Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Giorgio Locchi tra l’oltreuomo e il tempo a tre dimensioni – Umberto Bianchi
A dire la verità, mi sono avvicinato alla figura di Giorgio Locchi in età “tarda” o, quantomeno, lo conoscevo in quanto co-autore assieme ad Alain De Benoist de il classico e mai datato “Il male americano”. Nella mia mente questo autore rimaneva uno dei tanti, sicuramente blasonati, nomi della Nouvelle Droite francese (ed italiana), uno tra i cultori di un pensiero “scomodo” che, in un continuo lavoro di rielaborazione teoretica, muoveva tra mille difficoltà, i suoi passi, nella Francia post-sessantottarda. Ma nulla più. Curiosando tra gli scaffali della libreria “Europa”, mi sono trovato di fronte ai suoi testi e, colto da un improvviso raptus di curiosità, ho iniziato man mano a scorrere le pagine di testi il cui spessore intellettuale mi ha fatto scoprire un mondo e delle prospettive che, a parte lo spessore di Alain De Benoist, rappresentano una singolare deviazione dalle linee guida di certa Destra (specialmente da quella nostrana…).
Personaggio veramente “sui generis” Locchi. Mandato da “Il Tempo” di Renato Angiolillo, quale corrispondente nella Parigi degli anni ‘50, sino ad unirsi, come abbiamo già visto, sul finire degli anni ‘60 all’ “ensemble” intellettuale di Alain De Benoist, fondando assieme a questi ed altri autori, come Dominique Venner, il GRECE. Successivamente, la sua casa a Parigi divenne poi, un punto di riferimento e d’incontro per molti nostrani intellettuali di area non conforme che ivi si recavano per ascoltare il Nostro il quale, altra sua peculiarità, ha lasciato pochi scritti all’attenzione dei posteri. Cominciamo con il dire che, Giorgio Locchi può essere considerato un “nicciano” molto sui generis.
Al centro della sua analisi lo scontro tra due diverse concezioni del tempo e della Storia. Da una parte, quella lineare di derivazione giudeo-cristiana che vede nella Storia un processo unilineare, tendente ad un fine ultimo e cioè quello della realizzazione della Gerusalemme e del Regno dei Cieli in Terra. In quanto unilineare questa concezione è anche omologante, ovverosia tutti gli uomini sono eguali davanti all’unico Dio. Questa concezione “egualitarista” finisce poi con il trasporsi sul piano politico-economico dando luogo a tutte le narrazioni ideologiche materialiste dal liberalismo al marxismo, egualmente animate da un’unico filo conduttore: la Storia umana tende ad un unico fine che, nel caso del liberalismo è quello della fine della politica e e degli stati nazionali (la “Fine della Storia” di F. Fukuyama, sic!) nel nome del sopravvento di un’economia capitalista destinata a regolare in modo totale la vita di un individuo (il cosiddetto “ultimo uomo”) che così vivrà unicamente in funzione della soddisfazione e del raggiungimento di un paradisiaco stato di totale benessere materiale.
Nel caso dell’ideologia marxista e progressista, detto stato di “Fine della Storia” si raggiungerà con l’avvento della dittatura del proletariato, che libererà l’uomo dall’asservimento al concetto di classe, nel nome di un’egualitaria redistribuzione dei mezzi di produzione che, in tal modo, permetterà all’individuo-classe liberato, di vivere in uno stato di altrettanta edenica felicità. Unico, grande neo di queste concezioni è la loro innata tendenza ad omologare, uniformare sino a schiacciare l’intera umana vicenda ad un unico motivo conduttore, sino al completo raggiungimento di questo ( la “Fine della Storia”) portando così ad un individuo deprivato della propria carica creativa (l’ “ultimo uomo”). Locchi identifica l’origine di questa tendenza storica nell’imposizione violenta del giudeo-cristianesimo sia nel contesto della civiltà classica di lingua e cultura greco-latina, che nell’immenso areale costituito dalle culture germanico-scandinave ove, a suo dire la resistenza alla penetrazione del cristianesimo è stata più forte e malvolentieri accettata.
