l’Atlantide é esistita. Essa era l’aurora dei tempi quaternari, dove Platone l’ha situata, nella regione in cui si urtano le due grandi fratture Atlantica e Mediterranea, una delle parti più instabili del nostro pianeta”(28).
Parte identica a quanto scritto nell’artico1o (già citato) in «La Tribuna». Notiamo, però, che anche se in linea di massima l’articolo «Il Grande Enigma» vuole arrivare alla stessa conclusione del capitolo XX de Le Origini dell’Uomo, in quest’ultimo i1 discorso e un po’ più ampliato e, da quello che noto, anche rielaborato. Infatti, nel cercare di «snocciolare» il più possibile la «questione atlantidea», il Leonardi pone in rilievo le diverse tesi che si sono susseguite nel tempo, dove per rispetto ad ognuna, sottolinea la propria teoria e che (se dobbiamo esser precisi) si ritrovano esplicitate nel dettaglio in un altro articolo pubblicato sullo stes-so quotidiano, che porta questo titolo: Ai Confini del Mondo (29). Proprio in questo articolo, che riporterà in paragrafi diversi e con una impostazione un po’ variata nella forma ne Le Origini dell’Uomo, precisamente ai capitoli XXI—XXII—XXIII, Leonardi affermava che la salvezza del mondo europeo si collegava con un ritorno alle tradizioni atlantico-mediterranee e che la questione avrebbe dovuto interessare non solo l’America, ma anche l’Europa e ancor più l’Italia. Poi, continua- va evidenziando dapprima la «tesi americana» della quale afferma:
[…] l’America ha creato una grande organizzazione per lo studio dell’assillante problema dell’Atlantide, che fa capo allo Smith Sonian Institut. L’origine di tutta questa immensa impalcatura che si è andata erigendo in poco più di mezzo secolo, è abbastanza modesta e venne rievocata da Paul Termier in una conferenza presso l’Istituto Oceanografico di Parigi (30).
In sintesi, secondo Termier era esistita nell’Oceano Atlantico una terra, che oggi ne costituisce il fondo stesso, che è stata coperta di lava vulcanica quando ancora era fuori dell’acqua. Per conseguenza è poi affondata avendo conservata la superficie con asperità di lava molto recente; ciò volendo significare che l’affondamento fu repentino dopo l’emissione delle lave. Poi, in tal senso, c’è chi sostiene che tale superficie terrestre sia appartenuta all’epoca terziaria e chi invece afferma di appartenere a quella quaternaria, periodo in cui l’uomo esisteva potendo così vedere l’inabissamento nel mare del continente antico.
La «controtesi italiana» sosteneva, invece, innanzitutto che non esistevano ragioni sufficienti per affermare lo sprofondamento dell’Atlantide nell’Atlantico. Non ci sono basi solide per poter parlare di un continente sommerso. Contro la tesi americana si obiettava inoltre che il continente antico sorgesse più al di qua dello stretto di Gibilterra, verso il Mediterraneo, e in minima parte guardava verso l’Oceano Atlantico. In merito allo stretto di Gibilterra (volendo aggiungere un’ulteriore curiosità), sappiamo anche che lo stesso Platone non ha mai nominato tale termine per indicare il punto sorgivo del1’Atlantide, ma ha semplicemente detto: «quella foce stretta che è in faccia alle colonne d’Ercole» (31); siccome queste cosiddette colonne si trovano su due picchi rocciosi fra l’Oceano e il Mediterraneo, si è potuto concludere che la foce di Platone fosse lo Stretto di Gibilterra. A questi particolari Leonardi aggiunge, sempre nell’articolo della «Tribuna», puntualizzando:
[…] se ci riportiamo ai nostri antichissimi miti, allora sappiamo che Atlante era uno dei Titani che stava ai confini del mondo. inteso confine non nel senso del-lo spazio, ma in quello del tempo, significa al principio del mondo. Per questo, l’oceano che scorrevagli sotto, era detto l’ultimo fiume, al di là del quale era il regno degli estinti, la dimora delle ombre, un passato ormai irraggiungibile, perduto per sempre! Dunque, non un continente sommerso per formare da solo il mistero dell’Atlantide, se ad esso non si dà il significato del paesaggio primordiale all’atto della Creazione e alla scomparsa della vita sulla terra che era del tutto diversa da quella che osserviamo oggi. […]. In seno a quanto riportato, si può anche arrivare a capire cosa si voglia intendere realmente con la terminologia di «colonne d’Ercole», cioè: non per porre un confine materiale alla navigazione, ma per sottolineare che le «colonne d’Ercole» segnano l’ultimo limite, al di là del quale non può arrivare la cono-scenza umana verso il problema delle Origini e della Prima causa (32).
