Friedrich Gerog Jünger e i miti greci: Apollo, Pan e Dioniso – Giovanni Sessa
È nelle librerie un testo che, non solo consente di cogliere la grandezza speculativa e letteraria di una delle figure “segrete”, apparentemente marginali, della cultura del Novecento, ma ci pone di fronte alla povertà del nostro tempo, al “dis-astro” della modernità, all’isolamento atomistico dell’uomo di fronte al cosmo. Ci riferiamo al volume di Friedrich Georg Jünger, fratello del più noto Ernst, Apollo, Pan, Dioniso pubblicato dall’editore Le Lettere per la cura di Mario Bosincu, germanista dell’Università di Sassari (pp. 283, euro 18,00). Con lo stesso titolo uscì nel 1943 un agile libretto, cui l’autore fece seguire, nel 1944, un saggio intitolato I Titani. Nel 1947 i due libri, con l’aggiunta di due capitoli dedicati agli Eroi e a Pindaro, furono raccolti nel volume Miti greci. L’edizione italiana che presentiamo è la traduzione di questo libro. A Bosincu va riconosciuto il merito di una curatela impeccabile.
Queste pagine rappresentano: «uno dei tesori di quel continente sommerso noto come letteratura dell’emigrazione interna […] i cui esponenti rimasero nella Germania nazista, vivendo da “esuli” in patria» (pp.8-9). In realtà, durante la Repubblica di Weimar, Friedrich Georg, con l’opera Marcia del nazionalismo, si era posto l’obiettivo: «di fare dei lettori […] il soggetto altro che potesse tramutare la giovane repubblica in una communitas totalitaria» (p. 110). Egli, quindi, prese parte all’eterogeneo e vivace movimento culturale degli intellettuali rivoluzionario-conservatori, i cui ideali furono traditi dal nazionalsocialismo al potere. Nell’informato, ampio e organico saggio introduttivo, Bosincu presenta i momenti genealogici di tale cultura antimoderna, risposta alla crisi indotta dall’affermarsi del Gestell, dell’Impianto della tecno-scienza al servizio della Forma-Capitale. In particolare, si sofferma, tra le altre, sulle figure di Schiller, Carlyle, Chateaubriand. Quest’ultimo, nel Genio del Cristianesimo fece appello, contro il presente storico in cui gli era toccato in sorte di vivere, a: «gli interessi del cuore» (p. 41).
Fece appello, in sintonia con la sensibilità della Romantik, a un sapere altro rispetto alla ratio calcolante. Nelle sue pagine, pregne di carica emotiva, emerge: «dopo il sermo propheticus, il sermo mysticus e la scrittura ascetica […] uno stile psichico alternativo a quello prevalente» (p. 41) nell’età contemporanea, tesa a realizzare l’utile attraverso la riduzione della natura a res extensa a disposizione del padrone dell’ente, l’uomo. Gli antimoderni, che tanto influenza ebbero su Friedrich Georg, non si proponevano, sic e simpliciter, di esplorare i tratti di una possibile “altra soggettività”, rispetto a quella moderna, ma puntavano a realizzarla servendosi del tratto demiurgico dei loro scritti. In fondo, chiosa Bosincu, richiamandosi all’esegesi della gnosi di Eric Voegelin, erano pervasi da vero e proprio orrore per l’esistente e si fecero latori di una conoscenza soteriologica. Lo gnostico: «conosce la matrice della (temporanea) miseria dell’uomo […] è in possesso di una soteriologia che “dà all’uomo coscienza della sua degradazione e la certezza della restaurazione del suo essere originario”» (p. 53). La fuga dal moderno è centrata sulla “soteriologia dell’interiorità”. Jünger, a dire del curatore, visse due fasi diverse di tale atteggiamento neognostico: in gioventù fu prossimo al prometeismo “wotanistico” del nazismo e alla “mobilitazione totale”.
Tale riferimento voleva costruire una soggettività “attiva”, mossa dalla volontà di potenza, mirante al superamento dell’individuo borghese. Nella fase dell’“emigrazione interna”, testimoniata in modalità paradigmatica da Apollo, Pan, Dioniso, per l’influenza del mondo spirituale ellenico mediato dalla lettura di Walter Friedrich Otto, e anticipando la psicologia del profondo di Hillman, Jünger si fa latore dell’ “uomo totale” schilleriano, nella cui psiche la potenza titanica torna a conciliarsi con le potestates dei tre dèi in questione. Tale metamorfosi indusse il Nostro a maturare: «Il rispetto per la vita nella sua elementarità » in quanto prese contezza che: «il presupposto della modernizzazione tecnologica è […] la disanimazione della natura» (p. 99). La physis è esperita come trascendente l’orizzonte umano: vi è uno scarto evidente tra il flusso del divenire e della storia, accumulatrice di rovine, e i ritmi eterni e ciclici della natura. Quello jüngeriano è un “paganesimo dello spirito”, che si rivolge a una dimensione profonda includente: «i noumeni da cui scaturiscono la storia e l’esperienza empirica» (p. 111). L’autore mostra di aderire a una prospettiva mitica: ritiene che in ogni ente, nell’interiorità dell’uomo e nelle sue attività, agisca un dio. Il divino è palpitante, si fa esperienza. La stessa tecnica non è mera espressione della ragione strumentale, ma ha radici mitiche, titaniche, prometeiche.
Per sottrarsi al suo dominio reificante, l’uomo deve recuperare la dimensione immaginale: solo in essa, non nei concetti che staticizzano il reale, è possibile rintracciare l’alito di Apollo, Pan e Dioniso, l’eterna metamorfosi animica della physis. Tali dèi sono in rapporto di: «fraterna antitesi» (p. 244). Per recuperarne il senso è necessario guardare alla coincidentia oppositorum, alle logiche del terzo incluso: «Apollo è esaltato come l’archetipo alla base di uno stile cognitivo ed esistenziale che privilegia la ragione contemplativa e il senso della misura» (p. 135), antitetico alla hybris prometeica, tanto del nazismo quanto del capitalismo cognitivo dei nostri giorni. Pan incarna il “principio di piacere” contrapposto al “principio di prestazione”, la leggerezza del vivere esperibile quando ci si ponga nella natura selvaggia, avvertita come estranea dall’uomo moderno. La natura basta a se stessa, di ciò ebbe contezza anche Karl Löwith. Dioniso, infine, è il dio che libera dalle fissità identitarie, dalla dimensione teleologica della vita. La sua potestas pone in scacco la: «pazzia paludatasi nelle vesti della ragione» (p. 139).
Lo Jünger dell’ “emigrazione interna”, a nostro parere, è latore di un contro-movimento gnosico (Gian Franco Lami) non neognostico, atto a ricondurre l’uomo di fronte alla physis, alla vita eternamente sorgiva del cosmo. Il cosmo, nelle pagine di Apollo, Pan, Dioniso non è emendabile, come ritenevano gli gnostici e con essi i cristiani e i loro succedanei moderni (positivisti, marxisti ecc.) perché, come si evince da Eraclito (fr. 30): «Esso è identico per tutte le cose, non lo fece nessuno degli Dei né gli uomini, ma era sempre ed è e sarà fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne». Apollo, Pan, Dioniso mostra, come ha sostenuto Calasso, che gli antichi dèi hanno trovato ricovero nella letteratura. Questa la straordinaria modernità degli antimoderni, di cui ha detto Antoine Compagnon.
Giovanni Sessa