Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
I tempi ultimi e il ritorno al Centro – Giandomenico Casalino
« … Il Dìo è giorno-notte, è inverno-estate, è guerra-pace, è sazietà-fame…»
(Eraclito)
Siamo a conoscenza che l’Inizio, la Primordialità, l’Arché coincide con la Fine, identificandosi con la stessa e quindi con la contrazione, il crepuscolo del Ciclo, essendo ciò la realtà uroborica del Circolo ed evidenziando proprio quanto la primordiale comunione uomo-Dio, nel significato esoterico ciò significando il Sapere dell’uomo di essere il Dio, sia, (nell’assenza di qualsiasi forma di mediazione, del tutto superflua, atteso che, non essendoci alcuna dualità non v’è nulla da mediare) alquanto simile alla realtà spirituale da fine del Ciclo o da epoche che accellerano tale fine, dove è presente una forte coagulazione dello Spirito in sé stesso, poiché fuori il Mondo è Tenebre della stessa natura di quelle interiori, come intuì Nietzsche quando affermò: “… il deserto cresce fuori di noi, fà che il deserto non cresca dentro di te…!”. In tale “momento” secco e puro del processo (simile nello Spirito al primordiale nonché a quello romano), non vi sono mediazioni poiché non vi è nulla con cui mediare, in quanto, proprio come nella primordialità vi è l’Unità che si conosce Uno e vi si identifica, così nel crepuscolo si manifesta il capovolgimento oscuro dell’Unità primordiale, apparendo una forma di “unità”, quasi parodistica, che è la spettrale solitudine dell’uomo precipitato nell’angoscia del vivere senza senso, che non vede e non sente più alcunché di Divino né dentro né fuori di sé.
(Plotino)
E così, come è accaduto nella decadenza crepuscolare del Mondo Antico e come si è verificato e si sta verificando in codesta attuale tarda e larvale modernità, l’unica Via spirituale che resta da percorrere, mentre vige una febbricitante accelerazione verso il Basso, è quella insegnata ed esperita da Plotino, da Marco Aurelio o da Plutarco, ed è la Via del Rito filosofico interiore, quale Ascesi come Via Secca, in quanto ricostruzione eroica nel fondo dell’Animo della consapevolezza della identità e della presenza del Divino e ciò mediante il processo spirituale platonico di Rinascita-Risveglio-Rimembranza di Ciò che è presente (e che siamo da sempre!). La interiorizzazione dello Spirito è manifesta sempre nella fase della desertificazione del Mondo in quanto l’Io, come coscienza del proprio essere, fugge dal Nulla ed entra nel “momento” della ricerca del Centro, cioè in quella Centripeta, quale Universo che va verso l’Uno in una inspirazione-contrazione-coagula a cui succede l’espirazione-espansione-solve come fuga dall’Uno. Infatti mentre colui che nasce, nasce poiché inspira, colui che muore, muore poiché espira: l’uscita è la Vita ma, senza il Ritorno, è la Morte! Questa è la ragione per cui nelle Tradizioni spirituali di tutte le civiltà si è sempre parlato della necessità vitale della Iniziazione come Teogonia filosofica e dei Riti purificatori interiori, sono il Ritorno all’Uno, alla Fonte della Vita e dello Spirito, ma sono il Ritorno consapevole quale Scienza del Centro. L’accellerazione dell’Età Oscura, infatti, verificatasi intorno al VIII-V sec. a.C. in tutte le culture tradizionali, ha provocato la ricerca del Fondo dell’Anima (il Centro) e la contestazione del liturgismo e del ritualismo vuoto nonché del formalismo cristallizzato nella morte dello Spirito, ed è per esempio il confluire delle tematiche filosofiche dei Veda e dei Brahmana nelle Upanisad (termine che è il risultato composto da Upa-ni-shad cioè “sedersi giù vicino”, alludendo alla modalità segreta di trasmissione dell’insegnamento, che avveniva oralmente da maestro a discepolo, essendo un insegnamento esoterico tale da essere comunicato solo a chi è iniziato) evolvendo in una direzione che mantiene un punto di riferimento fondamentale: tutto è Uno, e Uno è tutto.
