Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Giordano Bruno, un Mercurio della Tradizione Ermetica – Federico D’Andrea
“Tremate più voi, o giudici, nel profferir la mia sentenza
che non io nell’ascoltarla” (Giordano Bruno)
Questo scritto non si prefigge come scopo un esame dell’opera, estremamente estesa e profonda, di Giordano Bruno, ma vuole fornire solo alcune riflessioni che possano stimolare una lettura, anche se impegnativa, dei suoi lavori, dai quali lo studioso attento può ricavare numerosi suggerimenti anche operativi.
Nel 1548 nasce a Nola la luminosa figura di uno dei più grandi rappresentanti della Tradizione Ermetica: Giordano Bruno. A 17 anni egli entra nel convento di San Domenico a Napoli, situato nei pressi di quella Piazzetta Nilo, che vedremo rappresentare un nodo centrale dell’ermetismo italico, rappresentato successivamente da Raimondo di Sangro, Principe di San Severo. Personalità libera, non intende tacere ed esprime sempre e comunque la propria visione del mondo, che è poi quella ermetica, la più pura ed integrale, priva di misticismi, ma riaffermante il pensiero libero dell’uomo, che può accedere ad uno stato puro dell’Intelligenza, a contatto con il mondo delle cause. Dopo solo un anno di permanenza nel convento subisce un primo procedimento disciplinare per aver gettato via ed aver irriso alcune immagini di santi. Incapace di assoggettarsi a forme vuote di misticismo, è costretto a peregrinare per l’Italia e per l’Europa. Da Napoli fugge a Roma, a Venezia, a Ginevra, a Tolosa, a Parigi, a Oxford, a Marburgo, a Wittenberg, a Helmstedt, a Praga, e poi nuovamente a Venezia e a Roma, dove il 17 febbraio 1600 viene arso vivo in Campo de’ Fiori, con la lingua “in giova per le bruttissime parole che diceva.”
Non esita di dichiarare false le dottrine della Chiesa, avvicinandosi alle origini egizie della Tradizione Ermetica, ed afferma essere superata l’era del cristianesimo, auspicando una pax universalis, che viene ostacolata dall’intransigenza della Chiesa cattolica stessa. Egli si riteneva un Mercurio ed era convinto che la sua anima se ne sarebbe “ascesa con quel fumo in paradiso”, e sarebbe poi risorta dalle ceneri, come la Fenice. Ma vediamo meglio cosa significava per Bruno essere un Mercurio, perché questo aspetto chiarisce anche come la Tradizione Ermetica si trasmette attraverso le epoche.
Per chiarirne il senso, si riporta quanto scritto da Michele Ciliberto in “Giordano Bruno – Il teatro della vita” – Ed. Mondadori – 2007 – p. 391:
“La verità, Bruno sa anche questo, non è – e non può essere – ‘figlia del tempo’; il sapere non si accresce secondo un ritmo indefinito; nel processo della civiltà ci sono delle discontinuità, vuoti che lasciano nelle nostre mani – come foglie disperse – solo pochi frammenti delle antiche verità, che bisogna riannodare l’uno all’altro, come se si costruisse un mosaico. É questa, nella ‘ruota del tempo’, la funzione propria del Mercurio, dell’angelo inviato dagli dèi per restaurare e diffondere tra gli uomini le antiche verità. Ma i Mercuri – e su questo Bruno è chiaro – non si limitano a restaurare, come semplici custodi, la verità: intrecciando, fino a fonderle, biografia e verità, essi restaurano – rinnovandola e potenziandola – l’antica sapienza, riportandola alla luce in modi e forme nuove, dopo secoli di tenebra. La ‘rinascita’ dell’antica verità è sempre – al tempo stesso – ‘nascita ‘ di nuove verità; i ‘frutti’ del sapere sono sempre – e al tempo stesso – antichi e nuovi; la sapienza muta indefinitamente luoghi e forme, attraversando paesi e nazioni differenti, senza mai tornare eguale sui suoi passi. Di tutto questo Bruno è consapevole per esperienza diretta, personale: né dal punto di vista ‘oggettivo’ né da quello ‘soggettivo’ è possibile, o concepibile, un movimento lineare, diretto, tra ‘passato’ e ‘presente’: quello che ‘ripullula’, dopo un lungo ciclo di ignoranza, è, simultaneamente, ‘vecchio’ e ‘originale’”.
