Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Faust, dalla leggenda al mito: silloge di scritti dedicati al patto con il diavolo – Giovanni Sessa
Si deve alla sagace cura di Paolo Scarpi, storico delle religioni e studioso di ermetismo, una silloge degli scritti più rilevanti che, nel corso della storia, hanno avuto per protagonista Faust. Ci riferiamo al volume di AA.VV., Faust. Dalla leggenda al mito, recentemente pubblicato da Marsilio (pp. 565, euro 18,00). E’ un volume connotato da vasta e profonda erudizione, quanto, fatto raro in pubblicazioni del genere, da una non comune godibilità di lettura. Consente, infatti, al neofita di entrare nel complesso mondo che ruota attorno ad un personaggio paradigmatico della letteratura europea e fornisce, altresì, allo studioso, elementi rilevanti di approfondimento, attraverso la precisa contestualizzazione storica fornita, nell’ampio saggio introduttivo, da Scarpi. La lettura è agevolata da un capitolo dedicato alla presentazione degli autori e delle opere ed è impreziosita da una bibliografia e sitografia in tema.
L’incipit del volume ha valore di premessa apodittica: «Faust è indefinibile» (p. 7) ma, sappia il lettore, che dal susseguirsi delle storie che lo hanno per protagonista fino a Goethe: «e anche dopo di lui, emergono le cadenze e i ritmi di un’epopea […] quella leggenda ha subito, con il passare dei secoli, una metamorfosi in mito» (pp. 8-9). Leggenda e mito traggono origine da un racconto agiografico messo in versi dall’imperatrice Eudocia. Protagonista del narrato la vergine Giustina che respinse, nel nome di Cristo, le profferte amorose di Aglaide e poi di Cipriano. Questi, noto mago, evocò un demone malvagio perché inducesse la giovane a entrare nel suo talamo. L’invocazione di Cristo, la preghiera intensamente offerta da Giustina, non solo mise in fuga il demone, ma determinò la conversione di Cipriano: «E’ una conversione che segue […] lo schema tipico della tradizione apostolica» (p. 10). Tra il VII e l’VIII secolo d. C., il Venerabile Beda inserì tale storia nel Martyrologium. Nella sequela letteraria relativa a Faust, questo racconto riemergerà molto più tardi dall’oblio in cui presto cadde.
In tale tradizione, il patto con il demonio è forse l’elemento più affascinante. Assente nel racconto di Eudocia, si mostra esplicitamente nella leggenda di Teofilo di Adana che, trasmessa attorno alla metà del VI secolo, venne portata sulla scena nel 1263 da Rutboeuf. Teofilo si lega al demonio per vendetta e non per amore, attraverso un patto sottoscritto con il sangue che gli consente di recuperare gli averi perduti. L’eros è centrale, al contrario, nell’Eslavo del demonio di Antonio Mira de Amescua. Gil, il protagonista, è perso d’amore per Leonor e vende, attraverso un patto scritto con il sangue, la sua anima al diavolo Angelio. L’arcangelo Michele richiama Gil alla verità del Vangelo e questi si converte. L’arcangelo gli restituisce allora la cédula del patto, liberandolo dal vincolo con il male. Il San Gil di Amescua e il Cipriano di Calderón de la Barca, sono personaggi che possono essere considerati: «un argine contro il contagio luterano, ma soprattutto una delle risposte letterarie controriformiste al Faust della Riforma» (p. 28). Di fatto, l’opera di de la Barca, El mágico prodigioso, nella quale Cipriano avverte Demonio che nulla possono gli incantesimi contro il libero arbitrio, è un tentativo di confutazione del “servo arbitrio” protestante. Il vero protagonista della vicenda è il Dio del perdono e della misericordia.
Fu Filippo Melantone ad inserire, con coerenza, la storia di Faust nel perimetro ideale della Riforma. In particolare, Faust fu utilizzato da Melantone nella polemica anti papalina e anti italiana dei Riformati. La Santa Sede è presentata quale luogo demoniaco, abitato da maghi e dissoluti. Vivace, a dir poco, fu la risposta di parte cattolica se, più tardi, Heinrich Heine scriverà: «che è “profondamente significativo che nella Historia Catholica il luogo di residenza di Faust, Wittenberg, sia anche il luogo di nascita e il laboratorio del protestantesimo» (p. 30). Lo stesso Heine aggiunge che la trasformazione, in senso negativo, cui andò incontro la figura di Faust, è da attribuirsi al teatro di marionette, Puppenspiel, giunto sul continente dall’Inghilterra (era assai seguito durante l’età di Shakespeare) attraverso l’Olanda. Ciò induce a pensare ai narratori delle vicende faustiane in termini di myth tellers: «che hanno a tessere variazioni attingendo ad un inventario pressoché illimitato» (p. 14). Dall’iniziale fase di trasmissione orale si è passati alla parola scritta, codificata. Il clima dell’età delle guerre di religione, emerge nel Faust di Marlowe, in particolare dalle pagine de, Il massacro di Parigi, inerente alla strage della notte di S. Bartolomeo.
Mefistofele appare con le vesti di un frate francescano e Faust è, ormai, a tutti gli effetti, un demonio irredimibile e la sua dannazione è confermata da Lucifero in persona. Marlowe: «rispetta il canone interpretativo della Riforma che addita la Roma papalina come regno della corruzione» (p. 37). In essa, sembra vivere quella magia demonologica che era stato patrimonio traslato dai neoplatonici all’Europa del Rinascimento e a Cornelio Agrippa. Tali saperi, legati all’ermetismo, in realtà, chiosa Scarpi, in tale fase stavano metamorfizzandosi nello sperimentalismo della scienza moderna: «E’ questa tensione verso la conoscenza che affiora nella Tragical History di Marlowe, una tensione che attanaglia Faust quando si interroga sul sapere» (p. 43). Con l’illuminismo le “certezze” demonologiche iniziarono ad incrinarsi, così come la stessa idea del patto con il demonio. Così accade, che anche il Faust di Goethe sia assetato di conoscenza: «ma l’averla acquisita gli ha sottratto ogni gioia, ogni illusione di rendere migliori gli uomini» (p. 49). La potenza faustiana si è definitivamente umanizzata, ogni tentativo anagogico, di proiettarsi oltre la materia, è destinato al fallimento. Per raggiungere l’immortalità è necessario, infatti, attraversare il regno oscuro della morte.
Lo stigma del Faust goethiano, il disincanto che lo accompagna, grava sulla successiva produzione in tema, sia essa letteraria, musicale o cinematografica, attraversate con competenza esegetica da Scarpi. La parabola discendente ha fine in Valéry: il suo Faust è specchio di una contemporaneità che vive nel guenoniano “Regno della quantità”, nonostante diverse aperture ad una nuova stagione faustiana fossero annunciate dalla teosofa Blavatsky e da George Sand in, Le sette corde della lira.
Giovanni Sessa