Giorgio Colli, Empedocle e la Sapienza greca – Giovanni Sessa
A 44 anni dalla sua scomparsa (6 Gennaio 1979) a Giorgio Colli va attribuito un ruolo centrale nella storia della filosofia del XX secolo. Alcuni, errando, lo ritengono soltanto un abile traduttore e chiosatore, che ha avuto il merito di determinare, con il suo lavoro, a muovere dai primi anni Settanta, la Nietzsche Rennaisance, in Italia ed in Europa. Al contrario, il suo contributo più rilevante lo ha fornito nell’ambito teoretico con la filosofia dell’espressione, esito degli studi condotti, con rigore filologico e genialità esegetica, sulla originaria Sapienza greca. Al cuore della sua visione del mondo sta la ferma convinzione, difficilmente digeribile dal mondo accademico di quegli anni, legato alle vulgate moderniste di diversa scuola, che nella filosofia ellenica, in particolare in quella impropriamente definita presocratica, si mostrasse un’innegabile continuità di mythos e logos, di mito e ragione. La filosofia sarebbe fiorita sull’humus spirituale dei Misteri. Colli fu un innovatore senza pari.
Al fine di definire appieno il proprio sistema di pensiero, egli si confrontò, fin dagli anni giovanili, con la filosofia di Empedocle. Sono ora disponibili, per lettori e studiosi, i saggi che Colli produsse sul pensatore agrigentino. Ci riferiamo al volume, Empedocle, nelle librerie per Adelphi, per la cura di Federica Montevecchi (pp. 222, euro 14,00). La pubblicazione degli inediti colliani, era, negli anni scorsi, seguita dal figlio del filosofo, Enrico, scomparso anzitempo nel 2011. Il volume raccoglie due studi diversi. Il primo, Anima e immortalità in Empedocle, fu composto nel 1939, ed è momento significativo degli scritti giovanili di Colli. Dalle sue pagine si evince con chiarezza come, per il pensatore, memore in ciò della lezione nietzschiana, l’approccio di mera erudizione filologica ai testi dei Sapienti, rivelasse un’effettiva incapacità di comprensione degli stessi. L’approccio filologico doveva essere integrato dall’esegesi teoretica. Tale tendenza aveva, per Colli, sempre sulla scorta di Nietzsche, valore dirimente rispetto ad un obiettivo non secondario del proprio approccio gnoseologico: riuscire a giudicare il moderno con gli occhi di un greco.
Il rapporto Colli-Nietzsche si configura secondo le medesime modalità sulle quali, il pensatore torinese, costruì la relazione con i propri allievi: sulla condivisione, tra anime affini, della vissutezza del sapere. Su tale volontà di ritorno alla Grecia, ruota il secondo studio che compone il volume, costituito dalle dispense delle lezioni tenute da Colli su Empedocle nell’anno accademico 1948-49, all’Università di Pisa e che avrebbero dovute essere concluse da un corso successivo che, in realtà, Colli non tenne più. Un testo, per tematiche, sintonico a La natura ama nascondersi, con il quale lo studioso conferì ufficialmente il titolo di autentici filosofi a coloro che avevano pensato prima di Platone ed Aristotele. L’incontro esegetico con Empedocle fu essenziale per Colli: lo dimostra il fatto che egli compose una tragedia in tre atti a lui dedicata, finora inedita. La sua analisi dell’agrigentino è centrata sul: «complesso rapporto fra sostanza e divenire, tra unità e molteplicità» (p. 13), insomma si muove attorno al cuore del problema stesso della filosofia. Per Colli, il contributo storico-filosofico fornito da Teofrasto sui presocratici, non va letto in continuità con quello del suo maestro Aristotele. Teofrasto, per primo, avrebbe riscattato l’eredità spirituale di Empedocle dal giudizio approssimativo, coinvolgente tutti i primi filosofi, di muoversi all’interno della prospettiva monista ed ilozoista.
I frammenti di Empedocle sarebbero, al contrario, chiara testimonianza del suo atteggiamento mistico, tendente a leggere nella physis: «l’eco di una dimensione nascosta, indeterminabile e indicibile» (p. 14). Nell’approccio colliano, Empedocle si mostra pensatore nel quale fenomeno e noumeno dicono il medesimo: «l’uno costituendo l’interno, la radice, e l’altro l’esterno, la manifestazione di una stessa fondamentale realtà» (p. 176). La dimensione interiore di ogni realtà individuale è data dal suo impulso vitale, di carattere conoscitivo, che reagisce sul mondo, in una propensione unitiva rispetto ad esso. Per tal ragione, Colli rigetta le letture dualistiche del sistema empedocleo, risalenti a Wilamowitz, tendenti a rintracciare in, Sulla natura, l’espressione di una concezione materialista del cosmo e, nelle Purificazioni, il manifestarsi di una diversa visione dal tratto religioso. Il pensatore torinese prende le distanze da Rohde, che dava per scontato che Empedocle fosse giunto a comprendere la distinzione di anima e di spirito, mentre condivide la tesi di Bignone, che sostenne la dottrina fisica e la mistica dell’agrigentino, potessero: «stare l’uno accanto all’altra nella teoria dell’anima» (p. 25). Come in Schopenhauer, infatti, in Empedocle convissero due tendenze fondamentali: la poetica e l’epistemica, che lo portarono, in momenti diversi della vita, ad esprimere la medesima verità in linguaggi differenti.
Tale vero, nella sua essenza, si mostrerebbe nel sentire, proprio ad ogni interiorità, atto ad indurla ad un progressivo avvicinamento all’unità, al divino, quando sia stata capace di perfezionare: «la proporzione e la simmetria degli elementi eterni che la compongono e che nel sangue pericardico trovano la loro espressione più completa» (p. 15). Il riferimento al sangue non ha tratto materialistico, ma si riferisce all’esperienza vissuta da Empedocle nel momento in cui ebbe coscienza dei propri progressi gnoseologici. In quei momenti di lucida chiarezza, sentiva: «tumultuare in sé questo sangue intorno al cuore» (p. 30), ritenendo, come molti altri mistici, che proprio lì, nel petto, fosse custodita la ben rotonda verità. Empedocle giunge, inoltre, a considerare come inseparabili la dimensione mortale e quella immortale, scopre, come accadeva nei Misteri, la divinità dell’uomo. La via di conoscenza ha conclusione nella tensione anagogica, che ci sospinge verso il modello unitivo dello Sfero. Si badi, di quel particolare uomo che si pone sulla strada della conoscenza. Eppure, attraverso l’intuizione dell’eterno ritorno di tutto ciò che è, il pensatore siciliano, si fa latore anche di una immortalità, per così dire, naturalistica, periodica e momentanea: propria dei non-Sapienti.
Il cuore del sistema empedocleo, ribadisce Colli, è dato da una modalità di lettura del rapporto unità-molteplicità, che è indispensabile recuperare alla nostra esperienza del mondo e che era condiviso dagli altri Sapienti dell’Ellade. Empedocle aveva compreso che ogni finto (molteplicità) dice sempre il medesimo infinito (uno), per cui anche i possibili ritorni, i possibili nuovi inizi, in natura e nella storia, si configurano quali altri inizi del medesimo. Il ritorno eterno di Dioniso. In ciò l’imprescindibilità della lezione di Colli.
Giovanni Sessa