Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il concetto di Eterno in Hegel – Giandomenico Casalino
In un passo della Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto (Bari, 2004 p. 14) Hegel ha coniato quella famosa, per non dire famigerata, duplice affermazione: “ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale”, sulla quale, da quasi duecento anni, non solo si è detto di tutto, ma la si è interpretata in guisa talmente distorta e mistificante che la autentica intenzione di chi l’ha formulata è stata eliminata e, nel tempo, cancellata. È sempre più vero che i grandi spiriti non sono mai compresi nel e dal loro tempo, per la semplice ragione, o per un arcano destino, che essi sono fuori (e quindi contro…) il loro tempo! Tra le tante sciocchezze dette su quest’affermazione, la più banale, e quindi la più lontana dalla visione hegeliana, è la interpretazione, del tutto temporale, secondo la quale tale frase non sarebbe altro che la legittimazione e quindi l’accettazione dell’esistente (il reale) in quanto esso sarebbe, in ogni caso, e quindi sempre, razionale (e, pertanto, giusto…); da ciò è provenuto tutto il cicaleccio di stupidaggini e le “scandalizzate” requisitorie intorno alla “reazionaria” visione politico-storica dello Hegel che sarebbe equivalsa ad una acquiescenza ottusa e supina nei confronti dell’esistente, essendo lo stesso legittimato e quindi giusto per il solo fatto che è, per l’appunto, un dato oggettivo. Ora una tale povera ed in fondo volgare “visione” può mai appartenere ad un pensiero come quello di Hegel, che non solo non si fonda assolutamente su di una agnostica ed acritica accettazione dell’esistente (in tutte le sue forme…), ma esige, intima e proclama la necessità innegabile, da parte dell’uomo, della conoscenza dell’Assoluto nella faticosa (la fatica del concetto) realizzazione identificatrice del Pensiero con l’Essere? Certamente no!
Ed allora cosa mai ha voluto dire il Sapiente Svevo con quell’affermazione contenuta nella Prefazione ai Lineamenti e che sembra essere estranea al contenuto della stessa opera? Sarebbe bastato che sin dai contemporanei di Hegel stesso sino ai tempi attuali, gli esegeti, i commentatori e gli studiosi del corpus hegeliano e di tutto lo stesso, si fossero preoccupati di studiare, cercando di comprenderne il semantema, l’intero lessico hegeliano; avrebbero così acquisito la conoscenza, indiscutibilmente illuminante, che la parola “razionale” in Hegel ha, essenzialmente ed in guisa esclusiva, il significato di Ragione e di Logico, in senso cosmico, e che, a sua volta, Das logische (come lo chiama Hegel) e cioè “il Logico”, non è altro che la Ragione, l’Eterno, l’Essere, l’Assoluto sempre ed esclusivamente in senso cosmico e non soggettivo; ed avrebbero, per lo effetto, compreso che la parola “reale”, sempre in Hegel, non significa assolutamente la puerile e volgare presenza del dato materiale qualunque esso sia, ma, semanticamente, fa riferimento al veramente reale, pertanto a ciò che lo è in guisa potente ed evidente e cioè al Concetto adeguato che è l’Idea (è noto, a tal proposito, l’esempio hegeliano su di uno Stato che, pur non realizzando totalmente l’Idea dello stesso ma possedendone, comunque, qualche connotato, sì da far pensare ad una forma, sia pur deficitaria della medesima Idea) e, diciamo sin da ora, che l’Idea è reale, in quanto è vera, solo nella Natura (che è l’alienazione dell’Idea) ed attraverso ed oltre essa (Natura) così da essere, pertanto, Spirito! Siamo certi di non aver anticipato alcuna conclusione, per la semplice ragione che Hegel stesso, venendoci incontro e chiarendo ulteriormente il suo pensiero, nel medesimo passo, afferma che la “questione” è, in buona sostanza, “…. di conoscere l’Eterno che è presente…”!