Cerchiamo di delineare alcuni punti fondamentali dei suoi lavori, di difficile approccio e lettura, ma estremamente importanti per l’ermetista, che in essi può trovare molti spunti di riflessione e molteplici percorsi operativi, che evidenziano come la sua opera e la sua vita siano state condotte nella linea della più pura Tradizione Ermetica. Un continuo punto di riferimento per Giordano Bruno furono proprio alcune opere del Corpus Hermeticum, tradotte da Marsilio Ficino per Cosimo dè Medici, in particolare l’Asclepius. Egli focalizzò, in modo netto, un’opposizione tra la sapienza antica – la prisca theologia – ed il cristianesimo, corrotto e deviato. E la sapienza antica, egli scrive in più parti nello Spaccio de la bestia trionfante – Opere Italiane 2 – Ed. UTET , è quella che deriva dall’Egitto, dalla figura leggendaria di Ermete Trismegisto e da ciò che viene esposto nel Corpus Hermeticum, che se anche dei primi secoli dopo Cristo, rappresentava un sincretismo di filosofia e pratiche di derivazione egizia. Egli così si esprime nel Dialogo Terzo dello Spaccio de la bestia trionfante, cit, p. 360 e seg.(Adattamento FDA):
“[…] Una è la divinità che si trova in tutte le cose, la quale come in modi innumerevoli si diffonde e comunica, così ha nomi innumerevoli, e per vie innumerevoli, con ragioni proprie ed appropriate a ciascuno, si ricerca, mentre con riti innumerevoli si onora, perché innumerevoli geni di grazia cerchiamo di ottenere da quella. Però in questo serve quella sapienza e giudizio, quell’arte, industria ed uso di lume intellettuale, che dal sole intelligibile in certi tempi di più ed in certi tempi di meno, quando massimamente e quando minimamente viene rivelato al mondo. E questa si chiamò Magia: e questa quando si occupa di principii sopra naturali, è divina; e quando si occupa della contemplazione della natura e perscrutazione dei suoi segreti, è naturale: ed è detta mezzana e matematica in quanto che consiste circa le ragioni ed atti dell’anima che è nell’orizzonte del corporale e dello spirituale, spirituale ed intellettuale.
[…] Gli stupidi ed insensati idolatri non avevano ragione di ridersi del magico e divino culto degli Egizi: i quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti secondo le proprie ragioni di ciascuno contemplavano la divinità; e sapevano per mezzo delle specie che sono nel grembo della natura ricevere quei benefici che desideravano da quella.”
Per Giordano Bruno questa sapienza antica, di provenienza egizia, è assolutamente centrale, situandosi come pietra di paragone per ogni società civile e per l’evoluzione dei singoli.
Egli espone una critica pesante circa lo stato in cui versa la società e la religione, stato che, sempre nello Spaccio de la bestia trionfante, cit, p. 209 e segg., viene così descritto da Giove, che riunisce a convegno gli altri dei (Adattamento FDA): “ Là dove io avevo nobilissimi oracoli, fani ed altari, ora, essendo quelli gettati per terra ed indegnissimamente profanati, al loro posto hanno drizzate are e statue a certi che io mi vergogno di nominare, perché son peggio che i nostri satiri e fauni ed altre semi bestie, anzi più vili che i coccodrilli d’Egitto: perché quelli pure magicamente guidati mostravano qualche segno di divinità; ma costoro sono fatti di letame di terra.[…] Le leggi, statuti, culti, sacrifici e cerimonie, che io già attraverso i miei mercuri ho donati, ordinati, comandati ed istituiti, sono stati annullati; ed al posto loro si trovano le più sporche ed indegnissime poltronarie: […] come attraverso di noi gli uomini diventavano eroi, adesso diventano peggio che bestie”.
Nei tempi antichi la legge ed i legislatori erano conformi alla verità. Egli scrive in De la causa principio et uno (Adattamento FDA): “Quando tali erano gli filosofi che da quelli si promovevano ad essere legislatori, consiliarii e regi; tali erano consiliarii e regi, che da questo essere s’inalzavano ad essere sacerdoti”. Solo ritornando all’antico equilibrio, delineato nella prisca theologia di derivazione egizia, può ristabilirsi un nuovo ordine che riunisce l’ordine civile con quello naturale. Alcuni decenni più tardi tale ideale verrà proposto dal Movimento della Rosacroce in Germania. È stato già mostrato da Frances A. Yates nella sua opera Giordano Bruno e la tradizione ermetica – Ed. Laterza, come gli scritti di Giordano Bruno e le opere di altri ermetisti italiani dell’epoca, a lui vicini, come Tommaso Campanella, fossero giunti in Germania. È importante, a questo proposito, quanto testimoniò al Tribunale dell’Inquisizione Francesco Graziano – tratto da A. Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno con appendice di Documenti sull’eresia e l’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano MDCCCCXLII:
“E molte volte dicea che in Germania li anni passati erano tenute in prezzo l’opere di Lutero ma che adesso non erano più stimate, perché doppo che hanno gustate l’opere sue non vanno cercando altro, e che havea cominciato una nuova setta in Germania, e che se fosse liberato di prigione voleva tornare a formarla et instituirla meglio, e che volea si chiamassero Giordanisti”.