Concludiamo comunque affermando che oggi, alla domanda se esista o meno una questione sull’At1antide (che poi il Leonardi stesso affronterà più chiaramente usando il termine Atlantide-Tirrenide), si deve rispondere affermativamente; in-fatti, «essa esiste da Platone che l’ha posta». Da questa questione, al di là delle tesi sostenute (americana, italiana, ecc.), il Leonardi vuol cercare di far capire che esiste, in definitiva, un paesaggio primordiale che si pone all’atto della Creazione stessa e che per la scienza rappresenta il «nulla perfetto», che pone le premesse per l’intrigato «problema delle Origini», nel quale vogliamo addentrarci maggiormente. Infatti, in continuità con la questione sull’esistenza dell’Atlantide, si pone un altro aspetto che vogliamo analizzare alla stessa maniera, e che riguarda la tematica su Il problema delle Origini. A tal proposito, Evelino Leonardi scrisse inizialmente su «La Tribuna»:
I così detti primitivi non sono gli stati originari dell’umanità, ma residui degeneri. e la concezione dell’uomo delle caverne va riveduta e corretta, quando appunto nelle caverne l’uomo non avrebbe già avuto la sua dimora, ma il luogo sacro del suo culto simbolico, basato sopra una grande tradizione preistorica unitaria, retaggio di un ceppo unico. Il tema centrale di questo simbolismo è la Luce. Nell’assunzione della grande vicenda cosmica delle stagioni, in un significato superiore e sacro, il Sole è il principio manifestato, seme di vita, (landa lyome delle iscrizioni dei Runi). […]. La vita mortale dell’uomo non avrebbe ragione di essere, se nel profondo di ciascuno di noi non ardesse la fiamma dell’infinito, in ansia di forzare il limite del tempo e di vedere lontano fino alle prime albe della vita Ma come risalire questa via lunga verso l’infinito coi mezzi della tecnica, si chiamino essi l’archeologia, la paleontologia, l’antropologia e scienze affini? Questi mezzi ci permettono appena di varcare la storia e la preistoria e chiudono l’orizzonte nel breve cerchio di concezioni che non appagano l’ansia della ricerca profonda. […]. E anche oggi questa inattesa resurrezione non si spiegherebbe, se il mistero dell’Atlantide non fornisse agli uomini il soggetto d’innumerevoli meditazioni. In esso sono contenuti argomenti per l’immaginazione romanzesca, per la curiosità intellettuale, per le ricerche linguistiche, etnografiche, geografiche, archeologiche. Cioè tutto quanto può appagare lo spirito umano dal positivismo più esigente all’idealismo più mistico (33).
