Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Gli uomini e le rovine: Evola e il giusnaturalismo – Giovanni Sessa
Evola ha svolto un ruolo di primo piano nella pubblicistica, giornalistica e dottrinaria, del secondo dopoguerra in Italia. Il pensatore romano fu punto di riferimento per quei giovani che, a guerra conclusa, non avevano intenzione di arrendersi ai valori e agli uomini del nuovo regime. Momento centrale dell’azione culturale promossa dal tradizionalista per correggere i riferimenti teorici spuri dell’ambiente neo-fascista, è da rintracciarsi nella pubblicazione dell’opera, Gli uomini e le rovine. A ricostruirne la genesi, i contenuti, gli obiettivi politici e culturali dell’autore è Marco Iacona nella sua ultima fatica, Contro il giusnaturalismo moderno. Evola, lo Stato, gli uomini, le rovine, nelle librerie per Algra Editore (per ordini: algraeditore@gmail.com, pp. 83, euro 7,00). Il testo è arricchito dalla prefazione di Claudio Bonvecchio.
Il libro di Evola uscì in prima edizione nel 1953, a ridosso del processo ai F.A.R. nel quale il filosofo era stato coinvolto ingiustamente. Il pensatore, nelle sue pagine, era animato dall’intenzione di esplicitare i prerequisiti teorici di una vera Destra, al fine di liberare i giovani che a lui guardavano come a un Maestro, dallo sterile nostalgismo, indirizzandoli ai valori della Tradizione. Come era avvenuto per l’opuscolo Orientamenti, anche per la stesura de Gli uomini e le rovine, l’intellettuale romano si avvalse dei contributi che, in quel frangente storico, aveva predisposto per l’ “inchiostro dei vinti” e, rileva Iacona: «si può affermare, per eccesso di scrupolo, che le idee ivi espresse possano risalire al biennio 1949-50» (p. 13). Il libro era introdotto da uno scritto del principe Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas. Evola assunse, pertanto, un ruolo teorico, Borghese, al contrario, di natura pratica. Avrebbe dovuto organizzare: «forze capaci di intervenire in caso di emergenza» (p. 15). La medesima strategia, in quegli anni, ricorda Evola ne Il cammino del cinabro, era stata adottata dai comunisti, ai quali era necessario rispondere con la loro stessa tattica.
L’élite tradizionale da un lato, quindi, dall’altro uomini preparati all’azione. Anni dopo, il tradizionalista riconobbe che: «Tutto questo progetto non ebbe seguito alcuno» (p. 17). Le Edizioni dell’Ascia per i cui tipi uscì il volume evoliano, avrebbero dovuto provvedere, su indicazione del pensatore, a pubblicare dodici testi mirati ad orientare quanti fossero rimasti “in piedi tra le rovine”. In realtà, di tale collana, uscirono solo due testi. Ne, Gli uomini e le rovine, le posizioni del tradizionalista sono apertamente controrivoluzionarie. Il potere legittimo, sostiene, nel mondo della Tradizione è sempre “dall’alto”. Lo avevano ribadito, anche se con diverse sfumature, gli intellettuali che si erano opposti agli esiti della Rivoluzione francese. Vero obiettivo polemico del volume è il giusnaturalismo moderno, che pone all’origine della condizione umana: «uno stato di natura dal quale sarebbe stato necessario uscire […] e a prevedere un potere organizzato garante dei diritti naturali facenti capo a ogni individuo» (p. 27). Al contrario, per Evola: «il popolo stesso ha il suo centro nel sovrano che si pone naturalmente come tale per via divina» (p. 28).
L’unità statuale organica è strutturata gerarchicamente, riproposizione della gerarchia vigente in ogni uomo, tripartito in corpo, anima e spirito. Una compagine politica tradizionale, con al centro l’omphalos irradiante del rex, è ritenuta atta a promuovere la spinta anagogica che conduce i singoli alla conquista della personalità. La legge di natura è dunque, per Evola: «base non di eguaglianza ma di disuguaglianza» (p. 31). Il pensatore nega la condizione pre-sociale dello stato di natura, rifiuta il contratto sociale, la sovranità popolare e postula l’esigenza del ripristino del diritto differenziato. La “rivoluzione” evoliana, pertanto, non può che presentarsi come conservatrice. Anzi, Gli uomini e le rovine: «è un libro unico per l’Europa del tempo; delinea in modo chiaro […] le posizioni assumibili da una destra d’autentica opposizione» (p. 38). All’appello lanciato da Evola risposero appassionatamente molti giovani. Purtroppo, l’azione metapolitica e di formazione spirituale messa in campo nel libro, chiosa Iacona, non sortì alcun cambiamento sulla destra italiana. La classe dirigente del MSI e, successivamente, quella di Alleanza Nazionale, furono insensibili alla proposta del tradizionalista che, come ha notato Geminello Alvi, ebbe, rispetto al nostro tempo, una : «distanza siderale».
Il suo fu un radicalismo: «della “ricostruzione”» (p. 43), atto a concedere una straordinaria capacità di resistenza al moderno. Gli appartenenti al gruppo dei “Figli del Sole”, vicini a Evola, richiamandosi alla Tradizione metastorica, si lasciarono definitivamente alle spalle le scorie del neofascismo. Il filosofo fu aspro critico dello Stato totalitario definito «una scuola di servilismo» (p. 64), dell’idea di partito unico (vera e propria contraddizione in termini: la parte che si arroga la qualità del tutto), del nazionalismo, centrale nell’idea fascista. Per lui i principi del vero Stato, inteso quale forma aristotelica di contro alla potenza demotica della nazione, dovevano essere individuati: «nell’imperium e nell’auctoritas […] nell’ordine politico e nella sua preminenza rispetto all’ordine sociale ed economico» (p. 46). Tali principi appartengono alla dimensione dell’essere, dello “stare”, sono imperituri. Nella storia italiana è mancato, dopo il periodo romano, un riferimento tradizionale di tal fatta.
I richiami, pertanto: «ai principi della Tradizione saranno di tipo ideale» (p. 47). Da qui l’astoricismo evoliano che, in Cavalcare, si trasformerà in apolitìa: «Solo l’idea è la vera patria» (p. 57).I contenuti de, Gli uomini e le rovine, sono stati un antidoto alla modernità: oggi possono svolgere il medesimo ruolo nei confronti della società liquida, sua succedanea.
Giovanni Sessa