Gli Dèi di Roma nel Solstizio d’Estate – Vesta, Vergine e Madre – Paolo Galiano ©
“Il Solstizio [d’Estate] cade al ventiquattro di giugno.
Questo è il grande cardine dell’anno e grande evento nel mondo”.
(PLINIO Nat Hist XVIII, 68, 264)
LE DIVINITÀ DEL SOLSTIZIO D’ESTATE
La concezione dei Romani circa il fluire del tempo si basava sulla certezza che nel ritmo calendariale si manifestassero divinità le cui molteplici funzioni si armonizzavano in un complesso insieme di significati (1), che si intersecavano formando un unicum che sfugge alla mentalità razionale e “scientifica” dell’età moderna.
Il particolare significato del Solstizio d’Estate per i Romani era legato al fondamento su cui si basava il loro calendario, un calendario lunisolare basato sui movimenti sia della Luna che del Sole, movimenti inconciliabili data la differenza in giorni tra i due fenomeni celesti: il Sole compie il suo movimento in poco più di 365 giorni, mentre la Luna completa il suo giro intorno alla terra in media in 27 giorni, per cui un anno lunare di 13 lunazioni è il più prossimo ad un anno solare. Per questo motivo Giugno era considerato il centro dell’anno, la settima lunazione su tredici totali, e questo dava al mese il particolare significato di fine di un ciclo, conclusione di un primo semestre e cardine intorno al quale “gira” l’intero anno, ed infatti la prima divinità celebrata nel mese è Carna, la divinificazione del cardine.
Da un punto di vista astronomico e al tempo stesso interiore (“Ciò che è in alto…”) nel mese di Giugno il Sole si trova tra il periodo della sua massima potenza e l’inizio del decadere di essa a mano a mano che si procede verso l’Equinozio d’Autunno e questa situazione di equilibrio tra i due momenti si esprime a Roma nella presenza di divinità aventi un particolare carattere “unitivo” e “protettivo”.
Giugno è il mese dell’unione (Juno, la Dèa che apre il mese insieme a Carna, ha comune radice con iunctio), nel quale si risolvono con l’atto matrimoniale i due bimestri precedenti, il maschile Febbraio-Marzo, centrato sui Lupercalia di Febbraio e sulle celebrazioni dei Sacerdotes Saliares in onore di Mars a Marzo, ed il femminile Aprile-Maggio, mesi nei quali le principali divinità sono Venus, Fortuna e Bona Dèa; in Giugno una particolare protezione viene data alla donna che lascia la sua gens per entrare a far parte di quella del marito (2) nei Matralia dedicati alla Mater Matuta. La iunctio si estende al di là degli individui nel patto di alleanza tra il popolo romano e gli altri popoli, patto protetto dagli Dèi che sanciscono il trattato.
In questa duplice azione unitiva si attua l’azione di divinità sia maschili (Mars alle Kalendae, Hercules Custos e Dius Fidius nella prima metà del mese e Juppiter nella seconda metà, nella sua forma di Summanus, lo Juppiter “notturno”, in quanto Summanus si può far derivare da “sub mane”) che femminili (Juno Moneta, Bellona, Mater Matuta e Fortuna Virgo). Gli Dèi maschili sono specificatamente protettori del patto tra gli uomini e tra le nazioni: Hercules evocato come custode, Dius Fidius che sancisce la fedeltà al patto e Summanus che punisce con la folgore, mentre le divinità femminili hanno caratteri molteplici, Juno è connessa soprattutto al matrimonio, Bellona analogamente a Dius Fidius e a Summanus punisce i popoli che vengono meno ai trattati con Roma per mezzo dei Sacerdotes Fetiales (3), Mater Matuta è, come sopra detto, protettrice delle matrone nella loro condizione originaria di appartenenza alla propria gens di provenienza.
Perché l’operazione unitiva sia completa è necessario sorvegliare che “dal di fuori”, spiritualmente inteso, non entrino influenze negative nel cerchio che si andrà a comporre: da qui la presenza di Mars all’inizio del mese, celebrato con la dedicazione del suo tempio più importante fuori Porta Capena (l’attuale Porta San Sebastiano sulla via Appia), il tempio dove venivano convocate le legioni prima che partissero per le operazioni belliche e da cui prendeva avvio la parata degli Equites per la Transvectio Equitum di Ottobre. Mars solo in un secondo tempo divenne il Dio della guerra, ma nella Roma delle origini era il Dio protettore del limite che sorveglia in armi i confini, sia il confine del territorio nei rituali degli Ambarvalia e dell’Amburbium, sia i cittadini nel loro insieme nella lustratio quinquennale, sia il singolo cittadino alla sua nascita con la presenza di una sua funzione personificata, la Parca Martia.