Il Leonardi ha dedicato ovviamente, in relazione a quanto scritto sopra, anche uno spazio nella sua monografia Le Origini dell’Uomo, e precisamente il capitolo XXI’4, dove, anche se ci sono, a mio avviso, delle relative omissioni e delle picco- le aggiunte rispetto al1’aoicolo de «La Tribuna», rimane però invariato il senso e il fine a cui l’autore vuol giungere. Quello che Leonardi vuol far emergere è, così come ha avuto modo di sottolineare nella rivista Antieuropa, che prima della storia e della preistoria esiste una dimensione ulteriore da cui tutto ha avuto origine e verso cui tutti gli uo-mini convergono. Una specie di «fonte primordiale» (che lui fisicamente circo- scriverà nell’Atlantide-Tirrenide) nei confronti della quale le sole scienze come l’archeologia, la paleontologia, ecc…risultano essere limitate nel loro studio e nel- la loro ricerca. Ed è proprio l’attenzione e il riferimento al mistero dell’Atlantide che, fornendo agli uomini il soggetto per svariate meditazioni, alimenta questa propensione verso 1’infinito e spinge oltre il limite del tempo.
Con questa ultima e breve parentesi, nella quale, come inteso, è abbastanza chiaro che Evelino Leonardi, nella sua complessa e più importante monografia, non abbia fatto altro che ricucire gli articoli scritti precedentemente pubblicati, rivedendone ovviamente la forma, con qualche aggiunta qua e là, diede così un senso più unitario alla sua tesi sulle «Origini della Prima umanità»; mi sembra, infatti, evidente una sua generale rielaborazione, cancellando anche, dove probabilmente ha ritenuto necessario, frasi che potevano sembrare ripetitive o che potevano rendere il discorso troppo complicato e macchinoso, rendendo pertanto più scorrevole e snello il suo già complesso lavoro di ricerca e studio. C’è, però, un altro aspetto ancora, legato alle origini dell’uomo e su come po- tesse essere l’umanità in un’era cosiddetta primordiale, che emerge da un ulteriore articolo de «La Tribuna» dal titolo Giganti riportato e riformulato anch’esso dal Leonardi ne Le Origini dell’Uomo (in particolare al capitolo XXIV). All’inizio l’Autore pone in risalto l’interrogativo irrisolto se alle origini della Terra si può parlare di vera e propria umanità oppure no, e se nel percorso evoluzionistico (e varie sono le teorie che tentano di dare una risposta a tale questione sulle origini) è l’uomo che precede l’animale o viceversa; inoltre, l’uomo sarebbe stato sulla terra in compagnia di mostri giganti per grandezza e potenza? E come avrebbe potuto sopravvivere di fronte ai suoi colossali avversari? Scriverà una singolare teoria che ha posato il dogma evoluzionistico a perdere sempre più terreno è quella legata alla scoperta del dottor Henry Osborn, secondo il quale:
{…] l’uomo e la scimmia non sono dei parenti, ma possono derivare da un tronco vitale, vissuto nell’Eocene, cioè trenta, quaranta milioni di anni fa. Questa nuova dottrina del dottor Osborn sostituisce la classica ipotesi di Darwin, pure ammettendo una evoluzione naturale dell’uomo. Un uomo, per altro, considerato intelligente, inventivo e che dimorava in capanne in aperta pianura (35).
Comunque, quella del dottor Osborn, continua Leonardi, è pur sempre una concezione meccanica della vita, […] in quanto ci sfugge completamente perché la prima spinta energetica che giunse fino alla grande manifestazione dei grandi mostri antidiluviani, si sarebbe arrestata per il regno umano per dar luogo a un piccolo essere inerme semi-bestiale, quale è l’uomo primitivo secondo la scuola darwiniana. Con ciò, oggi esiste un enorme movimento di revisione del problema delle origini che fiorisce in particolare in Germania, ma la maggior parte degli studiosi non arrivano ad una chiara conclusione sulla questione di questa «Prima umanità» (36).
Scorrendo il capitolo XXIV della monografia del Leonardi, sono poste in primo piano e a questo punto (al di là delle varie teorie evoluzioniste alternatesi nel tempo) tre strade per poter assestare quanto meno la logica di una questione così complessa: o l’uomo non ha coesistito coi grandi mostri preistorici, o aveva le sembianze e la potenza di un semidio, o l’uomo stesso ebbe le forme grandiose simili a quelle dei regni animali e vegetali dell’età primordiale. Molti optarono per la terza via; si pensava, inoltre, che fossero tradizioni pelasgiche raccontate da Omero e Virgilio ad aver radicato la comune opinione presso tutti i popoli antichi che la terra fosse abitata dai «Giganti». Un esempio tra molti, in Siria e in tutta l’Asia, scriveva Leonardi, esistevano vaste tradizioni secondo le quali si sosteneva che prima di una grande inondazione, la Terra fosse abitata da una razza di uomini Giganti prepotenti e orgogliosi.