E qui si manifesta la peculiarità dell’analisi di Locchi. L’insofferenza all’assoluto dominio della cultura cristiana si sarebbe principalmente manifestato nell’area culturale germanica, attraverso la musica. Alla musica monotonale del canto gregoriano medioevale si sarebbe contrapposta la musica pluritonale e melodica, sino, in un crescendo, ad arrivare alla via retta che dalle melodie barocche di Bach conduce a Wagner, colui che, attraverso la sua musica, inaugurerà il filone “sovrumanista” o “ superomista” che dir si voglia, tanto per intenderci. Richard Wagner è colui che prenderà, raccoglierà quello che è il variegato materiale mitologico germanico, con particolare riferimento alla vicenda dell’Oro del Reno e della saga nibelungica, effettuando una vera e propria rielaborazione mitopoietica di questo materiale.
La vera novità sta nel fatto che, Wagner reinterpreterà tutto l’impianto di questa narrazione mitologica, secondo una precisa idea del tempo che fuoriesce dal classico schema di binaria contrapposizione tra tempo unilineare e finalistico, di stampo giudaico-cristiano e tempo ciclico di matrice politeista. E’ un’idea di tempo tridimensionale, quella che Wagner ci propone. L’intersecazione e la continuità tra passato, presente e futuro, ci mette di fronte ad un concetto che travalica le stesse coordinate della fisica classica e si inserisce a pieno titolo, in quel filone di pensiero che noi possiamo definire quale “demolizione della metafisica” e che ha in Nietzsche ed in Heidegger (ma anche in numerosi altri autori…) i principali cantori. Difatti, il rendere il tempo qualcosa di fluido ed in continuo movimento, conferisce all’idea di Tradizione o locchianamente parlando, di Urgrund/Origine, una valenza nebulosa ed incerta, che fa sì che mito e storia siano all’insegna della medesima incertezza. Ciò determina che sia l’uomo, in quanto heideggeriano “pastore dell’Essere” a decidere della storia e del proprio destino, che, pertanto, rimane aperto a mille possibilità. Ed in questo Locchi ci mette in guardia dall’interpretare il motivo nicciano dell’ “Eterno Ritorno” alla stregua di una rivalutazione del concetto politeista di tempo ciclico, ricordandoci il severo monito che Zarathustra fa al nano, in uno tra i tanti, significativi passi dell’ “Also Spracht Zarathustra”, intimandogli di non confondere l’”eterno ritorno dell’eguale”, con il tempo ciclico.
E per questo motivo, Wagner fa sì che la sua versione dell’anello del Nibelungo termini con la morte degli Dei ed il rogo del Walhalla, da cui rinascerà qualcosa di nuovo. Un finale più volte meditato e rimeditato, che non vedrà pertanto il ritorno di Wotan e di Sigfrido, bensì la nascita di un nuovo mondo. Ed anche qui Locchi ci mette in guardia dalle varie e malevole interpretazioni in salsa progressista, che vedono un Wagner passare da iniziali simpatie anarcoidi e progressiste, ad un rifugiarsi su posizioni da reazionario e cristaneggiante baciapile. Locchi ci mette davanti ad un lavoro di dettagliata esegesi degli scritti wagneriani. E’ vero. Al pari di altri autori del suo tempo, Wagner subì il fascino delle sorgenti idee socialiste ed anarchiche, rimarcandone, però, sin dal primo momento, le proprie profonde differenze che finiranno poi, per divenire assolutamente inconciliabili. E’ sull’idea di tempo di cui abbiamo già trattato, che si giuoca l’intera partita. Un’idea che, nel rifiutare la stessa impostazione ciclica della tradizione, poiché caratterizzata nel senso di una narrazione “metafisica” e pertanto statica, si pone irrimediabilmente avverso tutte le linee-guida, della nascente Modernità Tecno Economica, come abbiamo già visto, caratterizzata da un ontologico finalismo.
