I boschi sacri ed il simbolismo dell’albero cosmico – Fabrizio Bandini
I boschi sacri nella Tradizione Indoeuropea vengono visti come templi naturali da tempi arcaici e primordiali. Questa concezione si ravvisa dall’Islanda all’India, poli opposti, ad ovest e ad est della grande espansione dei popoli Indoeuropei. L’Europa stessa era una terra ricoperta da folte foreste, come ricorda Frazer: “Agli albori della storia, infatti, l’Europa era ammantata di gigantesche foreste primordiali, le cui poche radure dovevano apparire come isolotti in un oceano di verde. Fino al I secolo a. C. la Selva Ercina partiva dal Reno estendendosi verso est, per una distanza immensa e sconosciuta; i Germani, ai quali Cesare si rivolse per averne notizie, avevano viaggiato per due mesi attraverso quella selva, senza vederne la fine. Quattro secoli dopo l’imperatore Giuliano si recò a visitarla e la solitudine, la cupezza, e il silenzio di quella foresta, lasciarono una profonda impressione nella sua natura sensibile, tanto da fargli dichiarare che nulla di simile esisteva, secondo lui, nell’impero romano” (1). Fra le popolazioni germaniche, importante ramo degli Indoeuropei, la concezione del bosco sacro come tempio naturale è particolarmente evidente. Tacito scrive nel De Germania a proposito delle popolazioni teutoniche: “Non ritengono inoltre, conforme alla maestà degli Dèi il racchiuderli fra pareti, né il ritrarli in alcuna forma che ricordi l’immagine umana; consacrano alle divinità boschi e selve e danno nome di Dio a quell’essenza misteriosa, che solo un senso religioso fa loro intuire” (2). Quando i Romani e i Greci già avevano innalzato templi e raffigurato gli Dèi con statue e dipinti, i popoli germanici erano legati ancora in larga parte all’usanza arcaica di non raffigurarli e di considerare templi, spazi sacri, alcuni boschi, con i loro alberi e le loro pietre, altari naturali. Solo in epoca più tarda sorgeranno numerosi templi agli Dèi, come quello celebre di Gammla Uppsala (Vecchia Uppsala), con le tre statue di Þórr, Óðinn e Freyr, come narra Adamo da Brema nella sua Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum (3). Accanto al tempio di Uppsala sorgeva fra l’altro un bosco sacro in cui venivano compiuti copiosi sacrifici agli Dèi, come racconta lo stesso Adamo da Brema. Chiesa Isnardi afferma: “Secondo una credenza diffusa tra tutte le tribù germaniche il bosco è luogo sacro in cui dimorano e si manifestano le potenze sovrannaturali. Per questo i rituali dei Germani ebbero luogo nei boschetti sacri, prima che nei templi” (4). E ancora: “La diffusione del concetto del bosco come luogo sacro e sede di sacrificio è testimoniata inoltre dai numerosi toponimi i cui compare il termine per ‹‹bosco››: soprattutto lundr (m.), ma talora anche viðr (m.). In molti di essi è facilmente riconoscibile il nome d’una divinità che in quel luogo doveva essere adorata” (5). Turville Petre scrive: “È notevole che le parole usate in lingue germaniche per luogo di culto o tempio, avessero spesso il significato di ‹‹bosco››. L’antico alto tedesco harug è reso in latino con fanum, lucus, nemus, ed il corrispondente antico inglese hearg, comunemente usato per ‹‹tempio›› o ‹‹idolo›› aveva pure il significato di ‹‹bosco››. L’antico inglese bearu e parole in relazione a esso variano alternativamente significati come ‹‹foresta, bosco sacro, tempio››. Il gotico alhs (tempio) è messo in relazione a parole che significano ‹‹bosco sacro››” (6).
Tacito narra inoltre: “I Senoni sono considerati come i più antichi e nobili dei Suebi; la prova di questa loro antichità è confermata da un rito religioso. In un’epoca determinata si raccolgono, per mezzo di delegati, in una foresta sacra per i riti degli avi e per vetusto e religioso terrore, i popoli dello stesso nome e della medesima stirpe” (7). In quel bosco si facevano sacrifici al Dio supremo (regnator omnium deus), che è da identificarsi con tutta probabilità con Wotan, e il rito vorrebbe rappresentare “che di là ebbe principio la stirpe, che là risiede il dio che regna sovrano e che tutto il resto è suddito a lui e gli obbedisce” (8). Il bosco sacro è quindi sede degli Dèi, luogo di sacrificio, ed è anche luogo iniziatico per eccellenza, dove si devono affrontare dure prove e forze pericolose.