Ma non mancano testimonianze storiche! Flegrone Trulliano, liberto dell’Imperatore Adriano, che scrisse un libro dei Mirabili narra (Cap. XIV) che nel terremoto che afflisse la Sicilia e il Ponto ai tempi di Tiberio, apertasi in vari luoghi la terra, si trovarono cadaveri di tale grandezza che gli abitanti per meraviglia non osarono rimuovere. […]. Presso la Fonte chiamata Mar Dolce a Palermo fu trovato un cadavere lungo 18 cubiti e a Ernice (Trapani) nel 1542 si trovò un cadavere di smisurata grandezza «tuttora intero, posto a sedere con la sinistra appoggiata a un gran bastone che pareva un albero di nave (…). Lo stesso Svetonio riferisce che la villa di Tiberio a Capri era adornata di ossa di Giganti” (37).
Conclude Leonardi, ne Le Origini dell’Uomo: «non è inverosimile che una documentazione storica di questo misterioso periodo dell’umanità potrebbe ancora trovarsi in Italia, se si cominciasse a studiare la preistoria al di là delle limitazioni classiche» (38). Si può facilmente capire, da quanto riportato in queste ultime pagine, che ciò che cercò di spiegare il Leonardi (dagli articoli de «La Tribuna» e poi nella sua più importante monografia) non furono affatto delle questioni di facile comprensione in relazione alle quali rimangono molti interrogativi e molte lacune. Il Leonardi, di fronte alle aggiunte e omissioni che si trovano ne Le Origini dell’Uomo rispetto agli articoli pubblicati alcuni anni prima, ci fa notare che quegli anni che intercorsero tra un lavoro e l’altro furono proficui certamente per permettergli di raccogliere ulteriore materiale utile, come abbiamo già fatto notare, per apportare delle aggiunte, che anche se non determinanti, però utili a chiarire un po’ meglio la complessa questione sulle Origini dell’uomo.
Detto questo e chiusa quest’altra parentesi, vorrei altresì accennare ad un personaggio che fu legato in certo senso allo studioso eugubino per l’interesse all’idea sulla Tirrenide, ossia Costantino Cattoi (l89W1975). Egli fu un aviatore pluridecorato che prese parte alla Grande Guerra.
Arruolatosi nella fanteria, infatti, dopo essere stato ferito nelle operazioni sul Monte Calvario, passò nell’Aeronautica divenendo tenente colonnello con speri- colate azioni di ricognizione (39)
Nel 1924 abbandonò l’Aeronautica e la vita militare per occuparsi di geologia e archeologia. Tra le sue maggiori scoperte ci sono alcuni siti di antiche città come quello del1’etrusca Capena nel Lazio a nord di Roma e quello della sommerso Lilibeo nei pressi di Marsala. Fu sostenitore del continente, in seguito sommerso denominato Tirrenide, prodigandosi, come il Leonardi, nella ricerca della civiltà che nacque su di esso.
La sua attività di geologo, l’idea della Tirrenide sorta dove ora è l’omonimo mare, e l’attenzione speciale rivolta alle forme viventi delle rocce, sono elementi che concorrono ad identificare in lui la fonte da cui Evelino Leonardi ricevette la carta dell’antica Tirrenide, insieme ad altri importanti dati. Il suo nome s’inscrive cosi tra quelli di coloro che volsero le loro ricerche alla scoperta delle Origini tirreno-atlantidee dell’Italia (40).
