Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il Bianco e l’Invisibile come Arte Ultima – Vitaldo Conte
La pagina bianca di Mallarmé come suggestione d’arte
La pagina bianca della poesia può divenire una creazione sconfinante attraverso imprevedibili percorsi. Questa, che ha come riferimento storico quella di Stéphane Mallarmé, calamita l’autore al sempre rinnovabile confronto con il silenzio e l’assenza significante:
e ho letto tutti i libri
[…] il cerchio deserto della mia lampada
sul vuoto foglio difeso dal suo candore[1].
Un libro bianco, con pagine vibrazionali e disperse, potrebbe essere il primo e l’ultimo libro d’artista. La pagina bianca, come lingua estrema di sinestesia e contaminazione, apre i confini della letteratura all’arte visiva e al suono-silenzio.
Erranze dell’Arte Bianca
Nulla piace di più agli dèi che il bianco. (L.B. Alberti)
Nella pittura classica la luce, il cielo, la nuvola sono possibili “maschere” che celano o evidenziano l’enormità che sovrasta l’essere umano. Veicolano le poetiche del sublime che, per i teorici dell’arte e i filosofi, sono lo spazio narrativo dello squilibrio e del conflitto tra ragione, sensibilità e vocazione trascendente. Queste istanze simboliche vivono oggi nelle espressioni del bianco come creazione mitopoietica. I colori sono luci, voci, vibrazioni, suoni con una loro interna risonanza: possono diventare lo specchio di archetipi e aspetti della natura umana. Per questo il bianco stimola la creazione e la speculazione del pensiero.
La visione fantastica conferisce al bianco la possibilità di “vestire” ed esprimere la bellezza femminile: fino alla totalizzante e idealistica immagine de La Dea Bianca, regina dell’isola in cui dimora, ma anche fonte di ogni creazione (come nel testo di Robert Graves). La figura femminile in bianco è un emblema, «in cui supporto (tela, foglio) e scrittura/pittura coincidono a segnalare un’assenza depositaria di infinite virtualità»[2].
L’opera suprematista Quadrato bianco su bianco, dipinta da Malevič nel 1918, è comunemente il riferimento obbligato per le successive poetiche bianche. L’artista russo, con la composizione monocroma, intravede la possibilità di una bianca natura fino a ipotizzare un realismo nuovo: bianco. Il pittore supera la soglia del mondo visibile con le sue rappresentazioni attraverso la «supremazia della sensibilità pura […] senza oggetti». Può trasferire così le sue composizioni dalla tela allo spazio. Le parole con cui l’artista accompagna l’esposizione del suo Quadrato bianco alla Decima Mostra di Stato a Mosca nel 1919 sono sintomatiche della vocazione di una meta errante, in cui il bianco si connota come un segnale di fuori-limite:
Navigate! Il bianco abisso libero, l’infinito,
sono davanti a noi.
Queste parole potrebbero essere lette come una naturale prosecuzione del viaggio delle parole di Mallarmé, a contatto con l’assoluta significanza della “pagina bianca”. Il richiamo di un assoluto invisibile, oltre ogni riflessione, diviene una soglia espressiva ed esistenziale. Gli estremi confini del bianco coincidono con quelli della creazione stessa.
Diverse sono le esposizioni svoltesi, come ricognizione e lettura dell’arte bianca. Tra queste, è da segnalare l’ambiente bianco della Biennale di Venezia del 1966: «Un colossale manifesto blanco: spazio ellittico bianco, tele bianche, baldacchini bianchi. Apologia antropologia del bianco; coscienza che l’ornamento è un crimine ma anche immagine vergine di un mondo tutto da ridipingere e… fare una tabula-rasa della natura (il bianco e poi assistere alla naturalità della ricomparsa dei miti naturali)»[3]..
Arte Bianca come Invisibile
L’espressione del bianco include, nelle sue erranze, ogni possibile anomalia e mistica, la veggenza come la virtualità contemporanea: i segni e i sensi del bianco si snodano nei suoi variabili linguaggi. Le alchimie “trascritte” segnalano il bordo dell’esperienza nella lettura del visibile, liberando i sensi e i fantasmi del segno usato, di cui sono anche il colore dai molteplici significati. Come quello «degli esseri che hanno perso ogni aggancio con la realtà corporea […]. Il bianco, la pagina bianca, recupera tutte le proprie virtualità nell’ordine dell’immaginario»[4].
