Filosofia erotica: una silloge di scritti di Franz von Baader- Giovanni Sessa
Le filosofie esoteriche sono state derubricate dalla cultura ufficiale a forme di “irrazionalismo”. Esse, di fatto, sorgono dalla “preistoria” della stessa coscienza filosofica, son implicate in essa, in quanto spostano l’attenzione sul “rimosso” dell’onto-teo-logia. Questo è quanto, da un punto di vista generale, si desume dalla lettura della monumentale Filosofia erotica di Franz von Baader, volume curato e tradotto da Lidia Procesi Xella, autrice anche dell’informata introduzione, per i tipi di Editoriale Jouvence (per ordini: 02/ 24861657, info@jouvence.it, pp. 684, euro 28,00). Si tratta di una silloge molto ampia delle opere del teosofo tedesco, per la prima volta tradotto in italiano. Dalla biografia di Baader (1765-1841) sappiamo che fu medico, alchimista e chimico dilettante, operatore minerario, giunse, solo in tarda età, a ricoprire la cattedra di teologia speculativa all’università di Monaco. La sua formazione fu cattolica, sia pure connotata da significative influenze pietiste. Anarchico in gioventù, antimoderno nella maturità, sviluppò, ricorda la curatrice, un: «netto rifiuto della nuova civiltà borghese, vista come regressiva e disumana» (p. 8).
Stimato da Goethe, Friedrich Schlegel e Hegel, fu, per alcuni anni, amico di Schelling. Il suo pensiero ha avuto scarsa influenza sugli sviluppi speculativi successivi. La riscoperta novecentesca di quest’autore la si deve al tradizionalista Hans Sedlmayer che, nelle sue opere, si confrontò con Baader. Le pagine di Filosofia erotica sono animate dalle tematiche circolanti nella sua epoca: l’esaltazione della natura, la critica al meccanicismo, un’accentuata sensibilità per il lato “oscuro” della vita e della coscienza, ma soprattutto per l’eros, principio essenziale per la fondazione del sé. Non si tratta di una filosofia libertina: «L’erotica baaderiana […] si dichiara alternativa […] rispetto al discorso dominante nella filosofia dell’epoca» (p. 9), in quanto proclama la sua estraneità all’auto-fondazione cartesiana dell’io penso. A questa contrappone la distillazione alchimistica del sé: «che la guidi attraverso l’acqua madre della sensualità […] come matrice indeterminata, alla regione solare dello spirito» (pp. 9-10). Al centro del volume sta la componente “simbolico-femminile”, essenziale nel processo di ritorno all’androgino originario. La negazione del femminile avrebbe indotto, nel corso della storia umana e in quella del pensiero, l’assolutizzazione del maschile, latore del nichilismo socio-esistenziale e dell’auto-fondazione del soggetto moderno. Per Baader la nascita della vita è segnata dal desiderio passivo della divinità, potenzialità androgina: «di essere ingravidata, perché solo la nascita del figlio consente l’autodeterminazione […] Dio è […] androgino come padre e madre, perché ci penetra e ci contiene, mentre ci invita ad aprirci a lui che […] deve a sua volta giacersi con noi […] per farci sollevare a sé» (p. 16). Dio è in noi e noi siamo in Dio. Sono centrali in tale prospettiva l’immagine e la dottrina dell’immaginazione produttiva, radicale rielaborazione ermetica dello schematismo trascendentale kantiano.
È nel rapporto tra genitur e genitus che si realizza l’immagne-gignere, immaginazione. Essa è produttiva nel processo di generazione in cui l’indeterminato originario, l’Ungrund böhmeano, la potenzialità assoluta, va a definirsi. Il principio è Magia, potenzialità di tutte le possibili immagini, passibile di infinite fissazioni, che attrae irresistibilmente a sé il principio attivo, la forma, l’attualizzarsi. In tal modo l’iniziale Maja si fa Sophia: «pienezza delle immagini nella loro essenzialità, in cui genitor e genitus si specchiano per cogliersi nel loro legame indissolubile» (p. 19). Il cosmo baaderiano si articola in natura, uomo e Dio, connessi tra loro in relazione reciproca, oltre il dualismo delle forze schellinghiane di attrazione-repulsione che, per esser rese vitali, devono venir precedute dalla relazione primaria: femminile-maschile. La posizione di Schelling non fa che trascrivere la solitudine e l’impotenza delle forze che, spezzato il rapporto erotico che le univa nel principio: «si incontrano per subirsi e tormentarsi a vicenda» (p. 21). Le due potenze baaderiane sono l’espansione e il suo “vaso” contenente. Quest’ultima è detta “tintura” femminile, la prima, “tintura” maschile, tende al fuori-di-sé: «il loro rapporto si instaura in un descensus-ascensus reciproco, come quiete nel movimento e movimento nella quiete» (p. 22). L’una non può stare senza l’altra, in quanto il femminile si unisce al femminile nel maschile, e il maschile al maschile nel femminile, durante il processo generativo. La visione gravitazionale moderna ha sterilizzato la vita del cosmo assolutizzando il momento maschile, “calcinandolo” nel suo fuoco espansivo ridotto a mera dispersione. Di contro, il principio femminile ha finito per imputridire, nell’isolamento, dando luogo alla stagnazione dell’ “acqua di vita”.
(Franz von Baader)
La contemplazione della natura suscita nell’uomo la nostalgia del sacro connubio androginico di cui l’ermafroditismo non è che parodia degradata: «Ruolo dell’uomo […] era e resta ancora quello di generarsi a immagine di Dio nel cosmo, rigenerando insieme il cosmo stesso» (p. 26). Dio, letto non soltanto trinitariamente ma con riferimento alla possibilità non manifestata, si immerge negli uomini attraverso il Lógos. L’estasi erotica fa intravedere, oltre la sterile opposizione, l’unità archetipica di maschile e femminile. Generare il Figlio, in tali termini, significa dare senso e fondatezza al desiderio: «far prendere radice e figura all’instabile dualità in un terzo» (p. 34). Il centro della natura è rappresentato da un triangolo, figura del principio femminile, inscritto in una circonferenza, figura della perfezione divina, che unisce i tre vertici: «fondendo il molteplice nell’uno e l’uno nel molteplice, senza confonderli e senza scinderli ed opporli» (p. 35). Il Figlio, quindi, è: «mediazione all’instaurasi della quaternità del sé, della Verselbständigung» (p. 37), è Parola. Il farsi essenza dell’inessenziale è mediato dal linguaggio, che fa essere la realtà. La logica, in quanto scienza del Lógos, non è riducibile all’identitarismo concettuale ed escludente, ma é dottrina del processo alchimistico di individuazione.
Baader, per questo, fu indotto a criticare le filosofie idealiste e lo spinozismo, latrici di una visione dimidiata dell’eternità centrata sull’idea del tempo infinito. Nell’eterno androginico: «Non vi è irrecuperabile passato perché non vi è mai stasi, ma neppure irraggiungibile futuro, perché il movimento non si disperde in un’impotente fuga dal centro» (p. 48). La Filosofia erotica è latrice di una visione aperta della storia. Dato davvero rilevante…
Giovanni Sessa