Guénon e la revisione del tradizionalismo secondo Silvano Panunzio – Giovanni Sessa
La casa editrice Iduna propone ai lettori un’importante silloge di scritti di Silvano Panunzio, introdotti da Aldo la Fata, che del pensatore cristiano è il maggior esegeta. Si tratta del volume, René Guénon e la crisi del mondo moderno, in cui sono raccolti saggi dedicati dall’autore all’esegesi del pensiero dell’esoterista francese e della sua scuola, apparsi in libri o sulla rivista Metapolitica, che egli stesso fondò. I testi sono accompagnati da una serie di lettere indirizzate a studiosi di diversa formazione, interessati al “tradizionalismo integrale” (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 188, euro 20,00). La Fata rileva la differenza di toni che si evince dal confronto tra scritti pubblici e privati: i primi connotati da maggior pacatezza, i secondi “più liberi” e caratterizzati da toni maggiormente polemici o apologetici.
Da un punto di vista generale, Panunzio riconosce a Guénon un ruolo rilevante nella cultura metafisica e religiosa del Novecento, ma ritiene che il suo insegnamento non sia privo di limiti e contraddizioni. Panunzio mira a dimostrare: «ai “tradizionalisti esoterici” che il cristianesimo è una tradizione completa sotto tutti i riguardi» (p. 9). Tra i saggi, alcuni rivelano esplicitamente l’intenzione che muove e attraversa l’esegesi panunziana del “tradizionalismo integrale”: giungere a una revisione del guénonismo. Prendendo le mosse da una recensione dello scrittore Vintilă Horia del 1982, dedicata a La crisi del mondo moderno, lo studioso italiano mostra di condividere le tesi critiche del romeno. Horia rilevava, nel libro in questione, delle ambiguità. Mentre, da un lato, Guénon: «rivendica […] al Cristianesimo latino e alla Chiesa il privilegio di essere l’unica organizzazione autenticamente “tradizionale”» (p. 65), dall’altro conferisce alla Massoneria il medesimo ruolo. Inoltre, le “aperture” all’Oriente induista e all’Islamismo, religione alla quale poi il francese si convertì trasferendosi in Egitto, hanno di fatto contribuito a realizzare il “disormeggio” dell’Europa dalla propria patria spirituale. Simili atteggiamenti teorici potevano trovare giustificazione nell’idea guénoniana della Tradizione Unica, da cui sarebbero discese le “tradizioni”.
A tale tesi, Panunzio replica che le Rivelazioni non sono uguali e non sono intercambiabili: «Il cristianesimo è, in questo senso, l’ “ultima” religione, quella che offre in modo univoco all’uomo la possibilità di salvarsi […] per l’intercessione dello stesso Figlio di Dio» (p. 67). Tenuto conto dell’accelerazione dei processi di decadenza che si manifestarono dopo la seconda metà del secolo scorso, per Panunzio sarebbe risultato dirimente mettere in atto una revisione del “tradizionalismo integrale”. Una revisione radicale quanto quella che aveva scosso le sicurezze dogmatiche del marxismo, al termine del secolo XIX. Il limite del guénonismo viene individuato, come si rileva da Gli stati molteplici dell’essere, da cui discende l’intero sistema dell’esoterista, dall’essere una proposta centrata sul monismo di Plotino e di ricondurre, pertanto, il dibattito: «all’incontro e allo scontro, mai del tutto risolto, fra Neoplatonismo estremo e Cristianesimo» (p. 70). Tale atteggiamento intellettuale, inoltre, indusse Guénon a esperire l’India alla luce della sola prospettiva shankariana, sottovalutando il “mistero vivente”, colto da Pannikar, relativo all’esistenza di un’ “India interiore” che riconosce la funzione salvifica del Cristo.
Conclusivamente, per Panunzio il guénonismo è una forma moderna di averroismo: «che si ripresenta ai cristiani del XX secolo con la stessa problematica d’urto del secolo XIII!» (p. 71). C’è da dire, precisa il nostro autore, che Guénon stesso si aspettava molto, in termini di emendamento del proprio sistema, dalla nuova ondata di studi tradizionali che si stava affermando in Italia e che era guidata, dallo studioso di economia, Giuseppe Palomba e da Panunzio stesso. Essa avrebbe dovuto favorire, non semplicemente la riunione orizzontale di Oriente e Occidente ma: «lo scambio verticale tra Cielo e Terra» (p. 73). Medesimi rilievi critici emergono dalla lettura del saggio dedicato a Guido De Giorgio, il cui merito maggiore è: «non aver posto ridevolmente (sic!) la Tradizione al posto di Dio» (p. 43). È proprio attraverso l’analisi del contributo di questo Adepto, che si evince il fallimento del tradizionalismo dei secoli XIX e XX, dimentico dell’insegnamento di De Maistre, il quale ebbe contezza che la Tradizione era stata preservata non solo dal cattolicesimo ma dall’Ortodossia, della qualcosa solo Sédir ebbe sentore. Lungo la via segnata dal guénonismo: «L’Europa interiore è rimasta abbandonata, lasciata alla mercé di forze ctonie […] Una frana: la quale la Metafisica pura, senza l’aiuto della Metapolitica, si è rivelata impotente ad arrestare» (p. 45). Guénon, ricorda Panunzio, incontrò, Padre Tacchi Venturi: la scambio tra i due non risultò proficuo ai fini di una rettificazione delle posizioni del francese, e questi continuò a perseguire la via della “esternazione” del patrimonio esoterico.
Il pensatore transalpino non comprese fino in fondo il lascito “tradizionale” presente in Leibniz. Quest’ultimo, non solo fu reale iniziato ma ebbe profonda conoscenza della Scolastica mistica: «la quale ultima è invece ignota a Guénon» (p. 34). Leibniz, per questo, non arretrò davanti alla concezione arditissima della: «pars totale», che tanto affascinò Goethe, filosofo della natura. Quelli presentati sono solo alcuni dei temi trattati nel volume. Essi tornano anche nell’interessante corrispondenza privata, che chiude questa preziosa raccolta. Concordiamo sulla necessità di sottoporre a revisione il tradizionalismo. Panunzio avrebbe voluto realizzarla attraverso il riferimento al “cristianesimo esoterico”, “giovanneo”. In alcuni passaggi del volume si evince, per questo, qualche giudizio eccessivamente ingeneroso nei confronti dell’ “eresia evoliana”, ritenuta “luciferica”.
Chi scrive, ritiene certamente che lo “spirito geometrico” e di sistema di Guénon debba essere vitalizzato dallo “spirito di finezza”. Tale qualità era viva e presente nella tradizione Misterica greca, in particolare nel dionisismo che mai, nell’atto aristotelicamente inteso, pensò di normare e tacitare la dynamis, la potenza-libertà del principio. L’uno, per chi scrive, si dà solo nei molti, è infranaturale. La physis è tempio della dynamis. Pertanto, qualora esistesse un esoterismo cristiano, centrato sull’idea di un dio che muore e rinasce, “potente” e “sofferente”, sarebbe debitore e succedaneo dei Misteri antichi, a cui è necessario tornare a guardare oltre le scolastiche tradizionaliste.
Giovanni Sessa