Eliphas Lévi nell’opera di Villiers de L’Isle-Adam – 2^ parte – Stefano Eugenio Bona
(prosegue…)
Andremo ora a offrire una parziale traduzione del capitolo terzo, “Le Monde Occulte”, che si apre dopo l’uccisione del Comandante Kaspar d’Auërsperg. Precedentemente, Herr Zacharias (il maggiordomo del castello) spiega che il padre di Axël, Gerard d’Auërsperg, seppellì il tesoro dei vari stati tedeschi nelle loro proprietà, per proteggerlo dall’invasione napoleonica. Il Comandante vuole conoscere e profanare questo segreto di famiglia, provocando l’ira funesta del cugino. Verso Kaspar, Axël mostra un disprezzo assoluto; egli è offeso a morte da chi viene a proporre una gioia materiale, da chi non riconosce le sfumature dell’intelletto e della sensibilità, si rivolta contro la cecità e la volgarità plebea, accusando nel parente quella umanità di ventre da superare in un balzo, iato incolmabile persino con le arti ermetiche, come vedremo nel finale. Ma in questo punto le difende dalla ciarlataneria del cugino, che viene a rappresentare il nobile sradicato, ormai deprezzato dalla sua missione, appaiabile in tutto al progressista. Questo è il tanghero che si permette di prenderlo in giro, appunto sulla sua ragione di vita: Sognare lo sposalizio del mercurio e dello zolfo….Conosci l’oro potabile che rimane nel fondo del crogiuolo? – Chiede con arroganza (e con scarsa cognizione sui termini…), in una sintesi vivente degli ultimi uomini dei Racconti Crudeli: gli “uccisori di cigni”, i pascolanti cittadini che pontificano dalla chiesa dell’odiatissimo Comte. Il protagonista risponde con estremo rigore, sbigottendo il cugino, e qui l’idealità è al massimo, delle mire dell’oro profano non vuole sentir neppur l’alito, si offende per il solo fatto di aver ricevuto tale proposta (di cui avrebbe pure beneficiato). La bellezza adamantina raramente ha avuto un tono così severo:
I miei diritti al silenzio e all’oblio…È come se tu avessi inontrato il tuono, ti sopprimerò senza collera, come si scosta una pietra dal proprio camino, senza che la tua morte interrompa, nel mio spirito, il corso di un solo pensiero – più alti di questo che qui ci occupa – e che ti sono sconosciuti. Tu sei niente e ti nego, senza temere un solo rimorso. Io non ce l’ho con te, io non ti vedo. Per me, tu sei inanimato: tu sei l’eterna falena che, di lei stessa, è accorsa a distruggersi dentro l’eterna fiaccola.
Ci riserviamo dunque l’onere e l’onore di una traduzione ampia, per il valore intrinseco e per l’incredibile dimenticanza dell’editoria italiana nei riguardi di quest’opera. Il saggio è sorto anche per la necessità di una prima versione italiana. Notevoli i richiami diretti ad un piano di magia pratica, che non è dato sapere quanto esperito da Villiers. Qui parla il Maestro Janus: Realizzati nella tua luce astrale! Sorgi! Mieti! Monta! Divieni il tuo proprio fiore! Tu non sei quel che pensi: pensati dunque eterno. Ed ora la sorgente di luce dottrinale consultata: L’isolamento consiste per il pensiero in una assoluta indipendenza, per il cuore in una assoluta libertà, per il senso in una perfetta continenza. Ogni uomo che abbia pregiudizi o timori, ogni individuo che abbia delle passioni e ne sia schiavo, è incapace di riunire e di coagulare, secondo l’espressione di Kunrath, la luce astrale o anima della terra (perché non ha il dominio del proprio corpo astrale) (1).
Continuiamo con la traduzione, è il momento dei gravi interrogativi esistenziali. Il protagonista ricerca la realizzazione, ma non si fida completamente del Maestro: Chi mi garantisce di persistere, cosciente di me stesso, nell’oceano supremo dei nomi, delle razze, delle forme?
Janus: Sappi acquisire gia qui, il potere di divenire quello che, nell’Al di Là ti minaccia…
Axel: Quale impulso certo centralizzerebbe, secondo te, dentro il mio essere – queste stesse forze avverse?
Janus: Spiritualizza il tuo corpo: sublimati. Ti annullerai meglio in un istante che in un secolo, nell’eternità? Come distinguere uno dall’altro? Ognuno degli istanti della tua attualità fluida è proiettata, attraverso te, circolarmente e per sempre. Tu lo ritroverai orbicolare, infinitizzato in te medesimo. La tua personalità non è che un’obbligazione che devi assolvere fino all’ultima fibra, fino all’ultima sensazione, se vuoi vincere sopra l’immensa miseria del Divenire.