Lo stesso riavvicinamento di Wagner al cristianesimo protestante, deve essere inteso all’insegna della generale impostazione che si evince, dalla sua intera produzione letteraria. Il suo è un cristianesimo che, spurgato dagli elementi ebraici e generalmente dalle linee-guida del pensiero monoteista, va “arianizzandosi”, assumendo la valenza di salvifica dottrina solare, slegata da qualsiasi “eskaton” finalistico ed aperta al divenire della storia d’Occidente. E’ in questo contesto, pertanto, che si inserisce la dottrina dell’Oltreuomo o Superuomo, inteso come colui che, aperto alla costitutiva incertezza dell’Essere, decide del proprio destino e della Storia, definitivamente slegato da qualsiasi costrizione o dipendenza metafisica. Ed è in questo senso, che va inteso il famoso detto aforismatico “Dio è morto”.
E’ vero. Nella sua interpretazione del pensiero di Wagner e di Nietzsche, Locchi si vuole collocare, senza esitazione alcuna, nell’ambito di quella narrazione moderna che si suol definire quale “demolizione della metafisica”. Non senza però, alcune significative incongruenze. Fra tutte, il tentativo di ricreare una vera e propria “fisiologia della Storia”, (che tanto ci ricorda i precedenti tentativi di un Oswald Spengler, sic!), delineando una serie di fasi che vanno dalla primigenia accezione di una forma di pensiero “mitico”, passando per una sua fase “ideologica”, sino a pervenire ad una propriamente “critica”. In questo modo però, il Locchi ricade nella tanto aborrita impostazione “metafisica”, ovverosia in quel tentativo di fermare l’imprevedibile scorrere del Divenire, ma anche dell’umana libera determinazione, attraverso quelle costruzioni ideali di pensiero, che costituiscono l’essenza del “Logos” occidentale.
Secondo poi, dagli scritti di Locchi, si evince l’idea di un Wagner quale inauguratore di quel genere di pensiero, che egli stesso definisce quale “sovrumanesimo” (e che ad oggi, si preferisce definire quale “pensiero non conforme”), immediatamente seguito da quel Nietzsche che, dopo averne in qualche modo carpito le idee, si pose in aperto contrasto con il grande musicista. Ad onor del vero, andrebbe detto che, se è vero che Nietzsche fu inizialmente un sincero ammiratore del Wagner, non se ne può e non se ne deve assolutamente negare l’originalità di un pensiero, che fu più che altro, frutto di un sentire epocale e che aveva avuto i propri precursori, non solo in Wagner, ma anche in uno Schopenauer ed in un Max Stirner, solo per citare alcuni esempi.
Quanto detto, ci fa ritornare al problema delle origini di quel pensiero “sovrumano” che, in base alla nostra precedente considerazione, non può esser fatto risalire unicamente a Wagner, ma neanche unicamente all’ambito culturale vitalista, del 18° e del 19° secolo, visto che è parte di quella dialettica “bipolare” che, in Occidente, vede convivere accanto ad una forma di narrazione lineare, “logocentrica” e pertanto omologativa, quale quella risultante in parte da Socrate, Platone ed Aristotele in poi, un’altra fondamentalmente imperniata su un sentire irrazionale, legato al potenziamento ed all’espansione della coscienza individuale. Un sentire questo, rappresentato dall’intersecazione tra vari motivi mitici incentrati sulla centralità della figura dell’eroe, sia di natura divina teso ad umanizzare se stesso, come nel caso di Prometeo o di Ermete, seguita dal processo inverso, in senso ascendente, con le figure mitiche di eroi umani che ascendono ad una natura semi-divina, quali Eracle, Achille, Ettore, Orfeo e che finiscono con l’intersecarsi con le figure della primeva filosofia greca di matrice sciamanica quali Abaris, Epimenide e lo stesso Onomacrito, sino a giungere alla sofistica, per proseguire oltre, alla guisa di un vero e proprio fiume carsico che attraversa l’intera storia d’Occidente.
