Eliphas Lévi nell’opera di Villiers de L’Isle-Adam – 1^ parte – Stefano Eugenio Bona
Auguste Villiers de L’Isle-Adam, a distanza di più di centotrent’anni dalla sua morte, è rimasto quell’avventuriero dell’inconoscibile ai margini, eppure riconosciuto maestro da tanti, quantomeno per quel bisogno d’evasione, sì necessaro in fine Ottocento: Un acuito bisogno del sogno, un’accresciuta sentimentalità, non pure nella classe così detta intellettuale ma nelle classi inferiori, in quelle a punto che comprano per pochi centesimi una lugubre novella del conte Villiers de l’Isle-Adam o una leggenda erotica d’Armando Silvestre e si appassionano alle fantasticherie retoriche dell’onorevole De Zerbi o alle evocazioni spiritiche di Antonio Fogazzaro. Così scriveva il d’Annunzio giornalista[1], sottolineando una scarsa considerazione per il Nostro (liquidando come meramente gotico il suo genere), ma al contempo dimostra di essere sorprendentemente all’avanguardia (l’articolo è di appena tre anni dopo la morte di Villiers, pressoché sconosciuto nell’Italia dell’epoca). Tuttavia i rapporti tra Villiers de L’Isle-Adam e l’occultismo non sono ancora stati approfonditi a dovere, almeno in Italia, visto che in Francia qualcosa si è mosso[2], e la direzione di quel che vogliamo presentarvi è foriera di ulteriori spunti. Parliamo del legame con il maggior propagatore della sapienza arcana nel cuore dell’Ottocento, Eliphas Lévi, e del ruolo di tale lettura principalmente in una delle opere più conosciute di Villiers: Axël. Come ormai è riconosciuto da più parti, l’origine dell’occultismo contemporaneo va fissata a doppia mandata con la personalità dell’abate Alphonse Louis Constant, tra i tanti a renderne nota possiamo citare Papus (che a sua volta si inscrive in discendenza ideale) in “Magia Bianca e Magia Nera”: Per renderci conto esattamente delle origini immediate dell’occultismo contemporaneo, diamo un rapido colpo d’occhio allo stato del movimento nel 1850…È all’autore del Dogma e Rituale dell’Alta Magia che si deve l’interesse di molti, in questo momento, per la Cabala e l’occultismo teorico. Wronski, Louis Lucas ed altri avevano chiesto all’occultismo delle vie di adattamento, ma Eliphas, solo, si consacra all’insegnamento metodico e alla storia dell’occulto.[3]
Pier Luca Pierini, in un vecchio articolo ora ristampato, traccia ulteriormente l’influenza del maestro, non solo sul mondo esoterico, nondimeno su alcuni grandi nomi della cultura e dell’arte: Idolatrato da Papus, al secolo dr. Gerard Encausse (enfant prodige dell’esoterismo, Gran Maestro dell’Ordine Cabalistico della Rosa + Croce e di una miriade di altri ordini e sott’ordini iniziatici), tradotto e glorificato dall’erudito Gran Maestro di un ramo della Golden Dawn, Arthur Edward Waite, è seguito e onorato da uno stuolo di ammiratori, tra i quali spiccano nomi di rilievo: Honoré de Balzac, Paul Gauguin, Victor Hugo, Michelet e Alexandre Dumas.[4] Anche Villiers è nel novero dei debitori, ed anzi si ipotizza persino una avvenuta conoscenza personale tra i due, nei salotti parigini. Ma se una certezza non può esserci, dati alla mano, nessun dubbio riguardo una profonda influenza, riversata in rivoli d’oro, luccicanti tra le righe di alcune delle opere più enigmatiche che la letteratura francese ed europea ricordi.
