Età Plastica – Andrea Solari
In principio venne il suono. Una melodia talmente struggente da infondere vita come immensa vampa di fuoco irradiante luce. Di questa scaturigine nulla è dato sapere, dacché gli uomini ne intuiscono tutt’al più una lontana presenza. Un luogo di cui non ricordano nulla, soltanto brevi frammenti di reminiscenza. Ma se in un attimo di immenso stupore, come shock improvviso, accompagnato da brividi ardenti, la memoria si infiammasse, esso riapparirebbe nella sua sconvolgente meraviglia. Un luogo ancorato in un tempo ancestrale dove:: “Gli uomini vivevano come dei”1.
Ma cosa vuol dire vivere come dei? Esprimere questa condizione esistenziale non è semplice in un mondo vissuto sotto criteri logici razionali. Si potrebbe intendere come un’epoca in cui l’essere umano non si relazionava con la Natura animato da un desiderio di conoscenza. Ma in quel tempo, che possiamo definire “mitico” egli ne stabiliva una continuativa identificazione di potere. Un’armonia nella quale:”Tutti i beni erano per loro, la fertile terra dava spontaneamente molti e copiosi frutti ed essi tranquilli e contenti si godevano i loro beni, tra molte gioie.”2 Di questo mondo perduto se ne ha traccia soltanto in echi di forze inconsce che guidano l’agire umano. Echi depotenziati a causa di un allontanamento da quella originaria condizione.
Ma l’aspetto su cui vorrei concentrare l’attenzione è che prima della caduta dall’Età dell’oro fino a ciò che ritengo essere l’abisso dell’era transumanista, la vita fu scevra di quell’ossessione alla conoscenza che muoverà l’animo umano successivamente. Nella Natura primordiale non c’era spazio per una idea di progresso fondato sulla ragione, onde per cui una relazione logica poteva determinare una evoluzione materiale e utilitaristica. Non esisteva un cervello programmato a elaborare dati, allo stesso modo di una macchina numerica, con lo scopo di inviare al corpo input specifici di pensiero.
In quel lontano mondo archetipico l’uomo era espressione di una Sapienza, di una armonia cosmica con tutto il creato, con cui era in grado di comunicare, L’età dell’oro era esperienza di un potere indicibile, che nel mondo di oggi può essere soltanto vagamente intuito nel sentire del cuore in opposizione al freddo pensare. Tuttavia in quell’epoca dominata dal sole, non esistendo un ordine prestabilito, poiché nulla era sottoposto alle rigide leggi dell’intelletto, la libertà era sovrana e sconfinava qualsiasi regola, tanto da presupporre altre possibilità! Laddove una volta tra tutti gli esseri trionfava un sapere universale, irruppe un desiderio che spingeva gli uomini a volerne sperimentare l’opposto. Così, da una consapevolezza continuativa della presenza dell’essere, vennero sedotti alla tentazione del non essere, cioè al non sapere. In questo modo, decisero di provare allontanarsi dalla Natura e si accorsero che in quella separazione si alimentava in loro un appetito eccitante di sapere che li sedusse totalmente. Da qui ebbe origine la prima spinta verso l’idea di conoscenza, infatti, più si distaccavano e più godevano del bisogno di sapere.
Ma ci fu un terribile prezzo da pagare per la loro scelta, poiché la scissione causò sì il piacere della ricerca ma anche l’ossessione di aver perso quella pienezza che un tempo investiva la totalità dell’esistenza. Nel tempo mitico l’uomo era espressione di una consapevolezza, di una armonia cosmica con tutte le specie viventi, con cui instaurava una relazione di forza, L’età dell’oro era esperienza vivente come mistero, che nel mondo materiale può essere soltanto vagamente intuito nel sentire del cuore in opposizione al freddo pensare. La caduta non è altro che la descrizione di quella rottura tra “mente” e Natura che trova la sua massima espressione nella civiltà odierna. Infatti, questa è la derivazione involuta della società originaria, è il risultato di quell’interesse verso il non essere generato dall’idea di conoscenza. Per questo motivo gli uomini furono trascinati nell’abisso dell’immaterialità.