Bruno aveva predicato in Germania l’avvento di un movimento magico di riforma, che lui politicamente associava ad Enrico di Navarra. Scrive Frances A. Yates, nell’opera citata – p. 445:
“Sebbene io non creda che Giordano Bruno sia mai stato ricordato altrove in connessione coi Rosacroce, Tommaso Campanella lo è stato e nel suo caso il legame sembra certo. Si rammenterà che l’allievo tedesco di Campanella, Tobia Adami, portò alcuni manoscritti campanelliani in Germania, dove infine li pubblicò. Egli li portò a Tubinga, fra il 1611 e il 1613, dove viveva Johann Valentin Andreae che, autore o no dei manifesti dei Rosacroce, era certamente in rapporto con il gruppo di cui essi sono espressione. Sembra fuor di dubbio che le idee di Campanella giungessero a conoscenza di Andreae in questo modo e anche attraverso un altro tedesco, il suo intimo amico Wense, che andò a trovare Campanella a Napoli nel 1614. […] Il legame fra Campanella e le idee di riforma dei rosacroce non elimina, a mio parere, l’ipotesi di un’influenza bruniana ma anzi la rafforza. Se Bruno avesse gettato in precedenza il seme sul suolo tedesco costituendo gruppi di ‘Giordanisti’, il terreno sarebbe stato preparato a ricevere l’influenza di Campanella, poiché […] il movimento di riforma bruniano si riallaccia al primo Campanella e alla rivolta calabrese da lui promossa”.
Ma per poter fondare un nuovo ordine sociale è necessario che gli uomini, che lo dovranno formare, evolvano, sviluppino le loro potenzialità, seguendo un percorso operativo di lavoro su di sé. Prima di trasformare la società, bisogna trasformare se stessi. Esaminiamo quindi due aspetti dei lavori di Giordano Bruno, che presentano una valenza operativa: le opere definite mnemotecniche e l’opera L’eroico furore. Le opere definite mnemotecniche, tra cui vanno ricordate De Umbris Idearum, Cantus Circaeus, Sigillus Sigillorum, hanno come prima funzione quella di spiegare ed approfondire un sistema, in uso allora, di potenziamento della capacità di ricordare, associando alle cose da ricordare alcune immagini, partendo dal concetto che un’immagine è più facile da ricordare, mediante la memoria visiva, che non un concetto o un discorso astratto. Quindi un lavoro pratico sull’immaginazione e sulla capacità, che l’uomo possiede, di immaginare visivamente.
Giuliano Kremmerz scrive ne La Scienza dei Magi – Ed. Mediterranee: “ La magia non ha bisogno di plasticità materiale, si vede con la mente. Senza la rappresentazione cerebrale di immagini, non se ne fa nulla.” (Vol. III – p. 251). “L’idea non diventa plastica che in nature eccezionali, ma con l’esercizio tutti possono delineare una immagine nel buio mentale, delineandone i contorni col chiudere gli occhi.” (Vol. III – p. 209). “ Immaginate bene e vi avvierete alla creazione di una volontà onnipotente. Immaginare bene vuol dire concepire l’idea della cosa da creare o da modificare nella sua visione reale, nell’astrale, cioè nel campo interiore senza luce, dove risiede quell’utero inafferrabile della creazione umana.” (Vol. III – p. 60 e segg.). “ La rappresentazione cerebrale di immagini è un principio di magia, senza di cui non si fa nulla.” (Vol. III – p. 251). Quindi nell’Ermetismo è necessario imparare ad immaginare bene, non solo per poter sviluppare l’arte della memoria, ma per poter iniziare a sviluppare delle potenzialità evolutive umane. Giordano Bruno infatti si spinge oltre la semplice tecnica dell’arte della memoria, già da altri prima di lui sviluppata. Scrive Gabriele La Porta nella Introduzione del testo De Umbris Idearum – Ed. Atanor – p. 31 e segg.: “Giordano Bruno non mirava solo alla costituzione di un uomo sapientissimo, ma di un vero e proprio RICREATORE DEL MONDO, di un uomo mago. Marsilio Ficino e Pico della Mirandola credevano – come tutti coloro i quali seguivano la tradizione ermetica di tipo neoplatonico – alle IDEE come modelli eterni ed immutabili.