I limiti dell’espressione bianca sono in relazione alle possibilità estreme dell’arte di operare ancora in ambiti di visibilità e interpretazione razionale, poiché questi campi possono sconfinare nei richiami di ogni trasparenza. Il bianco può essere un dono di rivelazione (come nel “colloquio” mistico), ma anche un’intima maledizione per la conoscenza dei suoi significati. Nelle sue accezioni di assoluto e nullità, diviene anche sinonimo di “limite” e “passaggio” tra due stati o momenti, visibili e non, tangibili e metaforici, spesso di segno opposto.
La pagina, la scrittura, la partitura, la tela, l’oggettualità, l’architettura, la teatralità, qualunque altra forma di creazione – bianca, vuota, invisibile – sono indicazione del superamento di ogni forma descrivibile e d’ornamento. La monocromia, con le sue maschere invisibili, indica la segnaletica del confine sfuggente ed estremo. La sua indicibile essenza può essere il velo di Maya che cela ciò che vuole essere svelato (il suo stesso mistero): «Bianco non è ciò che toglie via l’oscurità?» (L. Wittgenstein). La sua dispersione creativa vive anche in percorsi di frammenti (espressivi, esistenziali, naturali). È dentro di noi come un rito velato che si predispone, talvolta, a divenire “evento”, visibile e invisibile insieme, nelle sue fuoriuscite.
La stessa espressione “celata” può farsi presenza dell’opera bianca: il “nascosto” e il “segreto” condividono i percorsi rituali dell’autore alla ricerca dei luoghi predisposti alla volontà segregante dell’arte. Come fa l’artista greco Dimitris Alithinos: «Scavai tramutando quello che per secoli era visibile in invisibile. Scavai e nascondendo l’immagine liberai la sua energia. Trasformai l’assenza in una perpetua emissione di Mito. Allora scavai, senza sapere che questo era l’inizio di un lavoro che avrebbe inseminato tutta la Terra».
La creazione bianca e vibrazionale vuole esprimere una comunicazione altra e il superamento di una soglia, oltre le consuete apparenze e letture. Chi riesce a entrare nelle sue segrete alchimie incarna uno “sciamano bianco” che, grazie all’iniziazione di un’anomalia, trova il percorso per i propri estremi voli, dopo aver attraversato l’eccesso e l’illusione dei colori.
L’oltre del bianco coincide con quello dell’arte stessa e delle potenzialità sensoriali riconoscibili: diventa, come già detto, un assoluto sinestetico di assenza ed essenza. Essa può ricercare, nella sua accezione più smaterializzata, l’incorporea traccia di un movimento verso la luce, il silenzio, l’indicibile richiamo (il cielo, l’aspirazione mistica) o nella naturale vibrazione di un’energia.
I Sensi del Bianco: a Messina
Il 4 dicembre del 2002 parlo all’Università di Messina de I Sensi del Bianco: come Ré/écritures e correspondances verso gli estremi confini. L’incontro è introdotto da Maria Gabriella Adamo, docente di Lingua e Traduzione Francese presso la stessa Università. Il percorso dell’incontro, che vuole ricordare la poetessa Luciana Frezza, traduttrice di Mallarmé (oltre che di altri poeti del Simbolismo francese come Baudelaire, Rimbaud e Laforgue), è indicato nell’invito: La poetica del bianco come linguaggio e sinestesia interlinguistica (in cui i confini della letteratura, delle arti visive e delle altre arti si coniugano e si incontrano) diviene un attraversamento teorico-creativo.
«“Solitudine, stella, scogliera / a tutto quello che valse / il bianco affanno della nostra vela”; così traduce quella terzina Luciana Frezza, che commenta a proposito di Salut: Mallarmé volle farne una sorta di prologo alla raccolta delle sue poesie. Il lettore vi potrà trovare alcuni dei suoi simboli familiari: schiuma, scogliera, stella; alcuni dei suoi aggettivi prediletti: bianco, vergine; il suo clima: solitudine, ansia di rischiose avventure del pensiero, […] di avventure sperimentate fino all’estremo limite. […] Luciana Frezza è anche il filo d’Arianna che ci conduce alla poetica del Bianco elaborata da Vitaldo Conte: una poetica che implica la pluralità dei linguaggi – come il prisma cui il Bianco rimanda –: linguaggi iconico-verbali e altro ancora, secondo i nessi delle sinestesie, e proiettati verso la cancellazione di generi e confini, in una tensione continua verso la scoperta e in un progetto “assoluto” – o extrême – di conoscenza, ri-creazione e invenzione»[5].