Nel bosco si va anche a trovare la bacchetta magica, come narra lo Skírnismál:
“Al bosco sono andato
nell’umida foresta,
la magica verga a prendere;
la magica verga ho preso” (9).
Come sottolinea la Chiesa Isnardi il bosco è nella Tradizione Nordica (parte integrante di quella Germanica) anche “spazio protetto dove appartarsi per un periodo di rigenerazione in attesa di entrare in un nuovo ciclo di vita” (10). Nel Gylfaginning si racconta come durante il Ragnarök:
“Nel bosco detto di Hoddimímir, due persone si nasconderanno dalla fiamma di Surtr. Così si chiameranno: Líf e Leifþrasir. Essi avranno la rugiada del mattino come cibo e da loro verrà una progenie così grande che popolerà tutto il mondo” (11).
Finita l’orrenda distruzione del Ragnarök (il Fato delle Potenze, ovvero il Fato degli Dèi), chiuso il ciclo, comincerà quindi una nuova Età dell’oro, e le stirpi nordiche risorgeranno da quel bosco sacro. È da ricordare inoltre, come bosco sommamente sacro nella Tradizione Nordica, Glasir, lo splendente, “del quale si dice che sta in Ásgarðr davanti alle porte della Valhalla e ha foglie di oro rosso” (12). Fra i molti alberi del bosco alcuni sono particolarmente importanti, come il Frassino, la Quercia, il Tasso, l’Olmo, il Melo, il Noce, il Nocciolo e il Vischio. Il Frassino è il più eccelso di tutti nella Tradizione Nordica, in quanto è l’Albero Cosmico, Yggdrasil. Nella Voluspá è scritto infatti:
“So che un frassino s’erge
chiamato Yggdrasill,
alto albero asperso
di bianca argilla.
Di là viene la rugiada
che cade nella valle,
si erge sempre verde
su Urðarbrunnr” (13).
E ancora:
“Ricordo i giganti
nati in principio,
quelli che un tempo
mi generarono.
Nove mondi ricordo
nove sostegni
e l’albero misuratore, eccelso,
che penetra la terra” (14).
E ancora:
“Da quel luogo vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quelle acque
che sotto l’albero si stendono.
Ha nome Urðr la prima,
Verðandi l’altra
(sopra una tavola incidono rune),
Skuld quella ch’è terza.
Queste decidono la legge,
queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini” (15).
Così appare il frassino cosmico Yggdrasill nelle tre stanze della Voluspá citate, immenso ed eccelso albero, axis mundi, che sostiene tutti i nove mondi. Qui siamo nel cuore della Tradizione Nordica. Intorno ad Yggdrasill ruota l’intero Cosmo, con i suoi nove mondi:
Ásaheimr (il mondo degli Æsir, chiamato anche Ásgarðr, dal nome della rocca degli Æsir)
Álfheimr (il mondo degli Álfar)
Miðgarðr (il mondo degli uomini)
Jotunheimr (il mondo degli Jotnar)
Vanaheimr (il mondo dei Vanir)
Niflheimr (il mondo del ghiaccio e della nebbia)
Múspellsheimr (il mondo del fuoco)
Svartálfaheimr (il mondo dei Døkkálfar e dei Dvergar)
Helheimr (il mondo dei morti)
Ad una delle sue radici sorge la fonte di Urðarbrunnr, luogo eccezionalmente sacro, in cui vivono le tre Norne, Urðr, Verðandi e Skuld, le Signore del Fato, che decidono i destini degli uomini. Essa è la prima delle tre radici del frassino cosmico. Nel Gylfaginning è scritto:
“Quindi parlò Gangleri: “Dove si trova la residenza principale o il luogo più sacro degli dèi? ”
Rispose Hár: “Si trova presso il frassino Yggdrasill. Là gli dèi devono tenere il loro consiglio ogni giorno”.
Quindi parlò Gangleri: “Cosa c’è da dire di questo luogo?”
Allora disse Jafnhár: “Il frassino è di tutti gli alberi il più imponente e il migliore; i suoi rami si estendono su tutto il mondo e sovrastano il cielo.
