Evola fra arte e alchimia: l’Homo faber di Elisabetta Valento – Giovanni Sessa
Nella nota editoriale che apre l’annuario della Fondazione Evola, Studi Evoliani 2021, si dice che il 2022 è stato per Evola, anno mirabile. A marzo una trasmissione televisiva di Paolo Mieli è stata intermente dedicata alla “Rivolta contro il mondo moderno” del filosofo romano. Gli intervenuti, esimi docenti e studenti, hanno tenuto, nonostante qualche errore di fatto e di giudizio, un atteggiamento pacato, lontano dalle, finora consuete, pregiudiziali invettive contro il filosofo. Inoltre, il 18 settembre scorso, si è chiusa al prestigioso museo MART di Rovereto la mostra, Julius Evola e lo spirituale nell’arte, fortemente voluta da Vittorio Sgarbi e dalla Fondazione Evola, curata da Beatrice Avanzi e Giorgio Calcara. Qui, per la prima volta, i numerosi visitatori hanno potuto ammirare ben 55 dipinti del tradizionalista. L’esposizione ha inconfutabilmente accreditato Evola quale artista di livello europeo.
Per acquisire piena contezza del valore della fase artistica del pensatore romano, è a disposizione di lettori e studiosi una nuova edizione del volume di Elisabetta Valento, Homo faber. Julius Evola fra arte e alchimia, con introduzione di Claudia Salaris, Appendice di Giorgio Calcara, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Mediterranee (per ordini: 06/3235433, ordinipv@edizionimediterranee.net, pp. 160, euro 24,50). Il testo uscì nel 1994 e il suo nucleo principale resta invariato nella nuova edizione. E’ arricchito da un rilevante apparto iconografico, nel quale sono riprodotte le immagini delle opere discusse dall’autrice. L’Appendice di Calcara: «dà conto di ciò che d’importante è accaduto in quasi trent’anni di ricerca sull’arte di Julius Evola […] nuove immagini e ritrovamenti pittorici, l’incredibile affermarsi delle opere […] di Evola sul mercato dell’arte internazionale, conseguenti esposizioni e novità editoriali» (p. 7). Salaris rileva che l’impegno artistico del filosofo: «si svolge nel clima dell’avanguardia romana degli anni Dieci e primi Venti, caratterizzata da un intenso fervore sperimentale, espresso anche dall’attività di Balla» (p. 9), presso il cui studio Evola visse la propria iniziazione artistica.
Il Futurismo romano non ebbe tratto settario e estremista e colloquiò con le più diverse tendenze dell’avanguardia europea. In tale contesto, un ruolo di rilievo fu svolto da Prampolin, che curò la rivista Noi, sulle cui colonne scrisse lo stesso Tzara assieme ad esponenti della poesia francese, a De Chirico e Savinio e al giovane Evola. Un aspetto connotante in modo originale l’avanguardia romana è da individuarsi nell’esplicito interesse per l’esoterismo. La cosa è attestata da dipinti di Balla quali, Mercurio passa davanti al sole e dalla rivista, lo ricorda ancora Salaris, L’Italia futurista, in cui le tematiche discusse ruotavano attorno a psichismo, onirismo, ritenuti i fondamenti di una poetica del fantastico, prossima alle suggestioni teosofiche e antroposofiche. Il poeta si riteneva essere latore di facoltà magiche, trasformative, legate al tratto apparentemente a-logico delle proprie produzioni linguistiche. Evola era al centro di tale milieu creativo e paganeggiante. Dal libro della Valento si evince che, nel 1918, egli aveva portato a termine la prima fase della propria attività artistica, definita “idealismo sensoriale”. Dava, pertanto, avvio, il tradizionalista, a una fase ulteriore, all’“astrattismo mistico”, legata alle dottrine sapienziali, in particolare all’alchimia.
Tale passaggio avvenne dopo la pubblicazione del Manifesto Dada 1918, nel quale Evola, come sosterrà in Arte astratta del 1920, troverà profonde consonanze con la propria idea d’arte non medianica, di arte quale “pura espressione”, arte del capriccio, dell’arbitrio, fuori dal tempo. Non aveva forse, proprio Tzara affermato che il Dada era il ritorno a una religione dell’indifferenza: «di tipo quasi buddista»? (p. 11). Si tratta di una vera e propria rottura, nota Salaris, con la logica e la dialettica d’Occidente, in nome dell’esaltazione della creatività, intesa quale atto spontaneo, manifestazione della libertà originaria che, nell’idealismo magico evoliano, sarà considerata principio infondato. La chiave di volta, rileva Valento, per essere proficuamente immessi nel processo di decodificazione della pittura e della poesia evoliana, va individuata nella simbologia alchemica. La studiosa, utilizza la lettura che Evola ha fornito dell’alchimia ne, La tradizione ermetica, al fine di inquadrarne teoricamente la produzione pittorico-poetica.
In termini generali, le procedure alchimiche mirano a portare l’Io individuale da coscienza corporea opaca ad Io attuale, ad essere in atto. L’Ars Regia: «presuppone una metafisica, cioè un ordine di conoscenze sovrasensibili, le quali a loro volta presuppongono la trasmutazione iniziatica della coscienza umana», scriverà Evola ne, La Tradizione ermetica. Nigredo, Albedo e Rubedo, sono i momenti costitutivi dell’iter trasmutativo, mentre l’Oro alchimico simbolizza il raggiungimento del principio. I riferimenti metallurgici nella tradizione ermetica hanno a che fare con l’analogia che lega il microcosmo al macrocosmo. L’operatore, pertanto, è al medesimo tempo, la “materia prima” da trasformare che il fine dell’Opera. L’Uno-Sole dà essenza e sostanza la Tutto. Alla materia, corrisponde il principio Luna, che allude al tratto diveniente del reale. Al Sole corrisponde l’Oro, alla Luna l’Argento.
Nel Corpo, vincolato dal desiderio, l’Anima è paralizzata: per ri-animarla è necessario liberare lo Spirito, che detiene le chiavi della “prigione”, dalle condizioni dell’individuazione. Quando Anima, Spirito e Corpo, torneranno ad essere una sola sostanza indivisa: «il viaggio nelle interiora terrae, che altro non è che un viaggio all’interno di noi stessi, si conclude con l’Opera al Rosso» (p. 55). L’uomo è così risospinto verso quel Centro in cui è possibile vivere l’eliminazione di ogni discrepanza tra essere e divenire. Dal Centro poietico del dadaismo, Evola si è spinto al Centro magico. Il percorso da lui seguito, rileva Valento, è di fatto trascritto nelle opere pittoriche e poetiche che, nel libro, vengono analizzate fin nei dettagli.
Giovanni Sessa