L’uomo storico da scavare al di là della personalità…Per ciò il maestro rimane severo e impassibile. In Claire Lenoir è illuminante a riguardo un dialogo tra l’idealista, wagneriano e alchimista Césaire Lenoir e il materialista archetipico Tribulat Bonhomet (ironia caustica nel nome: tribolato il buon ometto…): Anche voi, potreste dirmi se l’essere esteriore, apparente, che ci mostrate, che si manifesta ai nostri sensi, è realmente quello che voi sapete esistere in voi? […] – E – continuò – questo essere esteriore, l’unico accessibile e percettibile, non ha forse in sé il proprio spettatore, il proprio contraddittore e il proprio giudice? […] Quell’essere occulto, è l’unico ad essere REALE! Ed è lui che costituisce la personalità. Il corpo apparente non è altro che la contraddizione dell’altro, è u n velo che si ispessisce o si assottiglia a seconda della forza di traslucidità di chi lo guarda, e l’essere occulto non si lascia intuire e riconoscere se non attraverso l’espressione dei lineamenti della maschera mortale. L’organismo, insomma, non è che un pretesto per il corpo luminoso che lo penetra. Il corpo apparente è anzi così poco quello reale, che molto spesso non è un uomo quello che abita nella forma umana. […] Sì vi dico, e potete credermi, il corpo apparente non è quello reale; esso cambia di atomi in ogni istante, si rinnova interamente ogni sei o sette mesi: non ESISTE,per l’esattezza. Non è altro che un divenire nel Divenire (2).
In definitiva quell’individuo storico è la nostra anima solare involuta in un nembo di nera nebbia (3). Espressione poetica del Kremmerz a significare lo stesso concetto, il fondo inesplorato ove giace il nucleo dell’entità umana individuata. Magister Janus avvisa: tutti i “grandi iniziati” che si mostrano in pompa magna non sono altro che pupi su una passerella girevole, quella della loro vanità esposta. I veri maestri sono in una cortina invisibile, nascosti tra loro stessi: I magi reali non lasciano il loro nome nella memoria dei passanti e a loro sono sempre sconosciuti… I magi reali come si dispensano di vivere – si dispensano pure di morire.
Fiamma d’elezione che protegge gli arcani, essi sono pre-destinati: Io non istruisco: io svelo…Nessuno si inizia che da se stesso…
Axël però manifesta sempre una brama romantica, non la quiete necessaria: Potrò trasmutare i metalli, come Hermes? Disporre i magneti, come Paracelso? Resuscitare i morti, come Apollonio di Tiana? Troverò anch’io, i pentacoli contro le circostanze fatali e contro i Terrori della Notte? L’Elixir di lunga vita? Come Raimondo Lullo la polvere di proiezione? Come il Cosmopolita – la Pietra filosofale?
Il Maestro redarguisce dal parlare a cuor leggero di certi argomenti: In guardia da pronunciare parole, curiosità in vano: sulle tue labbra queste espressioni sono puramente verbali e non ne sapresti intendere ancora il senso vivente. La parola è materializzazione della volontà e crea forme, occore cautela e uno stato di neutralità prima di lanciare sassi nello stagno, poiché i cerchi del Logos amplificano ed esondano dal perimetro del discorso pronunciato. Il dialogo andrebbe riportato tutto, contiene la messa in guardia del vero maestro nei confronti del bussante, sprovveduto alle porte del Mistero. Urge attenzione circa gli atti non diretti da una volontà svincolata dal piano istintuale e sensibile (rispettivamente saturniano e lunare, direbbe Kremmerz): Ogni volta che tu “ami”, tu muori altrettanto. Se tu non spogli per sempre, d’un sol colpo, tutta la misericordia per l’attrazioni dell’argilla, il tuo spirito, più greve di ogni sogno compiuto, sarà penetrato dall’Istinto, s’incatenerà nella Gravità, e il tuo momento una volta passato, ninnolo, nell’Impersonale, di tutti i venti del Limite, disseminato, coscienza sparsa nei tuoi antichi desideri, vane scintille, tu sei severamente perduto. Non proiettare giammai che sul Lume-Increato la mole dei tuoi atti e dei tuoi pensieri.
Axël: Infine, ho conquistato il diritto di respirare sulla montagna prima di proseguire più in alto! Lasciami osservare, al meno come un addio, quello che abbandono.