Tre radici sostengono l’albero e si protendono per vasti spazi: una va fra gli Æsir; un’altra fra i Hrímþursar, là dove un tempo c’era il Ginnungagap.
La terza si stende sopra Niflheimr; sotto questa radice si trova Hvergelmir e Níðhoggr la rosicchia dal basso.
Sotto la radice che si dirige verso i Hrímþursar c’è Mímisbrunnr, ove sono conservate saggezza e intelligenza.
Si chiama Mímir colui che possiede la fonte: egli è pieno di sapienza, poiché beve alla sorgente con il corno Gjallarhorn.
Là andò Allfoðr e chiese di bere dalla fonte, ma non gli fu concesso prima di aver lasciato in pegno un suo occhio” (16).
Il frassino cosmico Yggdrasil sta quindi al centro dell’universo e lo sostiene, partecipando di tutti gli stati dell’essere: il Cielo, la Terra e gli Inferi, ovvero i tre mondi in cui suddiviso il Cosmo nella Tradizione Nordica, Germanica, e più in generale Indoeuropea. Chiesa Isnardi scrive a proposito: “L’albero cosmico riassume in sé i concetti di potenza, di sapienza divina e di sacralità: le sue origini sono misteriose, poiché nessun uomo sa da quali radici cresca. La sua possanza è la forza vitale del cosmo: quando esso vacillerà, si avrà indizio sicuro dell’imminente fine del mondo. Simbolo dei tre stati spaziali dell’essere (inferi, terra, cielo) e della loro interrelazione, l’albero cosmico assomma in sé anche i tre momenti fondamentali del tempo: passato, presente, futuro” (17). L’albero cosmico è anche luogo iniziatico sommo, tanto che il possente Óðinn, dio supremo degli Æsir e signore della magia, vi restò appeso nove notti e nove giorni per apprendere la conoscenza arcana e misteriosa delle rune. Come è scritto nelle celebri stanze dell’Hávamál:
“Lo so io, fui appeso
al tronco sferzato dal vento
per nove intere notti,
ferito di lancia
e consegnato a Óðinn,
io stesso a me stesso,
su quell’albero
che nessuno sa
dove dalle radici s’innalzi.
Con pane non mi saziarono
Né con corni (mi dissetarono).
Guardai in basso,
feci salire le rune,
chiamandole lo feci,
e caddi di là” (18).
Il nome stesso di Yggdrasill rimanda al sacrificio di Óðinn, in quanto significa letteralmente il destriero di Yggr, ovvero il destriero del Terribile (un altro degli innumerevoli nomi di Óðinn), che sta per kenning, per metafora, di forca, patibolo. Per questo Óðinn è chiamato anche Hangatýr, dio degli impiccati, dal sacrificio a lui caro. Legata agli alberi, al Frassino (Askr) e all’Olmo (Embla) è anche la creazione dell’uomo e della donna da parte degli Dèi, come narra la Voluspá:
“Finalmente tre vennero
da quella stirpe,
potenti e belli,
æsir, a casa.
Trovarono in terra,
senza forze,
Askr ed Embla,
privi di destino.
Non possedevano respiro
né avevano anima,
non calore vitale, non gesti
né colorito.
Il respiro dette Óðinn,
l’anima dette Hønir,
il calore vitale dette Lóðurr
e il colorito” (19).
E il Gylfaginning:
“Mentre i figli di Borr andavano lungo la riva del mare trovarono due alberi, li raccolsero e li mutarono in uomini. Il primo diede loro respiro e vita, il secondo ragione e movimento, il terzo aspetto, parola, udito e vista. Gli diedero poi vesti e nomi. Il maschio si chiamò Askr, la femmina Embla e nacque allora l’umanità, a cui fu data dimora entro Miðgarðr” (20).