Giugno è anche l’ultimo mese del primo semestre, ed ha quindi i caratteri proprii a tale periodo di apertura−chiusura che si rivelano nei riti di Vesta, in cui il suo tempio viene aperto alle donne e poi chiuso nuovamente nei giorni del Vesta aperitur e Vesta cluditur, quasi a somiglianza del tempio di Janus per i tempi di pace e di guerra. A questa fine dell’anno corrisponde un periodo di caoticità, donde la presenza di Fors Fortuna proprio il giorno del Solstizio, motivo per cui il suo tempio era in Trastevere, fuori della città e del pomerio sacro; Fortuna era celebrata al 24 Giugno, data per i romani del Solstizio d’Estate, “grande cardine dell’anno” come dice Plinio (4), e fine del primo semestre, apertura temporanea al “fortuito” nel periodo di tempo “vuoto” che precede il Novilunio di Luglio, inizio del secondo semestre.
Tra tutti gli Dèi e le Dèe del mese di Giugno diremo in particolare di colei che si situa al centro di questo mese, che a sua volta costituisce il centro dell’anno romano: Vesta.
VESTA, LA DÈA DEL FOCOLARE
Vesta è Dèa antichissima (5), e, anche se non è nota l’esistenza di un Flamen Vestalis, a meno che questi non sia da identificare con il Pontifex Maximus, il quale nei confronti delle Vestali aveva le prerogative di un padre e di un marito, così come a loro volta le Vestali erano vergini ma allo stesso tempo madri di ogni civis romano (l’eventuale rapporto sessuale tra una di esse ed un cittadino comportava l’accusa di incestus, col significato di rapporto tra consanguinei).
La Dèa, non ostante le interpretazioni antiche e moderne, nulla ha a che vedere con Hestia, apparentemente sua omologa nel mondo greco: se Hestia deriva da una radice *sueit con significato di bruciare, per cui Hestia è *suit-tia “il fuoco del focolare”, Vesta origina da *wes (6), “abitare, dimorare”, e quindi è la divinità del focolare e della casa stessa, la quale in un certo senso custodisce tra le sue pareti il focolare, ma non è il fuoco stesso.
La concezione della divinità del fuoco e del focolare che ne è il “luogo” è comune presso i popoli indoeuropei, e in particolare le tradizioni dell’India e di Roma sulla sacralità del fuoco possono essere sovrapposte e si spiegano reciprocamente, avendo sempre presente la differenza tra i due sistemi religiosi, più metafisico e minuzioso nella procedura rituale quello indiano, più tecnico e giuridico quello Romano. Il fuoco è sacro perché è, in primo luogo, il mezzo del sacrificio; per mezzo di lui l’oblazione viene trasformata in fumo che può giungere agli Dèi: “Il fuoco è concepito nei Veda come il tramite che unisce il mondo degli uomini a quello degli Dèi, poiché egli trasporta in cielo l’oblazione offerta dagli uomini nell’atto sacrificale, dal mondo visibile a quello invisibile” (7). Quindi è sacro il focolare perché è il luogo del fuoco, e se sono sacri tutti i focolari familiari supremamente sacro sarà il focolare dello Stato e quindi chi lo accudisce.
Il fuoco è il tramite tra l’uomo e il cielo, Dyaus (da cui Dyaus Pater, Juppiter): “Il cielo azzurro fu la più antica divinità degli Arii e verso di esso fiammeggiava la vampa, quasi dalla terra al cielo trasportando le preghiere e le offerte degli uomini” (8). E aggiunge Giamblico: “L’offerta dei sacrifici consuma la sua materia nel fuoco che la assimila a sé e la rende non simile alla materia ma la trasforma in fuoco divino, celeste, immateriale… Così noi siamo elevati nei sacrifici e portati dalla purificazione del fuoco al fuoco degli Dèi, come il fuoco riduce le cose pesanti e dure alle divine e celesti” (9).