L’intero universo, nella sua diversificazione, è l’espressione di un unico Principio. Questa “unità fondamentale” viene sinteticamente espressa dalla corrispondenza tra il Brahman, la realtà assoluta, e l’Ātman, l’interiorità dell’uomo. Ne consegue un cambiamento profondo nel valore che si attribuisce all’esistenza, soprattutto riguardo il fine ultimo. Lo scopo della vita umana diviene ora la realizzazione della perduta unità tra micro e macrocosmo, tramite un processo di Conoscenza. Non si tratta però tanto di una Conoscenza razionale, quanto di un’Intuizione profonda sulla natura dell’Assoluto. In tale prospettiva l’atto sacrificale quale cerimonialità pubblica perde di importanza spirituale e muta verso una forma “interiorizzata” di sacrificio, dove il fuoco esterno del Rito pubblico è sostituito dal calore ascetico interiore e l’offerta sacrificale è costituita dal corpo stesso dell’asceta. È un mutamento epocale simbolico e logico in cui la regola del Culto religioso viene spostata dal gesto esteriore alla concentrazione interiore: non è più questione di una futura nascita divina, ma si tratta ormai di esperire l’Assoluto in questa vita terrena, restando nel corpo e guardando e operando nel luogo dove dimora l’Assoluto: il Cuore dell’uomo, attuando una autentica Scienza dell’Io. Medesimo è il cammino dello Spirito con la apparizione della Filosofia nell’Ellade, di Zoroastro in Persia, che si qualifica proprio come Rito mentale purificatorio ed interiorizzato, del Principe Siddharta in India, dello stesso fenomeno del profetismo ebraico sino all’esperienza di Joshua il Nazareno; tutti questi “riformatori” o “rivoluzionari conservatori” provengono dal Culto e dal Rito pubblico, dal Sapere dei grandi complessi templari, essendo, però, la dimensione esoterica di quel Sapere.
Affinché tale processo universale dello Spirito, che è ciclico, sia ben esplicito, è necessario visualizzare nella interiorità noetica l’immagine della Spirale di Stefanio, simbolo fondamentale della Tradizione Ermetica ellenistica (sulla quale ho diffusamente scritto nel mio Il nome segreto di Roma, Roma 2013, pp. 151 ss. nonché sempre nel mio Sul fondamento. Pensare l’assoluto come risultato, Ed. Arya, Genova 2014, pp. 61 ss.); esso contiene, anzi è esattamente il succedersi della inspirazione-contrazione-coagula del movimento Centripeto, corrispondente all’incombenza ed alla predominanza delle Tenebre e coincide con la fuga verso il Centro dell’Anima e la ricerca della Luce nel Fondo della stessa che è il Centro medesimo della Spirale, ecco la interiorizzazione, nonché l’intero percorso di discesa “ad Inferos” dove si vivono e si conoscono Astri-Numi-Metalli come oscuri e lebbrosi, è il coagula-contrazione che ha in sé anche il solve come scioglimento degli Elementi (il Fondo dell’Anima quale antro privo di Luce), e inizio della risalita come sublimazione di quel solve che è il salvifico e catartico riconoscere la natura Divina di quell’antro che si manifesta infatti quale cattedrale di Luce e sede del Dio ed è il percorso verso il nuovo Mondo o meglio una nuova esperienza dello stesso Mondo e quindi degli stessi Dèi che, ora, sono conosciuti come luminosi ed è l’uscita verso la periferia estrema della Spirale, come viaggio ai confini del Mondo, e coincide con la edificazione dell’Impero, che è la massima gioia e la suprema fiducia dello Spirito in una espirazione-dilatazione-solve come apertura al Mondo e tensione massima dell’Identificazione dello Spirito dell’uomo con lo Spirito del Mondo, in quanto sono Uno nei Molti ed i Molti nell’Uno; tale uscita è la rinascita della civiltà e quindi del Rito pubblico e della cultualità comunitaria.