Janus: Uno spirito realmente elevato, vale a dire fendente gli intelletti eterici nella sua assunzione divina, domandando il favore di una fermata, di una caduta, sarebbe intelligibile per se stesso? È, essenzialmente, troppo tardi, in te, per queste ombre di concetti irreali avvolti in limbi d’incoscienza, nei quali si contraddice la vitalità del verbo. Colui che si arresta sulla soglia e si distrae, orgoglioso dei gradini scalati, entra e ridiscende il suo onore, quasi sorpreso di averlo mai avuto (l’onore)…
Poi comprende in parte il nocciolo, il distanziamento: Posso lasciarmi andare alla corrente delle mie passioni senza esserne invischiato, come un navigatore in mezzo al fiume.
Janus: Un torrente che nessuno risale: non ti sto mentendo, cuore affranto! Solo un Liberato può attardarsi, sfiorando la terra, senza cessare per ciò d’essere ugualmente del Cielo – come il raggio d’un sole può errare quaggiù, e vivificare del suo calore benefico la terra, – senza, per questo, fuggire il suo nativo focolare celeste. Divieni un essere di luce, prima di sfidare…(con un leggero sorriso) i nostri crepuscoli. – Nuotare nei gorghi, sfuggire e rituffarsi: la via del Tao.
Axël- Sono avviluppato, lo dico, nel manto d’Apollonio! Ho la Lucerna – e, anche, il Bastone sacro per sostenere la lunga marcia! A cosa mi sarebbero servite così tante veglie e studi- così tanti pensieri, ahimè Se fossi senza aver acquisito il potere di respingere…
Janus: Qui sei l’ipocrita della tua propria esperanza.. Attorno un corpo sensuale, il Manto si sfrangia, si logora e si buca, lasciando passare il vento dei sepolcri; nella mano sinistra dell’Impudicizia, la Lucerna vacilla e decresce, pronta ad estinguersi: nella destra dell’Iniziato che si allontana, il Bastone d’appoggio si rimpicciolisce, fino a divenire un ramo di legname morto. Autorizzarsi l’immunità d’un merito a tentare, impunemente, azioni inferiori, è quindi aver merito? – Se il tuo spirito è investito di una forza e di una scintilla santa, cessa per sempre di ammettere, con compiacenza, in lui, la presenza di tali pensieri. – In ciascuna delle tue idee, anche così noiose, tu infondi il tuo essere, e questa idea, con ciò, diviene uno dei
momenti virtuali dell’Apparire-futuro che la tua vita partorisce e che la Morte ti obbligherà ad incorporare. Giacché le entità vibrano nell’infinita gestazione di ciò che le totalizza, e la Morte mette al mondo l’assoluto. La tua esistenza non è che l’agitazione del tuo essere nell’utero occulto dove si elabora il tuo futuro terminale – la tua concezione decisiva – il dovere di riconquistarti sopra il mondo.
Axël: compito gravoso!
Janus: Se tu lo vuoi allegerire, tu lo perverti: tu lo violi. Tu speri di transigere con ciò che è senza limiti, e fluttuare, incerto, nell’onere, senza definirti nella tua propria angoscia? Quali sarebbero dunque le pratiche disciplinari dell’asceta, se non i gradi stessi dell’affrancamento di uno spirito che si libera e si ritrova, si recupera e si elargisce nella sua incommensurabile entità? L’attrattiva di tutta la dissipazione naturale non è che un ostacolo – tanto pericoloso che miserabile.
Axël: E – se la parola dei figli della donna non portasse al di là di …Questa menzogna di spazio che avvinghia la terra? No! No! Se tutta questa minacciosa dottrina fosse la grande Verità, bisognerebbe maledirla: l’universo non sarebbe che una piaga eterna.