Il culto di Vesta risale alla prima Età Regia, ma sicuramente si tratta della prosecuzione di una forma di culto ancora più antica, che si può far risalire almeno al periodo della presenza dei Siculi sul Palatino (Età del Bronzo Medio, secondo Carandini), quando Caca, la sorella-figlia-moglie di Caco (indistinzione caotica del ruolo tipica delle età più arcaiche), era la sacerdotessa del Fuoco del Re.
Vesta è la Dèa del focolare come luogo di manifestazione del Fuoco, potere generatore; nella concezione sacrale dei Romani, come di altri popoli indoeuropei, è il fuoco l’elemento generatore che feconda attivamente il focolare, il quale costituisce l’elemento passivo della coppia, e “il bambino appena nato veniva omologato al tizzone e cioè al frutto nato dal fuoco, sperma pyròs, che era stato deposto nella matrice-focolare della moglie dal padre” (10). Il potere generatore a Roma si identifica con Mars e con Volcanus, ambedue Dèi generatori ma sul piano materiale (Marte come Vulcano è padre di eroi fondatori: Caco a Roma e Ceculo a Praeneste figli di Vulcano, e Modio Fabidio a Cures e Pico ad Alba, figli di Marte, come i due Gemelli) e non su quello cosmico.
Ci sembra quindi corretto quanto scrive Baistrocchi: “Tale attribuzione [di paredro di Vesta] dovrebbe con ogni verosimiglianza essere riservata a colui che precede tutti gli altri Dèi, Janus Pater, il fuoco celeste che costituisce l’origine prima, il Principio di ogni generazione” (11).
Dumézil ha dimostrato (12) il rapporto tra Janus e Vesta dal punto di vista rituale: se il Rex Sacrorum è il sacerdote di Janus, il Pontifex Maximus per la sua stretta correlazione con Vesta e le sacerdotesse Vestali può essere considerato il sacerdote della Dèa, e in tal caso l’ordo sacerdotum riportato da Festo, cioè l’ordine in cui prendevano posto nei banchetti sacri i primi cinque sacerdoti di Roma, manifesta in modo chiaro che il sacerdote di Janus è il primo e quello di Vesta l’ultimo, così come da altri scrittori romani viene affermato che spetta nelle preghiere e nei sacrifici il primo posto a Janus e l’ultimo a Vesta (13): il primo apre, essendo questa la sua funzione in modo eminente, e la seconda, punto di contatto tra il mondo degli Dèi e quello degli uomini, chiude ogni atto religioso.
Ma non è solo sul piano metafisico e liturgico che Vesta e Janus sono accomunati: sul piano fisico a Vesta, che è la casa, il focolare, il penus, la dispensa che conserva la ricchezza prodotta dall’uomo e il posto più interno della casa in cui sono conservati i beni accumulati, corrisponde Janus, il Dio che presiede ai passaggi e alle strade, rector viarum, e quindi anche al movimento delle greggi e ai lavori dei campi e più in generale alla circolazione della ricchezza, Janus a cui “è riconosciuta la paternità del denaro, il cui nome latino pecunia conserva in modo trasparente la sua connessione con le mandrie” (14). Quindi ambedue sono fonte e luogo della ricchezza materiale che gli Dèi concedono all’uomo.
La capacità generatrice di Janus come fuoco è connessa alla sua identificazione con il Sole, come scrive Macrobio nei Saturnali (15): “Chiamarono Apollo Patrôos non per il culto particolare di una stirpe o di una città, ma come autore di ogni generazione: il sole, prosciugando l’umidità, diede origine alla vita… Per questo anche noi chiamiamo Giano padre, venerando con tale nome il sole”.
Questo consente di ampliare ulteriormente il discorso sul significato di Janus, divinità complessa e misteriosa in quanto primordiale e quindi poco comprensibile già per gli stessi Romani: Janus è il Sole ma è soprattutto il principio del Fuoco cosmico grazie al quale viene in essere la creazione, e questo si manifesta nel rito di accensione e spegnimento del fuoco di Vesta il primo giorno di Marzo, quando quello che si spegne è il fuoco materiale mentre quello principiale rimane eternamente perenne: “Lo spegnimento del Fuoco adombra il processo dell’ecpirosi e cioè il passaggio, attraverso la totale combustione e quindi l’esaurimento di tutte le potenzialità della Manifestazione, nell’immobilità assoluta, nell’Immanifesto, mentre la sua accensione simboleggia il passaggio da tale stato al mondo manifestato” (16).