L’Athanòr è, però, in perenne movimento di inspirazione ed espirazione, essendo il Vivente e tutto ciò ritornerà, nell’altro “momento” di accelerazione della Caduta, ad oscurarsi poiché lo Spirito tornerà a non vedere più la Luce e non riconoscerà, di nuovo e come nel precedente Ciclo, il culto dovuto agli Dèi (Plotino, infatti, conoscendo il significato della Caduta, afferma: “Non io devo andare agli Dèi ma gli Dei venire a me!”); nonché “il compito non è essere buoni e virtuosi ma essere Dèi è il compito!”) e tale Sapere è presente anche in Hegel il quale, in quanto sapiente ermetico, non fa che sistematizzare in termini logici, cioè spirituali, il discorso simbolico della Spirale di Stefanio, rivelando che il Sapere filosofico, nel significato platonico, non solo è la suprema Conoscenza ma, come la nottola di Minerva s’invola al crepuscolo e quindi all’approssimarsi delle Tenebre della notte, esso Sapere, come processo spirituale, appare proprio al crepuscolo delle civiltà ed in termini noetici, viene “dopo” la esperienza religiosa che, implicitamente, coincide con il precedente momento della esteriorizzazione centrifuga, cultuale e cerimoniale dello Spirito che è il movimento verso l’esterno, la periferia della Spirale. La verità in ordine alla Conoscenza suprema che si conquista come Identificazione-realizzatrice alla fine del Ciclo nella realtà Centripeta, nonché come l’altro aspetto della medesima verità, relativo all’uscita da esso movimento Centripeto, avviandosi verso il movimento Centrifugo, dove quella Conoscenza è perduta e viene conosciuta nel nuovo e successivo Ciclo in forma mitico-religiosa, è esplicitamente ed in guisa straordinaria ribadito da Aristotele (Metafisica, XII, 86,1074a, 37b 14).
In ciò consiste la natura profonda della presente Età e dell’unica ed inequivocabile efficacia operativa del Rito plotiniano interiore come Ascesi filosofica in quanto processo di conoscenza-esperienza del più oscuro Fondo dell’Antro, al fine, vincendo la paura e l’angoscia, di vedere la Luce mediante la Luce, vincendo, fino a che ciò sia possibile e nei limiti della permanenza nel corpo e nella vita, la stessa necessità insita nella Legge cosmica del Ciclo.
Appare manifesto, alla luce di tutto ciò, che il Rito filosofico interiore è, come abbiamo accennato, la dimensione esoterica del Culto religioso che è sempre di natura dualistica e quindi essoterica e ciò dimostra 1’identità tra Scienza dell’Io e magia, dove l’apparente contraddizione vi è solo se si resta nella fase della espirazione-solve-uscita centrifuga e, quindi, nella cerimonialità e la sua ritualità esterna, pubblica, ma nella fase opposta, cioè la centripeta, la Magia non può che essere Scienza del1’Io: ecco la ragione profonda e di natura spirituale, in virtù della quale, nell’incombere delle Tenebre, Evola, come già intuirono Platone e Plotino, vede e pensa che è necessario ritornare alla Primordialità del Rito interiore, puro, secco, senza alcun Dio ed alcuna mediazione religiosa, sia mitico-simbolica che teurgica, ma di natura attiva e cioè magica quale appunto Scienza dell’Io, che è operativa Conoscenza dell’Io quale Ātman identico a Brahman: questa è la ragione cosmica della esperienza del gruppo di Ur!