Qui sopra ci sono elementi tradotti quasi fedelmente dal Dogma e Rituale dell’Alta Magia di Lévi, in un linguaggio non facile e al limite con l’incomprensibile, se non si tiene conto di due fattori: la grammatica utilizzata in pura alchimia stilla da un utilizzatore del cerebro come della penna, involandosi nell’irrapresentabile ad ogni tensione d’Assoluto. 2) Quando deve far parlare la coscienza occulta presente in tutte le sue opere (come a custodia degli svolgimenti in atto nelle trame), non esistono più limiti e tale atteggiamento venne scambiato per una sorta di prolissa smania di mettersi in mostra. Non v’è artifizio nella valle del fare anima di questo maestro di stile. Veniamo al lato tragico. Janus implora all’iniziato di rinunciare alla “doppia illusione dell’Oro e dell’Amore”, svincolandosi dal tempo e sottraendosi alla maledizione del ciclo delle incarnazioni. Il suggerimento che gli dà non ha nulla a che vedere con pompe cerimoniose e intricate tecniche, ma lo invita a concentrarsi sul fatto che il vero mago non conosce sommovimenti della passione, non è invischiato in alcun legame. Però sia Sara sia Axël rifiutano la vita ascetica delineata dal Magister, poiché a loro non pertiene una vita di rinuncia ed annullamento. Loro sono esempi incarnati di una possibilità unitiva vivente, che non deve fuggire il mondo e anzi deve completarsi nonostante-e-proprio-in-esso. Il fluido iper romantico in cui è immerso il dramma non permette una soluzione armoniosa. I due puri non sono fatti per il mondo, sono eroi tragici e non iniziatici e non è possibile interpretare la questione come una differenza qualitativa: siamo nel finale del Tristano e Isotta e nella medesima virulenza superomistica del Trionfo della Morte di d’Annunzio. Villiers spinge ai limiti il contrasto tra l’ideale e la china intrapresa dal mondo industriale: elemento non così limitante, donare catarsi attraverso l’arte è missione complicatissima e di livello più elevato rispetto a quella di molta paccottiglia pseudo-iniziatica. L’arte è una metafisica pratica, per dirla col Vate. Villiers lo sapeva con anticipo. L’attenzione sull’oro come motore di sventura è molto probabile derivi dall’Oro del Reno, i richiami sono evidenti. Anche in quel caso avrebbe dovuto rimanere in fondo, custodito contro la cupidigia, evitando il simbolico anello, del tutto ripreso da Tolkien, forgiato per ghermire e incatenare i Nibelunghi, nel libretto. Non cedere alle lusinghe terrene rientra dunque nell’ottica di un wagnerismo spinto, se così possiamo dire. Schermarsi per operare su altri piani è il lato derivato invece da Lévi. In Wagner, per forgiare l’anello Alberich respinge l’amore, non può servire altri padroni. Axël rifiuta entrambe le cose. La mira è ad una purificazione totale. Infatti la proposta del tesoro offende il cavaliere dell’ideale, un puro folle che non può scendere a patti nemmeno col proprio supposto vantaggio, nemmeno con quelle lusinghe che vorrebbero intrappolarlo.
Inoltre consideriamo che l’opera è pur sempre teatrale e simbolista, sulla carta, nemmeno la magia può rendere giustizia al tormento che porta in petto il protagonista: naufraga sia la via a cui sarebbe destinato, sia la consumazione dell’amore nel qui ed ora della Terra. Il protagonista vive su di sé una febbre della mente, concependo nessun altro amore se non quello “tristanico”. Axël vuole immortalare il momento perfetto e non ambisce ad un domani in cui reiterare il sommo ideale, non vuole “l’ennui de continuer”. Alla fine lo dice a chiare lettere: il vivere materiale spetta ai servi. Qui si apre un punto comunque cruciale nell’esegesi dell’interesse villersiano per la magia: perché il protagonista rifiuta di andare avanti nel percorso che il maestro propone? Scarsa fiducia in se stesso o nel modello ascetico che ha innanzi? Ripetiamo che le maître Janus è ricalcato su Lévi. Quindi siamo di fronte ad una esitazione, è vero, ed Axël assume caratteristiche dell’uomo Villiers, unitamente alla lezione del maestro in carne ed ossa: proprio su questa incompiutezza tragica torna Lévi, il quale dopo la famosa invocazione di Apollonio di Tiana smise con la magia pratica, divenendo un teorico. Janus rappresenta la parte disciplinata, pratica e volitiva del mago Lévi, mentre il protagonista rappresenta l’uomo Lévi coi suoi turbamenti e i suoi dubbi. E proprio ove sembra allontanarsi dal magismo del maestro, in realtà ci si ricongiunge:
Non si deve confondere Magia con Magismo. Magia è una forza occulta, Magismo è una dottrina che trasforma questa forza in un potere. Un Mago senza Magismo è solo uno stregone. Un Magista senza Magia è soltanto uno che sa. L’autore di quest’opera è un Magista che non pratica la Magia; è un uomo di studio e non di fenomeni (4).
Note:
[1] Elifas Lévi, Il Dogma dell’Alta Magia, Atanòr, Roma, 2004, p. 79
[2] Op. cit., pp. 103-105
[3] Giuliano Kremmerz – Medicina Dei, in Op.cit. Vol. 2, p. 388
[4] Eliphas Lévi, I Sette Paradossi Magici, Mediterranee, Roma, 2020, p. 79
(fine)
Stefano Eugenio Bona