Le opere principali di Lévi furono tutte pubblicate prima che L’Isle-Adam intraprendesse la sua missione di penna, iniziando a donare frutti coagulati tanto nel tormento quanto nella purezza ideale. Il Maestro si trova nominato in Claire Lenoir (1867) per la prima volta: Andava pazzo per Eliphas Lévi, Raimondo Lullo, Mesmer e Guillaume Postel…Mi citava l’abate astrologo Tritemio, giurava sul nome di Aureolus Theophrastus Bombastus, detto “il divino Paracelso”. Gaffarel e il popolare Swedenborg lo estasiavano fino al delirio, e pretendeva che l’Inferno di purificazione, analizzato da Reynaud, fosse più che razionale. I moderni, Mirville, Crookes e Kardec, lo facevano scivolare in profonde fantasticherie. Credeva ai Resuscitati d’Irlanda, ai vampiri valacchi, al malocchio; e a sostegno delle sue tesi mi citava alcuni passi del quinto volume della mistica di Görres. La cosa più stupefacente consisteva nel fatto che Lenoir era un hegeliano accanito e ben addotrinato: come conciliava tutto ciò?[5] – Sta evidentemente parlando di se stesso, trasfuso nel protagonista Césaire Lenoir, inquadrato dal bolso materialista Tribulat Bonhomet, che lo descrive con grande ansia e preoccupazione. Villiers infatti coniugava un interesse per la filosofia hegeliana con la ricerca esoterica; questa opera è la prima realmente compiuta, rappresenta il punto di rottura della diga. Inaugura la tradizione perpetrata fino alla fine dei suoi giorni, quella che vuole in ogni testo un saccente archetipo del secolo XIX, positivista, credente nel migliore dei mondi possibili. Lo svolgersi delle trame è un continuo mettere alla berlina il personaggio in questione, mentre nel frattempo viene descritta la vita occulta, la via inafferrabile dell’eroico protagonista. L’ironia in campo è debitrice financo di Voltaire, citato anch’egli in quest’opera prima come modello di disincanto, insieme a Machiavelli. Villiers è una personalità magmatica davvero e se nel personaggio maschile troviamo quanto sopra, nella di lui moglie Claire Lenoir si deposita il suo precipuo cattolicesimo: una forma simile a quella di d’Aurevilly, Baudelaire, Péladan…Un crisma che non evita di gustare la vita nel calice.
Tornando a Lévi-Villiers: nelle fenditure degli ambienti letterari/esoterici parigini non sarà stato difficile tale incontro, nel lasso tra l’affaccio letterario del secondo e la morte del primo (1875). Le prove mancano, eppure la lettera riportata dal miglior biografo di Lévi, Paul Chacornac[6], paventa qualcosa tra le righe e rende bene l’atmosfera del periodo. Qui si narra che Judith Mendès, figlia di Theophile Gautier, al centro della vita culturale dell’epoca (a casa del padre ebbe modo di frequentare il gotha: da Flaubert a Baudelaire), porse a Lévi un saluto per conto del marito Catulle, domandando “lezioni di metafisica”, lusingandolo e invitandolo pressantemente a recarsi nel loro famoso salotto letterario, ove avrebbe trovato molti scrittori protesi ad ascoltarlo con venerazione. Non vi sono evidenze scritte, ma non sarà troppo peregrino inserire Villiers in questo ambiente. Lévi viveva appartato ma sprigionava grande fascino su quella generazione di letterati, spesso ondivaghi e incerti sulla via da prendere, proprio per questo incuriositi di poter allargare i propri orizzonti mediante un consulto col vecchio mago. Parigi, al tempo, era un Omphalos vivacissimo di stimoli e iniziative, possiamo ricordare il cabaret “Le Chat Noir”, uno dei principali luoghi di incontro per artisti, poeti e chansonniers durante la Belle Epoque. Sede del circolo letterario Les Hydropathes di Èmile Goudeau, “Le Chat Noir” era frequentato da Paul Verlaine, Anatole France e Victor-Émile Michelet, tra gli altri. Colà si organizzavano anche i famosi incontri sullo spiritismo del teosofo e astronomo Camille Flammarion, ai quali assistevano Stanislas de Guaita e Papus, ma anche i cultori Villiers e Catulle Mendès (molto addentro a studi cabalistici, anche per ascendenze ebraiche). Dogma e Rituale dell’Alta Magia, l’opera più importante di Lévi, fu