Evola ha inoltre una chiara e lucida consapevolezza che l’evento relativo alla inefficacia del Culto pubblico e al contestuale tramonto di ogni forma istituzionalizzata di religione, è una rischiosa liberazione da un ostacolo-equivoco, liberazione che è la fine della natura cerimoniale e quindi dualistica del medesimo Rito pubblico; a tal fine egli indica con l’Idea dell’esperienza di Ur la necessità epocale (e con ciò anticipando i tempi e di molto) dell’effettuale Ritorno centripeto dello Spirito cioè la conoscenza magico-operativa del Centro, tale è la ragione per la quale definisce la magia quale Scienza dell’Io in quanto Centro, inizio e fine di tutta l’Opera.
Nel contempo è come se avesse affermato: “Noi dobbiamo ritornare dentro di noi, noi dobbiamo agire dentro di noi, noi dobbiamo chiudere tutta la fase della cerimonialità, che è il rapporto dualistico tra Io ed Ente (che sìa evocato, nell’atto teurgico, o invocato, in quello religioso, è sempre Io ed Ente)”. Al fine di comprendere tutto ciò è vitale la lettura di quel capitolo straordinario di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, intitolato “Correnti iniziatiche e alta magia”, in cui Evola muove una critica profonda, profondissima, di natura plotiniana.
Ecco perché sono attuali, sia Plotino che Evola! Oggi Plotino si stampa e si pubblica in migliaia di copie come accade per Evola! E nelle “Enneadi”, che non è una lettura di svago, c’è tutto! Tutti i cosiddetti “studi” di psicologia, di psicanalisi, appartengono allo sciocchezzaio del mondo moderno: la “psicogenesi” di Plotino è eterna perché è attualissima; parla a noi, oggi, lui parla come ci parla Evola! Loro parlano al nostro animo, alle nostre angosce profonde! Ecco perché l’idea di Evola sul Gruppo di Ur e del conseguenziale abbandono della cerimonialità è attuale come sono attuali, anzi sono il futuro dell’Età Oscura, la fine del culto pubblico, della religione istituzionale, della comunità, della fraternità, delle organizzazioni, di tutte le logge, di tutte le chiese! Che cosa significa ciò? Che dobbiamo arrivare a che cosa? A quello che lui stesso ci indica sempre in quel capitolo (“Correnti iniziatiche e alta magia”), cioè arrivare a superare la dualità e il dualismo, e arrivare a quello che Plotino enigmaticamente ci invita a pensare ed a realizzare, cioè al l’Identificazione, a comprendere che alla fine del Ciclo, come manifesta la “Spirale di Stefanio”, l’Opera diviene di Identificazione, come d’altronde lo stesso Plotino insegna, alla fine delle Enneadi, affermando che si trova mònos pros mònon cioè da Solo a Solo! Ci si rende conto, pertanto come dice Meyrink, che non si deve creare l’idolo e adorarlo, ma conquistare il Sapere che tu “sei” l’idolo! Noi siamo da sempre Quello che crediamo di dover divenire, poiché Quello non diviene ma è, come noi non siamo mai nati e mai moriremo poiché, essendo Quello da sempre, siamo eterni! Solo che non lo sappiamo, essendo preda dell’oblio: tutto è deciso dal Sapere quale Scienza dell’Io!
È necessario realizzare, pertanto, una forma interiore che sia una forte e serena consapevolezza che “…non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione, anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello Spirito… questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo nell’essere…” (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Firenze 1960, voi. I, p. 26). Tale è l’esperienza della Verità che rivela come e perché non sono mai stati reali l’Io e le Tenebre o l’Io e la Luce, poiché ciò è frutto sempre dell’ignoranza-non-visione (āvidya) del dualismo: infatti J. Böhme, teosofo ed iniziato, definito da Hegel: “primo autentico filosofo tedesco”, rivela che noi siamo Luce e Tenebre, come Lui è Luce e Tenebre, perché noi siamo Lui e Lui è noi!
Giandomenico Casalino