Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Giovanni Paolo Lomazzo e l’Accademia dei Facchini – Giovanni Antonio Bassoli
NELLA VAL DI BLENIO
UN GRUPPO DI ARTISTI INIZIATI NELLA MILANO DI “SAN” CARLO BORROMEO
Stiamo passeggiando nella cinquecentesca Milano dei Borromeo, la città è già da tempo fiorente crocevia di commercio della fabbricazione di armi, dell’arte e del tessile. Il castello sforzesco ed i navigli si ampliano e vi è grande estensione del famoso Duomo tanto è vero che viene completamente consacrato nel 1577, a quasi duecento anni di distanza dalla sua fondazione. (1)
Le maestranze, per lavorare all’immenso cantiere dell’epoca, arrivano da molti territori circostanti, un po’ come succede adesso, tanto che la parola lombarda magütt che significa muratore, deriva dal cantiere del Duomo nel quale venivano assunti i molti carpentieri, testimoniati dal libro paga che ne definiva la mansione, artigiano per artigiano: Tomasus d’Arcisate Magister carpentarius; Matteus Bossi, Magister carpentarius; Antonius da Tradate, Magister carpentarius, Warmondo da Genava Magister Ut Supra …. abbreviato poi in Mag.Ut (Supra) = Magütt. (2)
Mi piace anche sottolineare che possiamo considerare il muratore che sa fare bene il suo mestiere uomo apprezzato e ricercato: per questo il termine “magüt” non significa un semplice operaius che lavora in un cantiere edile, ma uno che si distingue per le sue capacità di maestro, come nella simbologia cara ai Maestri Cumacini, di cui tratteremo successivamente. (3)
Sebbene la città ancora oggi sia nota più per il commercio, la finanza e l’industria e forse un po’ anche per l’antipatia degli autoctoni, l’arte, e lo dico con una punta di campanilismo, tra il tardo medioevo e il pieno rinascimento, ha lasciato una traccia importante, che non ha nulla a che invidiare alle innumerevoli città italiane giustamente famose per la loro storia e le meraviglie che in esse albergano.
(Aurelio Luini, Ol compà Digliagòr e Ol compà Braghetògn, caricature di accademici della Val di Blenio, Milano, Biblioteca Ambrosiana)
L’ineffabile stile medioevale lombardo, famoso nel mondo, e la successiva storica residenza di Leonardo in Milano, infatti, diedero i natali alla bellissima scuola detta appunto leonardesca che principiò lo stile rinascimentale lombardo, ammantato dalle caratteristiche brume, ormai ad oggi purtroppo sparite dalla campagna, e dalla tenue poesia dei colori, godibile nelle tavole e negli affreschi del Luini, dello Zenale, del Solario, di Marco d’ Oggiono, dello stesso Leonardo e della scuola di Giovan Paolo Lomazzo, Abate dell’Accademia dei Facchini della Val di Blenio. Lo sfarzoso Cinquecento, tuttavia, epoca del pieno Rinascimento, recava in sé qualche crepa che il Manierismo, insieme con le crisi politiche e sociali, metteranno in luce con grande evidenza.
Il mio relatore di tesi in Accademia avrebbe detto che il Manierismo è la crisi del Rinascimento, è il cuneo che spezza la limpida armonia degli impianti matematici dell’arte rinascimentale, distorcendone le anatomie, aumentando i contrasti di chiaroscuro e di luce in totale sintonia con un’epoca nella quale il buio spettro della Controriforma, soprattutto nei secoli XVI ed XVII, permeava ambienti culturali, artistici e la vita tutta del territorio italico e dell’operosa città. Addirittura l’Inquisizione istituì un ufficio apposito per la cancellazione e/o la modifica di soggetti ritenuti inopportuni nelle rappresentazioni sacre, da cui il celeberrimo episodio romano del povero Daniele da Volterra al quale fu commissionata la cancellazione dei nudi michelangioleschi nella Cappella Sistina facendogli conquistare il soprannome di Braghiere o Braghettone.