Cattoi fu sostenitore convinto di Mussolini, perché intravedeva nel suo movimento il frutto del risveglio e di una ripresa di quelle forze primordiali che già avevano suscitato la Roma antica e le parti migliori della Tradizione cattolica romana. Dalle concezioni mistiche che contraddistinguevano Costantino Cattoi pos- siamo fissare alcuni passaggi principali: 1) l’esistenza di una Roma prima della Roma di Romolo che sembra apparire moderna e secondaria; 2) considerare tale Roma come Asse universale; 3) il legame speciale con l’Egitto; 4) la funzione creatrice e restauratrice data a Mussolini; 5) l’attribuzione al movimento fascista di un ciclo trisettenario, che di fatto si verificò, ma che terminò nella maniera opposta di quello che era stato previsto all’inizio. Egli sottolineava che:
Gli antichi popoli pelasgi, gli Etruschi, i Falisci, i Capenati, gli stessi gloriosi romani erano in sostanza gli eredi spirituali delle città tirrenidi. Colonie degli atlantidi, le cui vestigia giacevano sotto il mare nostrum e aspettavano da millenni di essere finalmente riscoperte da un governo che avrebbe potuto fare molto, e non solo nelle intenzioni, per far rivivere la grande Tradizione romana (41).
Di fatto il governo Mussolini non sostenne molto l’opera e le ricerche che lo stesso Cattoi aveva molto a cuore. Un’altra figura importante nell’ambito degli autori fin qui affrontati fu Enea Lanari (1878—1965). Con lui si chiude un ciclo (quel filone culturale italo-atlantideo che ebbe inizio con Angelo Mazzoldi) e se ne apre conseguentemente un altro (a cui accenneremo). Il Lanari fu scrittore, ma in particolare fu un qualificato esponente della Schola Italica. Fu un convinto discepolo della Filosofia Pitagorica, e cercò di riportare alla luce un tale deposito di conoscenza. Dicendo che con lui si chiude un ciclo e se ne apre subito un altro, si vuol far intendere che Lanari fu anche tra coloro che in seguito trasmisero conoscenze e modalità operative tipiche della Schola Italica «a Colui cui tutti dobbiamo, quel Gentiluomo Gabino che, poi, ha permesso attingessimo a tale deposito millenario» per testimoniare, nonostante gli ostacoli del tempo presente, l’esistenza di una volontà di ricollegamento con le Origini.
In conclusione, vogliamo citare di Enea Lanari anche uno o due passi (che più ci interessano) ripresi «da una trascrizione delle lezioni da lui tenute nel dopo- guerra nella Basilica Pitagorica di Roma, e raccolte nel fascicolo Gli Insegnamenti Pitagorici per la Conoscenza della Causa Causamm (42). Sulla questione delle «Origini Italiche» Lanari riporta queste parole:
La Scienza, il Sapere, la Rivelazione, in altre parole, nata nel Ponto, nel grande semicerchio che si apre dal Capo Miseno alla estrema punta occidentale del Circeo, si era riorganizzata in Egitto, ove si era rifugiata dopo la dispersione avvenuta per la fuga degli Italici e dei Tirrenidi, od Atlantidi se più piace chiamarli così, davanti al grande cataclisma che ha travolto la Tirrenide-Atlantide; cataclisma del quale abbiamo un ricordo fisico nella montagna spaccata di Gaeta […]. Perciò Pitagora si recó a decifrare i Misteri presso quella Scuola Sapienziale che era ed è conosciuta col nome di Scuola (o religione) di Iside. Vogliamo parlare di Dionisio Zagreo, esaminando fugacemente quanto è nascosto nel Mi- stero bacchico in cui si ricorda e si celebra la nascita, la morte, la resurrezione del… dio inventore del vino. Vedremo così pure che anche questo Mito è Italico, che è nato nella nostra terra e più precisamente in quella parte della terra Italica che era conosciuta nei tempi arcaici, come la Rossa o meglio, come gli antichissimi usavano, era detta Persefone. Chiamata o detta (Fone) Perse (Rossa). E poiché repetita iuvant dicevano i nostri più prossimi e più conosciuti progenitori, i latini, aggiungiamo ancora che vogliamo alludere alla terra di Perseo e del suo Mito dei quali ci siamo occupati allorchè abbiamo incominciato a dilucidare gli stacchi; dell’uomo Rosso,- della prima umanità nata o cre(t)ata in Kreta Rossa che è una zona del Circeo, cioè della Terra Prima Emersa (43).