La Quercia invece è particolarmente sacra al dio Þórr. Scrive Chiesa Isnardi a proposito: “Il rapporto fra questo albero e il dio Thor è testimoniato per i Germani da Willibald, il quale nella sua Vita S. Bonifacii riferisce di grandi alberi di quercia – fatti abbattere dal missionario perché oggetto di culto pagano – che s’innalzavano in una regione centrale della Germania. Questi alberi vengono da lui definiti secondo ‹‹l’antica espressione pagana›› (prisco Paganorum vocabulo), robur Jovis, cioè ‹‹quercia di Giove›› (il quale corrisponde a Thor nella interpretatio romana). Nella colonia vichinga irlandese dove Thor era particolarmente venerato, è ricordata l’esistenza di un bosco di querce a lui sacro (Coill Tomair)” (21). Il Tasso ha una grande valenza magica, tanto che per alcuni autori assume addirittura la funzione di albero cosmico al posto del Frassino (22). Non entreremo qui nella vexata quaestio. Albero cosmico e Pilastro del mondo presso i Sassoni è invece il sacro albero Irminsul. Rodolfo di Fulda descrive Irminsul come “universalis columna, quasi sustinens omnia”, ovvero come axis mundi, come pilastro universale (23). La somiglianza con il Frassino cosmico Yggdrasill è evidente. Il nome Irminsul (“Grande pilastro, “Grande albero”, “Possente albero”, “Albero dell’ispirazione”) d’altronde deriva evidentemente dal dio sassone Irmin (“Grande”, “Possente”, “Ispirato”, in norreno Jörmunr, “Grande”), che sembra essere un altro dei nomi di Óðinn / Wotan. L’albero cosmico lo troviamo anche fra i Longobardi, che nel 569, guidati dal loro re Alboin (italianizzato in Alboino), invadono e ripopolano un’Italia devastata dalla peste e dalla guerra gotica-bizantina (24). Quel valoroso popolo germanico, benché ufficialmente cristiano ariano al momento dell’invasione dell’Italia, conservava in realtà fortissime sacche di paganesimo al suo interno e tali resistenze pagane dureranno ancora per svariato tempo. Lo stanno lì a dimostrare il culto della sacra arbor di Benevento, molto probabilmente legato a Wotan (25) e il rosone dell’abbazia di Pomposa, di origine longobarda, su cui campeggia un possente Irminsul (26). L’apporto longobardo, fra l’altro, assieme a quello dei Visigoti, degli Eruli, degli Ostrogoti e di altre stirpi germaniche, porta una terza componente etnica fondamentale per il popolo italiano, quella dei popoli germanici, oltre a quelle precedenti dei popoli italici e dei popoli celtici. Ma la nuova religione cristiana avanza. La religione arcaica dei Germani vacilla e arretra, come già era accaduto alle religioni sorelle degli altri popoli Indoeuropei: Greci, Romani, Celti, e così via.
I boschi sacri, i grandi alberi sacri, i templi, vengono distrutti dai re e dai missionari cristiani in tutta Europa. È un’intera Tradizione che scompare, è un’intera religione che si eclissa, sotto i colpi delle spade e fra i bagliori dei roghi. Carlo Magno fa abbattere nel 772 il grande albero sacro Irminsul, distruggendo il santuario dei Sassoni, nella sua campagna contro quel fiero popolo pagano, che resiste valorosamente alla cristianizzazione. I Sassoni ancora non si piegano e combattono con tutte le loro forze, ma alla fine vengono sconfitti, con sanguinose stragi, come quella terribile di Verden del 782, in cui 4.500 nobili sassoni sono giustiziati per la loro fedeltà all’antica religione. “La Capitulatio de partibus Saxoniæ è il documento finale, terribile, di questa conversione forzata, che fu in parte anche un genocidio” scrive Franco Cardini, commentando inorridito gli eventi (27). Dello stesso periodo sono anche le leggi del re longobardo cattolico Liutprando (712-744), che condanna e reprime il paganesimo del suo popolo, ancora non convertito del tutto, con la massima durezza (28). Stessa cosa accade ad altri popoli germanici del Nord Europa nei secoli successivi. I nuovi re cristiani di Norvegia, Harald II° (961-970 ca.) e Olaf I° Tryggvason (995-1000) attuano una campagna violenta di cristianizzazione forzata, distruggendo i templi e i luoghi di culto pagani (29). Sotto il regno di Tryggvason numerosi sapienti e fedeli dell’antica fede, che rifiutano il battesimo e la conversione, sono torturati e uccisi nei modi più crudeli (30). La cristianizzazione ufficiale della Norvegia arriva a compimento nei decenni immediatamente successivi. L’Islanda resiste sino all’anno 1000, quando si converte al cristianesimo, con una decisione del suo þing, e proibisce il culto pubblico della vecchia fede. Tiene duro ancora la Svezia, che però cade poco dopo. Nel 1087 il re cristiano Ingold I° conquista Gamla Uppsala, sconfiggendo e uccidendo il re pagano Sven il Sacrificatore. Si ritiene che in quello stesso anno il re cristiano abbia fatto distruggere anche l’antico tempio pagano e fatto abbattere gli alberi sacri. Cadeva così l’ultimo celebre baluardo dell’antica religione (31). Le leggi cristiane proibiscono ovunque il culto pubblico della vecchia fede, compresi boschi, alberi, pietre e fonti sacre.