Pertanto egli non solo sta esplicitando sia al colto che all’inclita, e nello stesso luogo, che “razionale” equivale, anzi è l’Eterno (nella totale sordità e cecità degli astanti…) ma sta affermando qualcosa di talmente esplosivo, come efficacia rivoluzionaria nei confronti del millenario dominio culturale del dualismo cristiano, da evidenziarne la inconsistenza filosofica e cioè concettuale e da intimare, conseguenzialmente, all’uomo medesimo, affinché si liberi dall’ignoranza della fede e del sentimento, di “conoscere l’Eterno che è presente”. E attenzione! Hegel non dice che “L’Eterno sarà presente” ma “che è presente” e dice inoltre che accanto a questo “Eterno che è presente” non c’è un altro Eterno che diventerà presente quando questo presente sarà terminato. Pertanto, platonicamente e quindi in guisa classica greco-romana, Hegel sta affermando qualcosa di radicalmente alternativo a tutta la cultura moderna, dal cristianesimo in poi o da Cartesio in poi, cioè che il presente non contraddice il concetto di eternità ma anzi, ed al contrario, che qualcosa di razionale e cioè di logico e quindi di eterno che non fosse reale oppure che non fosse presente sarebbe un mero flatus vocis o una pura astrazione priva di realtà. Da ciò consegue che l’Eterno è reale, e lo è in uno stesso atto, entrando nel fenomenico, nel divenire, nella cosiddetta storia e cioè negli eventi umani e non come una realtà separata e quindi accanto o parallela a tali eventi ma, in guisa esclusiva ed integrale, unicamente nella fenomenologia di tali eventi ed attraverso di essi, che non sono né eterni né razionali poiché sono subordinati al tempo ed allo spazio e quindi sono privi di concettualità anche se ricchi di “abbondanza” di appariscenti suppellettili storiche, nonostante ciò e contestualmente a ciò Hegel ci sta insegnando che proprio in questa “ricchezza” senza concettualità e soltanto in essa ed attraverso essa l’Eterno è presente ed il razionale è reale: detto in termini evangelici: “…nessuno può conoscere il Padre se non attraverso me” (Giovanni, 14, 1-6).
Tale Logos secondo la sapienza indoeuropea della Tradizione elleno-romana e nella sua effettuale “salvezza” dei fenomeni, amando essa il Mondo, vuol dire che il Divino è nel microcosmo (l’uomo) come nel macrocosmo (universo) ma vuol dire, vieppiù, che il Divino è solo nel fenomenico e lo si può conoscere solo divenendo il conosciuto, ed in Hegel quel “divenendo”, attesa la natura iniziatica del suo concetto di Sapere, significa vivere e quindi ricordare (anamnesi platonica…) di esserlo sempre stato. In ciò consiste, secondo Hegel, il Sapere Assoluto che, lungi dall’essere posseduto, riedificando pertanto il dualismo, coincide quindi con l’Essere il Sapere Assoluto, realizzando così, l’unità di conoscente e conosciuto in quanto essa è l’identificazione iniziatica: “Tu sei Quello!” (Upanischad, Svetaketu, 8,7); ed è salutare, per lo spirito, evidenziare che anche in tale insegnamento della sapienza induista, il “tempo” è al presente: è infatti detto “sei” e non “sarai” o “eri”; proprio come nella Tradizione Ermetica, dove altro non è detto se non che l’Oro luccica ed occheggia ora, al presente, ed è, da sempre, solo nel lebbroso Piombo e che è necessario liberare il Piombo dalla lebbra affinché si abbia (e, cioè, si sia…!) Oro e che, quindi, solo nel Piombo-Corpo-Sale è l’Oro, ma nessuno lo sa e, pertanto, è come se non ci fosse, atteso che il Piombo (l’uomo volgare) nella sua ignoranza, è convinto di essere solo un lebbroso elemento e non Corpo di Luce, Oro splendente, Saturno Aureo, come lo è sempre stato nell’Istante che è l’Eterno e che equivale al Sapere di essere l’Assoluto.
Giandomenico Casalino