Ciò non significa che Janus o Volcanus o Mars siano da considerare i “coniugi” di Vesta (come si può vedere nella tarda ricostruzione del Portico degli Dèi Consenti fatta da Vettio Agorio Pretestato nel 367 d.C., dove Vulcano e Vesta erano in coppia (17) ): Vesta è eternamente Vergine ed eternamente Madre, in quanto funzione di Vesta è avere in cura il creato e mantenerlo in essere secondo l’Ordine divino. Per questo nella sua custodia sono il Palladio di Troia (simbolo della continuità della Tradizione dall’italico Dardano alla Samotracia dei Misteri Cabìrici e a Troia per poi tornare di nuovo in Italia con Enea nella terra del Latium Vetus), i Penates, cioè gli Antenati divinizzati dei cives romani che rappresentano la prosecuzione nel tempo della stirpe, e forse il fascinus, il simulacro del fallo generatore (18): sono questi i Pignora custoditi nel penus del suo tempio, poiché degli altri Pignora è esplicitamente detto trovarsi in altri luoghi (19).
Un argomento non condividiamo della sapiente ricostruzione del rapporto tra Vesta e Janus fatta da Baistrocchi, là ove egli definisce Vesta come simbolo della creazione scrivendo: “La Dèa impersonava anche la maternità esuberante e prolifica e quindi, più in generale, la fertilità inesauribile della natura” (20): Vesta non è collegata, neanche nei miti tardivi, alla procreazione ma è sempre Vergine e tale rimane pur avendo l’appellativo di Madre. L’episodio raccontato da Ovidio di un tentativo da parte di Priapo di violarla rimasto senza successo ne è un chiaro indizio (21).
Vesta è quindi la Vergine Madre, a lei non spetta la creazione di qualcosa, come per Tellus o Ceres o le altre Grandi Madre romane, le quali hanno cura della generazione delle messi come delle mandrie e degli stessi umani, ma è eternamente Vergine ed eternamente Madre di tutto ciò che viene all’esistenza. Il suo essere “la casa del fuoco” ed il prototipo della Matrona, della padrona della casa, richiama alla mente una figura di divinità anch’essa Vergine e Madre, il cui unico figlio nasce da un rapporto magico e non fisico: intendiamo Iside, il cui nome si scrive con il geroglifico st, “trono”, simbolo del potere che in essa risiede e che si manifesta nella sua capacità di essere la Maga per eccellenza.
Sarebbe infine da esaminare in che modo sia possibile un accostamento di queste due Vergini Madri con una terza figura di Vergine Madre, Maria madre del Cristo, ma questo ci porterebbe troppo lontani dall’argomento del presente articolo.
Come scrive Sabbatucci, il quale meglio di molti altri ne ha compreso il significato religioso e metafisico: “Vesta non era né la terra né il focolare ma una centralità-interiorità cosmica, che poteva essere rilevata nello spazio domestico (l’atrio e il focolare), così come nello spazio assoluto [perché il suo tempio è circolare, simbolo dell’infinito] o come nel tempo [in quanto annus, anno, è correlato ad anulus, cerchio, e circolare è la forma del tempio di Vesta]” (22).
Le sue sacerdotesse erano le vergini Vestali, in origine figlie di famiglia patrizia (come patrizia erano Caca, sorella-moglie del Re Caco, e Rea Silvia, figlia del Re Numitore e madre dei Gemelli). Le funzioni delle Vestali erano molteplici: oltre ad accudire il tempio della Dèa e a vegliare il Fuoco perché non si spegnesse mai, avevano il compito di preparare tre prodotti particolari (23) che venivano utilizzati in molte cerimonie: il suffimen (adoperato nelle purificazioni dei Parilia di Aprile), la mola salsa (una focaccia fatta con il sale ed il farro della raccolta primiziale di Maggio, che era usata nei riti sacri e costituiva in particolare l’offerta da fare a Vesta) e la muries (sale cotto al forno e poi triturato e messo in salamoia in acqua di fonte) (24).