La Prima Terra, i Primi Avi; credo che le belle parole di Camillo Ravioli siano la migliore conclusione a questo contributo:
[…] egli non ritiene «vano o frivolo il vivere qualche ora nel passato in mezzo ai nostri piccoli arcavoli, che una tradizione ed una storia lasciarono e luoghi venerandi, tra cui l’uom dotto e di schietto sentire volentieri si aggira, pascendo l’immaginazione di grandissimi e fecondi pensieri» (44).
Questo — continuava — per voler dire che vogliamo guardare e far riferimento ai nostri «arcavoli», in quanto nella sfortunata nostra Italia è l’unica speranza rimasta; da loro si devono riprendere le virtù e le forze e preparare, se possibile, la Rinascita.
Note:
1 – Codice Teodosiano, XVI, 10.12. Vedi anche Pier Franco Beatrice (a cura di), ‘‹L’intolleranza cri-stiana nei confronti dei pagani», in: Cristianesimo nella storia. Ricerche storiche esegetiche teologiche, XI, 3, (Bologna: Edizioni Dehoniane, 1990); E. Testa, «Legislazione contro il paganesimo e cristianizzazione dei templi (sec. IV—VI).’, in Liber Annuus, 41 (1991), 311.326.
2 – Cfr., G. Binazzi, Il Radicamento dei culti tradizionali in Italia fra tarda antichità e alto medioevo, L’Erma di Bretschneider, Roma 2012.
3 – Giorgio, Roma Renovata Resurgat. Il Tradizionalismo romano tra Ottocento e Novecento, 2 voll. (Roma: Edizioni Settimo Sigillo, 2011) (d’ora in avanti citato come Roma).
4 – Ivi, 17.
5 – lvi, loc. cit., nota 2.
6 – Vedi L. Pareti, Pelasgica, in Rivista filol. class., XLVI (1918), 153—206, 307—44; id., Le origini etrusche, ì (Firenze, 1926), 13 segg.; History of the Hellenic World: Prehistory and Protohistory (Pennsylvania: The Pennsylvania State University Press, 1974), 368—370.
7 – Cfr., Roma, 1&-20.
8 – A. Mazzoldi, Delle origine italiche e della diffusione delI’incivilimento italiano all’Egitto, alla Fenicia, alla Grecia e a tutti le nazioni asiatiche poste sul Mediterraneo (Milano: Tipografia Guglielmini e Redaelli, 1840).
9 – Cfr., Roma, 27—29.
10 – Testo cit., in Roma, 29. 11.
11 – Cfr., loc. cit., 31.
12 – Le notizie biografiche sono riprese dall’ottima tesi di Alessio Galletti, Evelino Leonardi e l’idea della Atlantide Tirrenide (Assisi: Tesi di Licenza, 2013), 10—36.
13 – Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, vol. XIX, Fasc., 1 (n. 47), parte I (Perugia, 1915), VIII.
14 – lvi, XVIII.
15 – Cfr., Roma, 550; anche se non si danno chiarimenti documentari a riguardo.
16 – Al momento non ci sono tracce documentarie di questa ipotetica collaborazione; sul Grup-po di Ur, vedi R. Del Ponte, Evola e il magico Gruppo dì Ur. Studi” e documenti” per servire alla storia di Ur-Krur (Borzano: Sear Edizioni, 1994). (Nuove indicazioni a riguardo sono state fornite nella nuova edizioni de Il Cammino del Cinabro a cura della Fondazione Evola e negli studi di Fabrizio Giorgio e Cristian Guzzo, anche nella raccolta “La dimensione magica del Gruppo di Ur”, Edizioni Rebis di Viareggio – NdR).