Un’altra “nota dolens” degli scritti di Locchi, sta nel suo eccessivo pangermanesimo. Il voler attribuire unicamente ad autori come Bach o anche Wagner il merito di unici protagonisti di quel fondamentale cambio di paradigma della musica, che porterà ad un altrettanto importante cambio nel pensiero filosofico, ci sembra quanto mai azzardato, visto che in Italia, a contribuire ben prima di Bach a cambiar le cose, abbiamo avuto autori come Pierluigi da Palestrina. Il tutto, senza considerare che, oltre a Bach, la musica italiana di età barocca, ci ha regalato dei geni come Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi, Arcangelo Corelli, Tommaso Albinoni ed altri, altrettanto innovativi. Stessa cosa vale per il pensiero. Nel 18° secolo, uno dei primi pensatori “non conformi” è rappresentato dalla figura di Giovan Battista Vico, sul quale vi sarebbe da aprire un discorso a parte. Di Giorgio Locchi rimane l’importanza di un’analisi coraggiosa ed anticonformista, in grado di scardinare e dar respiro ad un’impostazione di pensiero, troppo spesso rimasta nelle secche di uno sterile e vuoto formalismo tradizionalista.
Come abbiamo già detto, a colpire è la sua idea di tempo tridimensionale che vede l’intersecazione di passato-presente-futuro in un continuum in perenne divenire, al centro del quale sta l’uomo e la sua volontà, in grado di porsi “oltre” ogni limite. Il superamento della linearità del tempo, intesa sia nel senso finalistico ed escatologico di matrice monoteista, che in quello ciclico e circolare politeista, ha a suo tempo innestato un dibattito anche e specialmente nell’ambito di quella germanica Konservative Revolution/Rivoluzione Conservatrice, che caratterizzò il panorama germanico tra gli anni ‘20 e ‘30 del secolo passato e dalla quale prende le mosse la riflessione di Locchi, anche prendendo spunto dagli scritti di un Armin Mohler. Ad attirare l’attenzione del Nostro, a proposito del problema del tempo, è il dibattito allora innestatosi sul concetto di Kehre/Cerchio, appunto riferito all’idea di circolarità del tempo e che già allora veniva messo in discussione per lasciar posto ad una concezione più dinamica e complessa. Un dibattito che coinvolse anche le figure più di spicco del nazionalsocialismo. Tant’è che, nelle memorie di Hermann Rauschning sui colloqui da questi avuti con Adolf Hitler, si racconta come costui, in uno di questi incontri, avesse espresso la sua personale idea a riguardo, consistente in una visione incentrata su un’idea di tempo “a spirale”, cioè caratterizzato da una forma di ascendente ciclicità, in una continua tensione all’autoperfezionamento.
E questa forse, è l’eredità più pregnante del pensiero di Giorgio Locchi, ovverosia, al di là di quelli che possono costituirne alcuni discutibili aspetti, la possibilità di poter costituire un primo punto di partenza per ridare slancio ad una visione del mondo, definitivamente liberata dalle pastoie di sterili nostalgismi e quanto mai statici ed ottusi conservatorismi.
BIBLIOGRAFIA:
- LOCCHI-SUL SENSO DELLA STORIA-AR
- G.LOCCHI-WAGNER, NIETZSCHE ED IL MITO SOVRUMANISTA-AR
- A. DE BENOIST-VISTO DA DESTRA-AKROPOLIS
- U. BIANCHI-IL FASCINO DISCRETO DELL’OCCIDENTE-LA CARMELINA EDIZIONI
Umberto Bianchi