A questa concezione si univa quella della progressiva emanazione, per cui le idee divine si riflettono nelle rispettive immagini e forme nell’anima del mondo, donde esse vengono di nuovo riflesse nelle forme materiali. […] Precedentemente ho sostenuto che Bruno non voleva SOLO creare una tecnica avanzata di arte della memoria, ma creare un uomo mago. Infatti egli, quando crea le sue immagini derivandole soprattutto dalla tradizione ermetica ovvero da Teucro Babilonese e Cornelio Agrippa, non le deriva da situazioni qualsiasi o da luoghi noti (ancorché suggestivi) ma da IMMAGINI STELLARI. […] Tutte immagini che avevano (secondo la tradizione) a che vedere con l’universo stellato e lo zodiaco. Erano, insomma, figure che discendevano direttamente dalle idee divine.[…] Bruno voleva creare nella mente del suo uomo-mago quelle stesse immagini che provenendo dalla prima emanazione delle idee si andavano concretizzando nell’anima del mondo. Portare la mente dell’uomo a quei livelli significava dargli la possibilità poi di intervenire concretamente a livello materiale.” Ecco allora come, attraverso un lavoro pratico, di purificazione e padronanza del pensiero e di sviluppo della capacità immaginativa, l’uomo può giungere a percepire quel mondo delle Idee, mondo in cui sono presenti Pensieri Archetipali-Concetti. Quindi da qui risultano presentati in modo chiaro i precetti fondamentali dell’Ermetismo:
- Esiste un Mondo delle Idee, Mondo causale, base di quello visibile, in cui sono presenti gli Archetipi-Concetti delle forme manifestate;
- Questo Mondo è Vivo, in esso vi è Intelligenza, è eterno ed immutabile;
- L’uomo può attivare una modalità del suo pensiero che, libero da condizionamenti fisici ed emotivi, neutro e terso, può entrare in contatto con questo Mondo delle Idee: questa è l’Intelligenza Ermetica, definibile anche come “Pensiero libero dai sensi”;
- L’uomo, entrato in contatto con tale Mondo, può agire in esso, utilizzando le Idee Archetipali.
Ma il vero ricercatore ermetico non si ferma qui. Non gli basta percepire e contemplare il mondo delle Cause, contemplare il Moto della Vita, osservare le vicissitudini, ponendosi al di sopra delle Acque, contemplare il loro Movimento. Egli vuole ed aspira ad altri traguardi. Egli comprende che:
- L’uomo può, agendo sul Mondo delle Idee/Cause, modificare il mondo degli effetti. Il massimo di tale ottenimento è la Grande Opera, con la quale l’Alchimista fissa il Verbo/Moto/Uno in un “involucro” che lo racchiude senza fargli perdere la sua intera potenzialità: la Pietra Filosofale o Medicina Universale;
- L’uomo può alla fine trasporre in tale Mondo la propria coscienza, divenendo un Archetipo non più mortale;
- Esistono delle modalità operative per poter destare prima e sviluppare poi l’Intelligenza Ermetica, che permette tali realizzazioni.
Cosa può rendere possibile non solo l’accesso a quel mondo, ma anche la possibilità di operare in esso, e, operando in esso, creare nel mondo degli effetti? Giordano Bruno ci risponde che è il “vincolo di Cupido”: solo esso può aprire la strada al “primo vero”, alla “verità absoluta”.
Ma quale tipo di Cupido, quale tipo di Furore, deve essere messo in atto dal ricercatore? Giordano Bruno lo spiega in De gli eroici furori – Opere Italiane 2 – Ed. UTET – p. 554 e segg.(Adattamento FDA):
“Si pongono, e vi sono più specie di furori, i quali tutti si riducono a due generi: alcuni non mostrano altro che cecità, stupidità ed impeto irrazionale, che tende al ferino insensato; altri consistono in una certa divina astrazione per cui alcuni diventano migliori degli uomini ordinari. E questi sono di due specie perché: alcuni per il fatto di essere divenuti dimora di dei o spiriti divini, dicono ed operano cose mirabili senza che di queste essi intendano la ragione; e sono divenuti così per essere stati prima indisciplinati ed ignoranti, ed in essi come svuotati del proprio spirito e senso, come in una stanza purgata, s’introduce il senso e lo spirito divino. […] Altri, in quanto avezzi ed abili alla contemplazione, ed anche per avere in essi innato uno spirito lucido ed intellettuale, da un interno stimolo e fervore naturale, suscitato dall’amore per la divinità, della giustizia, della verità, della gloria, dal fuoco del desiderio e dal soffio dell’intenzione acuiscono i propri sensi, e nello zolfo della facoltà cogitativa accendono il lume razionale con il quale vedono più che ordinariamente: e questi non giungono a parlare come vasi e strumenti, ma come principali artefici ed efficienti. […] I primi hanno dignità, potestà ed efficacia in sé: perché in loro hanno la divinità. I secondi sono più degni, più potenti ed efficaci, e sono divini. I primi sono degni come l’asino che porta i sacramenti: i secondi come una cosa sacra”.