Come sappiamo, l’insegnamento magico nel mondo mediterraneo pagano e politeista era ampiamente diffuso in arte statuaria e pittorica, diversamente dal Medioevo durante il quale i testi d’Alchimia erano celati in innocue storielle religiose di cui si poteva godere ed interpretare il significato reale solo se in possesso delle chiavi adatte e dell’iniziazione ad essi collegata. Se infatti si fosse stati tacciati di stregoneria è noto che, come avrebbe detto il mio Maestro, forse ricordando esperienze passate, si avrebbe avuto il riscaldamento assicurato.
Dagli artisti del Medioevo in poi, tuttavia, si ebbero molteplici e profondi collegamenti con il mondo della Magia, anche nell’epoca rinascimentale di cui trattiamo. Da un lato perché l’arte, da tempi immemori, si rivela il veicolo principale della trasmissione del pensiero spirituale, dall’altro perché per la fabbricazione e la sperimentazione dei materiali quali colori, lapidei, vetri e soprattutto i metalli, si sfociava quasi sempre in tecniche scientifiche a cavallo con il mondo di mezzo quali l’alchimia e la magia di rispondenza.
(La medaglia di Annibale Fontana)
In questo contesto opera il milanese Giovan Paolo Lomazzo (1538/1562) pittore e trattatista, attestatosi ad artista di fama ed autore di numerosi affreschi in diverse aree della Lombardia in provincia di Varese ed a Milano. Il Lomazzo risulta senz’altro più noto all’interno della letteratura della storia dell’arte che in quella dell’alchimia tradizionale (4) se non fosse per la conduzione di un gruppo di artisti assai interessanti su cui poniamo l’attenzione: l’Accademia dei Facchini della Val di Blenio (5). L’appellativo umoristico, che mi ricorda molto i lazzi che anche io faccio con amici artisti e restauratori quando si lavora insieme in cantiere o in laboratorio, nasceva nell’Accademia dalla parodia dell’uso di forme dialettali simili a quello dei facchini che giungevano a Milano dalle valli ticinesi per trasportare beni e laterizi ad uso della costruzione del Duomo.
Gli oriundi lombardi sanno che il dialetto milanese e comasco è analogo a quello del vicino Canton Ticino e che, con la spocchia tipica dei meneghini, viene a volte dileggiato come strambo vernacolo proveniente dalle operose valli contadine lontane dalla mondanità materialista che già all’epoca, forse, caratterizzava Milano. Alcuni degli appartenenti dell’Accademia erano personaggi piuttosto importanti nella Milano rinascimentale: il ricamatore e grafico Scipione Delfinone, diversi pittori fra i quali Aurelio Luini, figlio del notissimo Bernardino, e Ottavio Semino, il musicista organista del Duomo e compositore di madrigali Giuseppe Caimo, l’ingegnere militare Giacomo Soldati, il bronzista Francesco Brambilla, il gioielliere Annibale Fontana.
Analogamente alla necessità vitale per gli artisti di inventare nomignoli umoristici e goliardici, il curioso appellativo accademico portava un ulteriore livello di lettura: il Gruppo aveva, infatti, un collegamento con gli studi di un importantissimo magista dell’epoca: Cornelius Agrippa di Nettesheim, presente per altro a Milano nella primavera del 1514. (6)
Diversamente da quanto si possa ancora oggi pensare, la pratica dell’alchimia soprattutto in campo letterario ed artistico-pittorico era assai più tollerata e, financo, praticata nei secoli precedenti del buio Medioevo che non nel civile tardo-Rinascimento, come abbiamo già trattato nel breve scritto riferito al MAPPAE CLAVICULA ed alla preparazione alchemica dei colori nel Medioevo apparso in Pagine Filosofali.
L’aderenza alle dottrine del De Occulta Philosòphia di Cornelius Agrippa doveva, di conseguenza, essere necessariamente celata in quanto l’azione della Controriforma nella Milano di “San” Carlo Borromeo era particolarmente efficace, come Agrippa stesso ebbe modo di constatare, nel contrastare l’eresia che per altro in terra lombarda era assai diffusa, lontana dall’idillio neoplatonico della corte dei Medici.