Chi vuole restare legato alla Tradizione degli antenati deve farlo di nascosto, pena severe condanne, sino alla morte. Gli antichi Dèi dei Germani e dei Norreni sono fatti passare dalle nuove autorità cristiane come demoni, con una spietata opera di demonizzazione, come era già accaduto per gli Dèi di altri popoli Indoeuropei. Nuove feste cristiane sono apposte sopra a quelle pagane: il Natale sopra a Yule (in norreno Jól), Pasqua sopra ad Ostara, e così via (32). Ma i simboli della vecchia religione non sono del tutto dimenticati, sono solo stati occultati. La resistenza dei popoli europei, la loro fedeltà all’antica Tradizione dei padri, obbliga le autorità cristiane ad un’opera di assimilazione e di sincretismo, oltre che di condanna e di demonizzazione. L’albero di Yule diventa l’albero di Natale, il ceppo di Yule diventa il ceppo di Natale, la lepre di Ostara diventa il coniglio di Pasqua, e così via (33). Anche i boschi sacri e l’albero cosmico della vecchia fede e della Tradizione arcaica non sono stati dimenticati. Sono ancora qui, fra di noi.
Note:
1. J. G. Frazer, Il ramo d’oro, Newton Compton 1992, p. 139
2. P. C. Tacito, La Germania, 9, Bur 1998, p. 211 s.
3. G. Dumézil, Gli Dèi dei Germani, Adelphi 1994
4. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, Euroclub 1996, p. 482 s.
5. Ibid., p. 483
6. E.O.G. Turville Petre, Gli Dèi Vichinghi, Ghibli 2016, p. 313
7. P. C. Tacito, La Germania, 39, ed. cit., p. 275 s.
8. Ibid., p. 277
9. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 483
10. Skírnismál, 32,
11. Gylfaginning, 53
12. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 483
13. Voluspá, 19
14. Voluspá, 2
15. Voluspá, 20
16. Gylfaginning, 15
17. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 533
18. Hávamál, 138-139
19. Voluspá, 17-18
20. Gylfaginning, 9
21. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 537
22. M. Polia, Le rune e i simboli, Il Cerchio 1983, G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, E. Thorsson, Futhark, Weiser Books 1984, E. Thorsson, Runelore, Weiser Books 1987.
23. bifrost.it/GERMANI/2.Cosmogonia/06-Yggdrasill.html
24. bighipert.blogspot.com/2013/07/la-peste-di-giustiniano-nella-historia.html e Procopio, La Guerra gotica, Garzanti (2005)
25. S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (2009)
26. bighipert.blogspot.com/2014/04/irminsul-il-pilastro-del-mondo.html
27. F. Cardini, Radici della stregoneria, Il Cerchio (2000), p. 118 s.
28. S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (2009)
29. S. Sturluson, Heimskringla: le saghe dei re di Norvegia, Edizioni dell’Orso, Vol. I° 2013, Vol. II° 2014, Vol. III° 2015, Vol. IV° 2017, Historia Norvegiae, Vocifuoriscena 2017, P. Jones N. Pennick, Storia dei Pagani, Odoya 2009, G. Chiesa Isnardi, Storia e cultura della Scandinavia, Bompiani 2015
30. Ibid.
31. Ibid.
32. P. Jones. N. Pennick, Storia dei Pagani, ed. cit. e N. Pennick, Pagan magic of the Northern Tradition, Destiny Books 2015
33. Ibid.
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en.wikisource.org/wiki/Heimskringla
Fabrizio Bandini,
nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, saggista, fondatore e direttore della Midgard Editrice, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede. Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui “L’archetipo della femme fatale e la crisi del patriarcato” (Midgard Editrice 2014), “Haiku” (Midgard Editrice 2017), “Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice 2019). I suoi studi sono rivolti in particolare verso la tradizione indoeuropea e la storia del nostro continente.