Le cerimonie a cui prendevano parte le Vestali erano numerose e si andarono man mano arricchendo fino all’età imperiale. Tra di esse vogliamo solo ricordare i Parentalia di Febbraio, in cui la Vestale Massima celebrava per conto dello Stato la parentatio alla tomba di Tarpea; la cerimonia delle Kalendae di Marzo, in cui veniva spento e riacceso il fuoco sacro del tempio di Vesta; i Fordicidia di Aprile, quando le ceneri dei feti di vacche gravide sacrificate a Tellus venivano recati alle Vestali per la preparazione del suffimen; i Parilia sempre in Aprile, giorno in cui le Vestali distribuivano il suffimen da loro preparato per i riti di purificazione; la partecipazione alle Eidus di Maggio alla cerimonia del lancio dei simulacra degli Argei dal ponte Sublicio; i Consualia di Agosto, in cui le Vestali celebravano il rito con il Flamen Quirinalis, e i successivi Opeconsivia dello stesso mese, celebrati nel sacrario della Regia dedicato ad Ops, accessibile solo al Pontifex Maximus e alle Vestali; la festa di Bona Dèa a Dicembre, celebrazione notturna da parte delle matrone e delle Vestali (equiparate quindi alle matrone pur essendo virgines) (25).
Vogliamo infine ricordare come nel 394 d.C. Teodosio abrogò definitivamente con il suo editto i culti degli Antichi Dèi di Roma: conosciamo bene la fine di quello di Vesta , perché Zosimo (26) ci ha lasciato una vivida descrizione dell’ultimo insulto alla Dèa e della punizione di chi lo aveva commesso.
Nel settembre 394, con la sconfitta da parte di Teodosio dell’imperatore Eugenio, eletto dai senatori gentili di Roma, le ultime vestigia dei templi e dei riti romani vennero distrutte per ordine dell’imperatore e le Vestali allontanate dal tempio e dall’Atrio di Vesta, ma in modo onorevole e senza essere perseguitate, come successe invece ad altri ordini sacerdotali (pensiamo per esempio ai sacerdoti di Mithra, trucidati dai fanatici cristiani, e ai suoi luoghi sacri, devastati e occultati sotto le macerie). Come scrive Lanciani (27), che aveva riportato alla luce l’Atrio di Vesta: “Le nostre Vergini non contaminarono gli ultimi anni della loro vita con innovazioni alla prisca purezza del rito: esse caddero, come suol dirsi, tutte d’un pezzo, fedeli al loro istituto undici volte secolare, scevre da ogni sospetto di cattiva condotta e rispettate anche dagli avversari”.
A lungo i sacri luoghi non vennero turbati dalla plebe che ormai vi aveva accesso, essendo divenuti proprietà del demanio imperiale, e, prosegue Lanciani, “non fu danneggiata la fabbrica, né fu recato oltraggio alle opere d’arte che conteneva. Noi abbiamo ritrovato statue, busti, piedistalli in perfetto stato di conservazione, e talvolta non mossi di posto”.
Nel 401, Serena, figlia di Teodosio, osò rubare un monile d’oro dalla statua di Vesta (significativo il fatto che fino ad allora nessuno lo avesse toccato): “Serena, deridendo queste cose [cioè i riti aboliti dal padre], volle visitare il tempio della Gran Madre (28): appena vide che la statua di Rhea portava al collo una collana degna del culto riservato ad una, la tolse dal collo della statua e la mise al suo. E quando una vecchia, una delle vergini Vestali che era rimasta, le rinfacciò la sua empietà, essa la oltraggiò. Allora costei lanciò contro Serena, il marito e i figli tutte le imprecazioni che il suo atto sacrilego meritava… E la Giustizia riuscì a compiere il suo dovere: Serena non poté sfuggire al suo destino ma porse al cappio quel collo che aveva cinto con l’ornamento della Dèa” (29).
Note:
- Su questo argomento rinviamo al nostro saggio Il tempo di Roma – Dèi e feste nel calendario di Roma, ed. Simmetria, Roma 2013, da cui questo articolo attinge parte dei dati.
- Non diversamente la Liturgia Romana prevede una particolare benedizione alla sposa, benedizione che non può essere ripetuta in caso di seconde nozze legittime, quasi costituisse un segno indelebile, analogo a quello proprio al sacerdote all’atto della Consacrazione (si veda BARUFFALDI Ad Rituale romanum commentaria, 1752 Venezia pag. 210).
- I Fetiales sono originariamente sacerdoti di Juppiter Feretrius (il cui antichissimo culto venne istituito dallo stesso Romolo) e solo in un secondo tempo divengono sacerdoti di Bellona, in quanto agiscono davanti al suo tempio. Poiché Bellona è detta uxor Martis, possiamo pensare che in realtà sia avvenuto il contrario, cioè che un rito originariamente appannaggio di Mars sia passato a Juppiter per poi fare ritorno al suo vero “titolare” nella forma personificata di una sua funzione (Bellona da bellum).