17 – Periodico attivo dal 1883 al 1944.
18 – II edz. (Milano: Corbaccio, 1937), (la I edz., è del 1933).
19 – Cfr., Roma, 554 e 555.
20 – «Il Primato d’ltaIia. Traccia di ricerche sulla umanità primitiva›’, in Antieuropa, I, n. 3, 25 (Giugno 1929), 209.
21 – Le Origini dell’Uomo, 9 e 10.
22 – Il Primato d’Italia, art. cit., 390.
23 – Sintetizzo, da ivi, 387 – 93.
24 – Origini, 261 – 67.
25 – Numero del 6 Agosto 1932, 3.
26 – Origini, 268.
27 – Art. cit., 3.
28 – Origini, 268.
29 – Nel numero del 12 Aprile 1923, 3.
30 – Ivi.
31 – Ivi.
32 – Ivi.
33 – Leonardi, «Atlantide-Tirrenide-Italia. I Giganti*• in La Tribuna numero del 2 Settembre 1932, 3.
34 – Origini, 279 – 287.
35 – Articolo pubblicato nel numero del 2 Sett. 1932, 3.
36 – Ivi.
37 – Origini, 321 e 322.
38 – Ivi, 324.
39 – C. Ravioli, Prima Tellus, Sulle Tracce dell’Italia Primigenia. La dissertazione sulla Gigantèa dell’isola di Gozo, I Libri del Graal, Roma 1988, 41.
40 – Ivi, 42.
41 – In G. De Turris (a cura di), Esoterismo e Fascismo, storia interpretazioni, documenti, Edizioni Mediterranee, Roma 2006, 285.
42 – Prima Tellus, 51.
43 – Ivi, 53 – 54.
44 – Prima Tellus, 54.
Marco Pucciarini
è docente di Storia delle Religioni nel biennio di specializzazione dell’Istituto Teologico di Assisi (ente aggregato alla Pontificia Università Lateranense di Roma) e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi (Pontificia Università Lateranense); ha insegnato Storia delle Religioni presso l’Università degli Studi di Perugia dove ha diretto varie tesi di laurea. Ha curato, in collaborazione con il Museo della Letteratura romena di Bucarest, la Mostra bio-bibliografica dedicata a Mircea Eliade (Assisi, 1997); ha diretto la ricerca sui nuovi movimenti religiosi: £ ’Arcobaleno del Sacro in Umbria (2003). È autore del volume La morte e il morire nel mondo antico. Idee sulla sopravvivenza e i destini dell’uomo nello Antico Oriente. Con un’Appendice sul Sacrificio (1997). I suoi interessi di ricerca vanno dalle religioni del1’Italia pre-romana (vedi, Riti, sacrifici e dèi nelle Tavole Iguvine (1997), alle religioni dell’India (v., Atman e non-atman nell’insegnamento del Buddha (2016), La Yogatattva Upanishad e l’Atmabodha di Shankara (2009), ai testi della mistica ebraica (v., Il Sefer Yetzirah. Note di Lettura (2007), alle problematiche delle nuove forme del sacro (v., New Age.‘ Ambigua metamorfosi del sacro o paradosso della profanità? (2000), all’esoterismo (v., Comprendere 1’esoterismo come tipologia storico-religiosa (2012), alla metodologia della ricerca storico-religiosa (v., Ripensare il «Politeismo» (2011). E membro della Società italiana di Storia delle Religioni e partecipa a varie iniziative per il Dialogo interreligioso. Suoi ulteriori contributi si possono vedere a
http://unipg.academia.edu/marcopucciarini.
(L’autore e la Redazione ringraziano Hans Thomas Hakl, autore della raccolta Octagon, volume 3, La ricerca della totalità, da cui è tratto questo prezioso contributo).