Non è un caso che sia Messina a ospitare l’evento sugli estremi confini del Bianco. Questa città rappresenta il passaggio: non solo quello esile, tracciato dal taglio d’acqua tra la Sicilia e la Calabria, tra l’isola e il continente, ma anche quello, percepibile e sfuggente nello stesso tempo, della vista dell’altra sponda. Questa, così a portata di mano, quasi da poterla sfiorare, è sempre irreversibilmente “distante”: come il confine bianco tra la vita e la morte, tra il visibile e l’invisibile, tra la realtà e il mito. L’altra percepibile sponda rappresenta il ritrovo pulsionale e interiore del sacro, del mistero, del fantasma che, talvolta, “veliamo” e “traduciamo”, per l’intraducibilità di queste lingue di estremo confine, in un di-segno bianco.
Il Bianco come suono e silenzio di Arte Ultima
L’origine della creazione è nel bianco. L’arte bianca ha naturalmente le sue musiche nei brusii del silenzio. Questo primo e ultimo suono dalle proprie potenzialità inedite, naturali, è sensibile a risvegliarsi nei significati e sensi di un oltre: può ricercare il “rumore bianco”. «È un mondo così alto […] che non ne avvertiamo il suono. […] Per questo il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto […]. È un silenzio che non è morto, ma ricco di potenzialità […]. È la giovinezza del nulla, o meglio un nulla prima dell’origine, prima della nascita»[6].
Le tele interamente bianche di Robert Rauschenberg sono una folgorazione per le resistenze del compositore John Cage ad “abbandonarsi” al suono silenzioso: «Quando vidi i suoi dipinti bianchi, dissi: “Oh sì, devo farlo; altrimenti mi troverei in ritardo, altrimenti la musica si troverà in ritardo». Successivamente affermerà che 4’33”, il pezzo silenzioso, è stata la sua composizione più importante.
L’arte bianca può divenire un corpo-evento di suono e vibrazione. Come è avvenuto al convegno Colloqui: Tradizione / Avanguardia ad Alatri (Badia di San Sebastiano) il 15 giugno 2013. Qui presento il Pulsional Ritual della creazione bianca con concetti e «sonorità interiori improvvisate». Queste ultime sono espresse con artiste Fedeli d’Amore attraverso strumenti ambient e il battito di fogli di carta bianca. Su questo “pensare in opera” intervengono i saggisti Giovanni Sessa e Dario Evola. Il Bianco, nei colloqui di Tradizione/Avanguardia, è naturalmente pensiero mitico-simbolico e creazione sconfinante che può volere la sua rituale Festa Bianca di Arte Ultima.
Note:
- Il testo dell’autore è stralciato da quello pubblicato in AA.VV., DissacrArte. Avanguardia e sacro nell’arte contemporanea, a cura di Luca Siniscalco, ‘Antarés. Prospettive antimoderne’ n. 20 (Bietti Ed.), 2024
- [1] Stéphane Mallarmé, Brezza marina, in Mallarmé Poesie, a cura e traduzione di Luciana Frezza, Feltrinelli Ed., Milano 1966, p. 37.
- [2] Alberto Castoldi, Bianco, La Nuova Italia Ed., Scandicci (FI) 1998, p 13.
- [3] Maurizio Fagiolo dell’Arco, Fontana, Pascali: la vita è un gesto, Metro, n.15, The International Review of Contemporary Art, Alfieri, edizioni d’arte, Venezia giugno 1968, p. 79.
- [4] Alberto Castoldi, Bianco, cit., pp. 59 e 89.
- [5] Maria Gabriella Adamo, Percorsi del Bianco, in I Sensi del Bianco e oltre, blocco notes con testi e illustrazioni di Vitaldo Conte, Ed. Gepas, Avola (SR) 2003, pp. 3-4.
- [6] Vasilij Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, 1909; Bompiani, Milano 1996, p. 66.
Vitaldo Conte