L’opera di gruppo dell’Accademia si concretizzava nei Rabìsch (arabeschi, cioè “grotteschi”), opere di grafica scritte nel bizzarro impasto di diversi idiomi (oltre dialetto milanese “facchinizzato”, vi erano digressioni in italiano, bolognese, spagnolo) che si collega al latino maccaronico di Teofilo Folengo citato esplicitamente nei Rabisch rivelando altresì tracce delle dottrine proibite tratte dal De Occulta Philosophia. (7)
Fortunatamente il Lomazzo, eletto a leader del gruppo artistico con il Nome (ritualizzato?) di Cumpà Zavargna e con l’altisonante grado di Nabad (= Abate) dell’Accademia, aveva ottimi rapporti con i Borromeo che gli poterono dare appoggio e copertura per la composizione dell’interessantissimo testo dei Rabisch di cui i lettori più appassionati non possono trarne insegnamenti magici ed alchemici, analoghi ai superbi codici di Leonardo da Vinci che, indagando la forma ed il movimento della Natura ripercorrono le fasi della Creazione. (8)
Il gioco magico-grafico-letterario dei Rabisch racconta di grottesche trasformazioni caricaturali e chimeriche di cui il ‘500 è il periodo forse più fertile insieme con la conoscenza delle grotte alchemiche care all’alchimia tradizionale cioè di stanze nelle quali, avendo la possibilità di accedere in astrale o, si dice a Torino anche fisicamente, sono riassunte nella storiella che conclude la seconda parte dei Rabisch nelle Sei Grotte del Toscano rivolte a Cumpà Zavargna ; l’autore nelle rime italiane parla di una Grotta sferica, di una Grotta de’ chiechi, di una Grotta aperta, di una Grotta Ieroglyphica, di una Grotta Buia, di una Grotta Fatifica, di una Grotta Allegorica e di una Grotta morale, probabili allegorie degli stati di trasformazione dell’essere che l’umano attraversa per le distillazioni nella Via alchemica.
Apriremmo una trattazione interminabile relativa all’eredità leonardesca relativa, per esempio, alle Profezie scritte da Leonardo insieme con i meravigliosi disegni delle sue enigmatiche teste grottesche che erano «sparse per tutto il mondo» come avrebbe affermato Lomazzo nel cap. XVI dell’Idea del tempio della pittura e che sicuramente circolavano nella Milano tardo cinquecentesca soprattutto all’interno dell’Accademia. (9)
Questa curiosa arte figurativa del Lomazzo e dei suoi accademici si legava dunque strettamente, secondo la riformulazione rinascimentale dell’oraziano ut pictura poësis, alla loro produzione scritta e praticata all’insegna del dio Bacco: una scrittura irregolare, stravagante e plurilingue che aveva tra i tanti modelli il Burchiello, il Doni, il Bellincioni e il Folengo, ma anche la nascente Commedia dell’arte. Per uno studio più approfondito sugli affascinanti Rabisch, almeno a livello grafico-letterario, ed alle loro implicanze rimando alle approfondite ricerche soprattutto di Dante Isella ed alla bibliografia e sitografia.
Note:
(1) Milano in Enciclopedia Treccani on line https://www.treccani.it/enciclopedia/milano_%28Enciclopedia-Italiana%29/;
(2) Bernardino Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Bernardoni Milano 1853;
(3) Magistri Cumacini;
(4) Giovanni Paolo Lomazzo “Trattato dell’arte della pittura, scultura ed architettura” pubblicato nel 1584;
(5) Dante Isella Lombardia stravagante: testi e studi dal Quattrocento al Seicento tra lettere e arti, Torino: Einaudi, 2005;
(6) E. C. Agrippa: La filosofia occulta o la Magia, a cura di Arturo Reghini Mediterranee Roma 1972;
(7) Meroi, E. Scapparone: Magia ed ermetismo nel Cinquecento religioso italiano: una questione controversa. Atti del convegno Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. 2-4 ottobre 2003;
(8) Enea Pezzini Significato storico e lettura dei Rabisch di Giovanni Paolo Lomazzo;
https://journals.openedition.org/italique/735
(9) Marco Versiero Leonardo profetico in https://journals.openedition.org/laboratoireitalien/1950?lang=it.
Giovanni Antonio Bassoli