Giordano Bruno distingue tra il sapiente, che contempla, ed il furioso, che opera. Viene chiara l’analogia con quanto scrive Giuliano Kremmerz, a proposito di magia isiaca e magia ammonia, ne La Porta Ermetica , in La Scienza dei Magi, cit., p. 245: “E vi farò innanzi tutto comprendere una cosa che invano cercherete di capire nei libri classici, che: gli antichi conoscevano e praticavano due magie, la eonica e la trasmutatrice, la prima isiaca, cioè lunare, la seconda ammonia, cioè solare. […] Quindi due magie che prendono nome dai due fattori della realizzazione: Ammonia la magia della forza capronica capace di imporre la trasmutazione nel mago e fuori. Isiaca quella che utilizza le forze come le trova e pei fini a cui possono servire”. Di questo Eroico Furore ne parla Kremmerz ne Gli Amanti – La Scienza dei Magi, cit., p. 322 e segg.: “L’amore nella sua integrità, è un’iniziatura sublime. Basta amare per affacciarsi sull’abisso dell’infinito. […] L’amore comincia ad acquistare carattere sacro, quando mette l’animo umano nello stato di mag o di trance. […] Trance se è passiva, mag se è attiva.”. Da Angeli e demoni dell’Amore, op. cit., p. 277: “L’occulta filosofia dà all’amore due sedi: nel cervello e nel cuore. Nel cervello, fantasioso o calcolatore, entusiasta o briaco, l’amore è impuro, è passionale, è demoniaco. Nel cuore, sereno, obbediente, paziente, è un sentimento di abdicazione e di dedizione angelico.”.
Giordano Bruno chiarisce che l’intelletto, che “forma le specie a suo modo e le proporziona alla sua capacità”, non può fare altro. L’intelletto solo non può dar vita a tali specie presenti nel pensiero attraverso l’immagine di esse. Solo il “furioso” preso da un amore, non volto alle cose terrene, può attivare in sé quello stato di volontà/amore. É solo “l’operazion de la voluntade” – lo stato del furioso, lo stato d’Amore – che “transforma e converte” l’operatore nella cosa amata, coinvolgendo sia l’anima che il corpo del furioso. Siamo in piena piromagia, come la definisce il Kremmerz.
In questo modo l’operatore ermetico non è più spettatore del fenomeno Vita e del suo ritmo armonico, ma ne diventa partecipe ed operante in esso. Concludiamo chiarendo, con Bruno, le caratteristiche di questo tipo di furore, di questo tipo di Amore. A tal proposito citiamo dai seguenti brani, opportunamente riportati in un linguaggio attuale da De gli eroici furori, cit., p. 555 e segg.(Adattamento FDA):
“Non è un oblio, ma una memoria; non è una dimenticanza di se stesso, ma amore del bello e del buono attraverso il quale si cerca di farsi perfetto e trasformarsi e rendersi simile ad esso. […] Non è un rapimento sotto le leggi di un fato indegno, con i lacci di affetti bestiali; ma un impeto razionale che segue l’apprensione intellettuale del buono e del bello che conosce, a cui vorrebbe conformarsi. […] Non è furore di oscura bile che fuor di consiglio, ragione ed atti di prudenza lo faccia guidare dal caso e rapito dalla disordinata tempesta […] ma è un calore acceso dal sole dell’intelligenza nell’anima ed impeto divino che gli fa nascere le ali; da cui sempre più avvicinandosi al sole dell’intelligenza, rigettando la ruggine delle preoccupazioni umane, diviene un oro probato e puro, ha sentimento della divina ed interna armonia, concorda i suoi pensieri e gesti con la simmetria della legge insita in tutte le cose”.
A queste parole facciano attenzione quanti ancora credono, o vogliono credere, che il Furore abbia a che fare con una dimensione fisica e passionale.
Federico D’Andrea