- PLINIO Nat Hist XVIII, 68, 264: “Il Solstizio [d’Estate] cade al ventiquattro di giugno. Questo è il grande cardine dell’anno e grande evento nel mondo”.
- Di Vesta, dei suoi riti e delle sacerdotesse Vestali che ne curavano il culto abbiamo trattato in un saggio a lei dedicato (GALIANO Vesta e il fuoco di Roma, ed. Simmetria, Roma 2011), dal quale riprendiamo qui alcuni temi principali, rinviando al testo citato per una più completa conoscenza dell’argomento..
- DEVOTO Origini indoeuropee – Il lessico indoeuropeo, Firenze 1962, Tabelle n° 441.
- FILIPPANI RONCONI Agni-Ignis, metafisica del Fuoco sacro, in “La Cittadella” anno I, 2001, 4.
- GIANNELLI Il Sacerdozio delle Vestali romane, Firenze 1913 pag. 10.
- GIAMBLICO De Misteriis, cit. in VIGNA Roma, simbologia del periodo regio, Roma 1998 pagg. 80-81.
- BAISTROCCHI Arcana Urbis, considerazioni su alcuni rituali arcaici di Roma, Genova 1987 pag. 192.
- BAISTROCCHI Arcana Urbis cit. pag. 190; per il complesso argomento del significato di Janus e del suo rapporto con Vesta rimandiamo ad un’attenta lettura del capitolo V del testo di Baistrocchi intitolato Il fuoco sacro: Giano e Vesta pagg. 188-248.
- DUMÉZIL Juppiter, Mars, Quirinus, Torino 1955 pagg. 342-349
- DUMÉZIL riporta tra le altre conferme della sua asserzione la serie delle divinità invocate nelle preghiere degli Atti dei Fratelli Arvali, alcuni passi di Ovidio e di Cicerone ed altre possibili concordanze, per cui si rimanda al luogo citato.
- BAISTROCCHI Arcana Urbis cit. pag. 222 nota 73.
- MACROBIO Saturnalia I, 17, 42.
- BAISTROCCHI Arcana Urbis cit. pag. 205.
- BARTOLI Il Foro romano e il Palatino, Milano 1924 tav. 26.
- PLINIO affermava che tra i pignora conservati nel tempio di Vesta vi fosse la raffigurazione di un membro virile: “Fascinus inter sacra romana a Vestalibus colitur” (Naturalis Historia XXVIII, 39).
- Il loro elenco è riportato da SERVIO in una nota all’Eneide (Ad Aen VII, 188).
- BAISTROCCHI Arcana Urbis cit. pag. 195.
- OVIDIO (Fasti VI 318 – 347). Priapo è la brama maschile priva del controllo della volontà, forza generatrice cieca che nulla ha a che vedere con la capacità creatrice del Fuoco, per cui non può in alcun modo congiungersi con la matrice di ogni potenziale creazione, eternamente Vergine.
- SABBATUCCI La religione di Roma antica, ed. Il saggiatore, Milano 1988 pag. 205.
- Si veda Vesta e il Fuoco di Roma cit. pagg. 61-62.
- L’acqua di acquedotto era proibita per qualunque uso nel tempio di Vesta, per cui si poteva utilizzare solo quella proveniente dalla sorgente della ninfa Egeria, come Numa aveva prescritto (PLUTARCO Vita Num 13).
- SABBATUCCI pagg. 161–163. Nella prima celebrazione di Bona Dèaall’1 Maggio non si fa parola della presenza delle Vestali: questa si svolgeva nel tempio della Dèa sull’Aventino, mentre quella di Dicembre nella casa di un magistrato in possesso dell’imperium. Secondo PLUTARCO (Vita Caes, 9) “le donne mentre sono sole si dice che compiano molti riti assai simili a quelli orfici”.
- ZOSIMO Storia nuova, ed. Rusconi, Milano 1977, V, 38, 3–4-
- LANCIANI L’Atrio di Vesta – Notizie degli scavi del mese di dicembre 1883, Roma 1884 pag. 50.
- LANCIANI pag. 53 ritiene che Zosimo intenda riferirsi a Vestae al suo tempio, dato che poi parla di una “vecchia Vestale”.
- La condanna a morte di Serena fu causata dal sospetto che essa avesse stretto alleanza segreta con Alarico contro l’Imperatore.