Così il loro appartenere alla dimensione naturale venne minacciato da un processo di smaterializzazione, ossia da un progressivo allontanamento dal cuore che un tempo garantiva la testimonianza della presenza della Natura. L’espatriare dalla condizione aurea profuse nell’uomo un graduale processo di idealizzazione. Cosicché cadendo nell’intangibile perse l’antico contatto materiale, conservandone la sola trasfigurazione. Più l’uomo desiderava conoscere più espandeva un vuoto davanti a sé. Ma quando il dolore prodotto dalla ferita ha cominciato a essere insopportabile era troppo tardi. L’età aurea diventò soltanto un’idea infissa nella memoria, senza nessun contenuto sapienziale. Tutta la società umana da lì in poi si inabissò irrimediabilmente come espressione di un pensare nel vuoto. Ogni ente naturale del nuovo mondo si trasformò in una semplice presenza ideale, ossia un oggetto dell’intelletto e non del cuore.
Questa tragedia assunse i crismi di un vero e proprio rovesciamento. L’uomo cominciò a soffrire della perdita e non poteva fare altro che immaginare la possibilità di ritornare all’antica gioia. Egli era dotato soltanto degli strumenti del pensiero razionale che invece di ricondurlo a quel mondo lo portavano esattamente nella direzione opposta. L’effetto di questa condanna, probabilmente inferta dagli dei, suscitò un vero e proprio sentimento di rivincita da parte degli uomini che non potendo rivivere il mondo perduto decisero di affidarsi alla ragione per simularne l’esistenza. Qui troviamo forse in potenza l’origine di una guerra che vedrà contrapposti dei e cyborg. Il pericolo che a mio avviso sta insorgendo è credere di poter simulare l’età dell’oro con una età virtuale. Pur accettando l’indiscutibile fascino che può esercitare sulle nuove generazioni, quest’ultima rischia di essere una imitazione ingannevole di quella originale. Forse l’unico vero rovesciamento di cui è lecito parlare non è da intendersi in ciò che è opposto al bene ma nell’azione del cervello umano che pretende di trasferire l’esaudimento dei propri bisogni in una realtà che ne simula un appagamento.
Accettare la nostra condizione di mortali è la più alta esperienza spirituale e religiosa, perché nel dolore l’uomo si fortifica, nella sofferenza diviene eroe, suprema sintesi di ogni iniziazione, e questi sono poteri estranei a una società dilaniata dall’eudemonismo virtuale e farlocco. Come sia possibile ritenersi tradizionalista e poi appoggiare la spregiudicata campagna transumanista mi sfugge terribilmente. Ci si riempe la bocca parlando di morte iniziatica per poi genuflettersi all’idea di un’immortalità possibile grazie al progresso tecnologico. Dov’è finita tutta la preparazione al passaggio nel reame degli dei Mani? Cosa diranno di noi i nostri antenati? Le prove iniziatiche saranno sostituite da piacevoli scorribande in realtà in cui si può avere tutto con un click? Il transumanesimo rappresenta la vittoria definitiva di quel uomo indebolito di cui parlava anche Nietzsche, che pur di scongiurare la morte e la sofferenza accetta qualsiasi sottomissione e violenza psicologica.
Viviamo in mezzo all’inquietante insorgere di automi tatuati e donne di plastica che interagiscono attraverso una sconfortante omologazione a un depresso pensiero unico, dove trionfano apparenza e indifferenza. Tutto questo non è sufficiente a far capire che la direzione intrapresa è totalmente sbagliata?
Queste poche righe non piaceranno a chi esige sempre rigore scientifico. Tuttavia, a mio avviso, non si può non sentire la tremenda involuzione animica che sta colpendo l’umanità intera. Laddove tutto diventa possibile senza impegno, dove non esiste più il sacrificio interiore come eco di una regalità divina, ma soltanto il passivo godere senza sforzo delle proprie sensazioni, in quel sentire trionfa l’uomo Cyborg, un depresso fruitore dell’ibrido. E quando questa specie di automa meccanico venererà il Demiurgo macchina come colui che lo ha modificato a sua immagine e somiglianza, allora l’uomo patirà forse la più terribile delle torture, ossia l’annullamento definitivo della Natura dentro di sé. Così, esiliato nel proprio cervello, come Edipo sbatterà i pugni contro la piccola cella in cui si sentirà rinchiuso. Dalla sua galera cerebrale non potrà più evadere ed emetterà grida lancinanti, supplicando alle sensazioni del cuore di liberarlo da quella tortura, ma ad attenderlo troverà soltanto la pazzia.
Note:
1 – Esiodo, Le opere e i giorni, Rizzoli p.101.
2 – Ibidem, p.101.
Andrea Solari