I Canti pisani di Pound: poesia della Tradizione – Giovanni Sessa
Un saggio chiarificatore di Luca Gallesi
L’esistenza di Ezra Pound, uno dei grandi nomi della letteratura del Novecento, è stata intensa, avventurosa e travagliata come poche. Giunto in Europa dagli Usa nel 1908, visse a Londra, poi a Parigi, dal 1925 a Rapallo: qui scrisse la parte centrale dei suoi Cantos. Nelle precedenti sezioni di quest’opera monumentale, il poeta aveva messo in atto un’accorata denuncia dell’Inferno moderno, nel quale le guerre, causate dalla speculazione finanziaria, stavano devastando le vite dei popoli. In quelle strofe aveva, inoltre, celebrato modelli ideali di conduzione della res pubblica, rappresentati da Signori rinascimentali e dagli imperatori dell’antica Cina. L’economia, a suo dire, era l’unica chiave interpretativa da cui muovere per comprendere le cause profonde del disastro contemporaneo. È noto, paradigma di riferimento di Pound fu Confucio. L’esplodere del secondo conflitto mondiale costrinse il poeta a sospendere la stesura della parte conclusiva dei Cantos, il Paradiso. Era fermamente convinto, in quel frangente, che il fascismo fosse forma politica illuminata atta a realizzare una restaurazione del Vero, del Bello e del Bene. Iniziò a collaborare con Radio Roma, accusando Roosevelt di aver trascinato il proprio paese in una guerra ingiusta e illegittima. Tale impegno gli costò caro: fu arrestato nella primavera del 1945 dai partigiani e consegnato alla truppe americane. Le vicende di questo periodo tragico della vita del poeta, sono, con dovizia di particolari, ricostruite nell’ultima fatica di Luca Gallesi, Ezra Pound a Pisa. Un poeta in prigione, nelle librerie per Ares Edizioni (per ordini: info@edizioniares.it, pp. 148, euro 15,00).
Con queste pagine, di lettura agevole e coinvolgente, Gallesi si conferma esegeta di vaglia tanto della vita, quanto della poetica poundiana. Dopo l’arresto, il poeta fu recluso nel campo di concentramento riservato ai detenuti militari statunitensi allestito nei pressi di Pisa, sopportando condizioni di vita durissime, ristretto in una gabbia di ferro. La cattività animalesca che fu costretto a sopportare, mise in atto nella “formica solitaria” un processo di autoconoscenza, un vero e proprio “conosci te stesso” delfico, che lo costrinse a scrivere i Canti pisani, trascrizione poetica della sua reale discesa ad inferos: «rinchiuso nella gabbia e stordito dal sole accecante di giorno e dall’umido freddo di notte, il poeta si è davvero trasformato in “Nessuno” e la sua poesia diventa autobiografia» (p. 15). L’Io epico è ridotto a io individuale, sostanza esistenziale dell’io poetico rinnovato. Un compagno di prigionia gli aveva costruito, sfidando il regolamento del campo, con: «una cassa di legno un rozzo tavolino su cui poter scrivere, come raccontato nel Canto LXXIV» (p. 43). L’8 ottobre, dopo un collasso fisico e nervoso, Pound comunica alla moglie di aver scritto “10 Cantos”, cui, dopo aver appreso la morte del poeta J. P. Angold, aggiunse il canto LXXXIV, che chiude i Canti Pisani. La sera del 16 novembre gli venne comunicato il trasferimento a Washington. Il 17 novembre si imbarcherà sull’aereo che da Ciampino decollerà verso gli USA. Dopo il processo farsa, sarà recluso nel manicomio criminale St. Elisabeths per 13 anni. Ritenuto incapace di intendere e volere, dopo la scarcerazione, sarà affidato alla moglie Dorothy, nominata tutrice legale.
Le fasi del processo sono analizzate da Gallesi in ogni aspetto, dagli interrogatori alla difesa “ingenua” del poeta, alla luce di una messe di documenti incontrovertibili ai quali rinviamo il lettore. La parte davvero rilevante del volume, al di là della puntuale ricostruzione storica, è da individuarsi nell’esegesi dei Canti pisani. Essa mostra che il poeta fu, oltre che insigne verseggiatore ed economista eretico, araldo e tedoforo della Tradizione. Pound trovò rifugio, durante la dura detenzione, nella contemplazione della Natura: «Ribattezza “Monte Taishan” una cima delle montagne di Carrara, mentre due colline all’orizzonte diventano “ i “Seni di Elena”; api, ragni, formiche e grilli si trasformano nei protagonisti di un universo ingegnosamente arricchito» (pp. 42-43). La loro osservazione gli impedì di sprofondare nella disperazione. Come Ulisse, alla deriva sulla zattera: «la sua mente naviga seguendo le associazioni più diverse, dai ricordi di viaggio alle divinità pagane, dalla morte di Mussolini […], alla pietà per i vinti» (p. 58). La memoria, non semplicemente storica ma spirituale, gli consente di selezionare fatti e persone, distinguendoli in creativi e distruttivi. Sono ritenuti “creativi” gli Imperatori cinesi ma anche i politici ellenici che, a Salamina, ebbero contezza che lo: «lo Stato può prestare» (p. 60). I Canti pisani sono centrati sulla convinzione che tutto è animato da fulgore divino. Nei primi quattro, dominante risulta la potestas di Dioniso, cantata nell’Inno in suo onore, Dioniso/lince, composto in occasione del compleanno della moglie. È il dio sfuggente a fargli esperire, perfino nel nido di vespe della sua gabbia, la perfezione della physis.
Nel canto LXXIV il cosmo è pensato quale ordine supremo, animato dall’interno dal principio. Gli enti sono simpateticamente uniti da virtù irraggiante. Solo eros consente di entrare in tale universo. Su ogni cosa alita la dea cinese Kuanon, dea della misericordia, collegata a Demetra e Persefone. Non è casuale che, tra i personaggi ricordati nel Canto LXXV, spicchi Ludwig Klages, cantore dell’Anima della Terra. L’arrangiamento per violino di Münch della Canzone degli Uccelli, è eco delle voci della physis. Chiosa Gallesi: «La Tradizione è immortale, ed è unica nella sostanza, anche se inevitabilmente assume forme diverse» (p. 71). Il tràdere poundiano è dinamico, non statico, non “tradizionalista” in senso scolastico. L’estasi, per il Nostro, non è turbine momentaneo, sorge di fronte alla percezione profonda della Natura, nella quale “tutto è in tutto”. Le menti poetico-estatiche: «sono aderenti all’universo vitale» (p. 76). L’Inno a Dioniso/lince è ricco di rimandi alla misteriosofia eleusina, ai riti della fertilità e si chiude in un clima menadico, in una celebrazione pagana della primavera e dei suoi riti. Muovendo da tale constatazione, il canto LXXXI invita il lettore a porsi al servizio: «della tradizione tracciata da tanti maestri […] Il mondo naturale dà […] l’esempio di come ci si debba comportare, e ci insegna quale possa essere il nostro posto» (p. 95), oltre la dismisura del tempo presente.
A chiusa di questa recensione ricordiamo quanto Eugenio Montale scrisse in occasione della traduzione italiana dei Canti pisani: «Un poema che è una fulminea ricapitolazione del mondo, senz’alcun legame di tempo e di spazio» (p. 14). Per entrare nel suo universo ideale è davvero necessario leggere, Ezra Pound a Pisa. Un poeta in prigione, di Luca Gallesi.
Giovanni Sessa