profondamente meditata da Villiers, arrivando a consigliarne la lettura persino all’amico ed esecutore testamentario Mallarmé[7], come scrive l’11 settembre 1886 in una lettera contenuta nel prezioso studio “L’Europe des médiums et des initiés”di Jean Prieur. Dallo stesso testo apprendiamo che fu Mendès a far conoscere Lévi a Villiers, a livello teoretico: difficile non si sia passati anche nello stesso salotto. Questa lettura tracciò come un solco nella vita e nell’opera di Villiers, ne è testimonianza una sorta di corrispondenza testuale tra le opere principali dei due autori: è infatti nell’Axël, ove sarà palese il debito. E non si tratta di mere allusioni, di un’influenza stravolta per fini letterari, l’aristocratico sprezzante utilizza il testo del magista in maniera quasi fedele, basta un confronto per renderse conto. Axël è il manifesto simbolista e il tripudio wagneriano dell’arte totale, ed ebbe un ruolo primario nell’introdurre il culto del maestro tedesco in Francia. Pubblicato un anno dopo la morte di Villiers (1890), fu un testo liberatorio, dopo decenni di teatro dal gusto stantìo e borghese, un ponte mai del tutto calcato (pochissime le rappresentazioni), un’aurora per gli artisti del sogno e dell’incanto: Chatueabriand imprimette il colore al Romanticismo, come Villiers il suo alle prime manifestazioni del Simbolismo.[8]
Per questo lato innovativo c’è chi lo accosta alle rivoluzioni apportate qualche decennio dopo da Antonin Artaud. Entrambi vilipesero il teatro occidentale ridotto a spettacolo e rappresentazione. La parola innanzitutto, la parola che smargina ed emerge dal buio, la parola che si manifesta come squarcio metafisico, la poesia in loro mette fine ad ogni principio di utilizzazione del testo. Villiers sembra anticipare gli abbandoni artaudiani, portati all’estremo poi da Carmelo Bene. Il testo non sottolinea l’azione, ma è pregno fluido vivente e ciò è notevolmente messo in luce da una citazione, presa pari pari da Eliphas Lévi, che compare all’inizio: Tout verbe, dans le cercle de son action, crée ce qu’il exprime. Mesure donc ce que tu accordes de volonté aux fictions de ton esprit – Praticamente la magia evocatoria che si dà con la mantrizzazione della parola, elemento che ritroveremo nel Gruppo di Ur (in Luce/Parise), così di passaggio… Ciò avviene quando il Comandante Kaspar d’Auërsperg, nella scena V della seconda parte, apre un tomo dalla libreria, chiamato “Traité des Causes secondes”, che fa il verso probabilmente al Trattato delle Sette Seconde Cause di Tritemio… In estrema sintesi la trama. Quattro scene: all’inizio il focus è su Sarade Maupers, che deve celebrare la sua ordinazione monastica nelle Fiandre francesi, ma finisce col creare uno scandalo. Rimane silenziosa fino alla fine della cerimonia, implacabile, misteriosa: “Acceptes-tu la Lumière, l’Espérance et la Vie?” – “Non”. Quindi fugge dal convento. L’eroina romantica strappa il velo e dice sì alla vita e ad una ricerca di ordine diverso, ha lampi negli occhi figli di un potere che la madre superiora riconosce non essere quello frutto delle preghiere. La giovane trovò infatti una pergamena Rosa Croce: dopo averla sorpresa in profonda meditazione su di essa, la badessa si convince chela de Maupers abbia decifrato qualche nota tenebrosa; qualche strano segreto – una suggestione…..sovrana!.
Le altre tre scene si sviluppano in Foresta Nera, nel castello degli Auërsperg, ove Axël si è ritirato in profondi studi, sotto la guida del Maestro Janus. Anche lui risponderà negativamente alla proposta di consacrarsi ad una vita fuori dal mondo, con la stessa formula, con lo stesso secco no di Sara. In più respinge la lusinga del tesoro nascosto attorno, arrivando ad uccidere il cugino che glielo propone. È un dramma filosofico delizioso, un portale aperto su reami nascosti ove fluttuano i monologhi straripanti dei protagonisti. Intorno vento, nebbia e neve, il lettore è gettato in pieno nell’atmosfera del castello, tra la polvere dei tomi consultati e il luccichìo delle gemme, degli ori e delle perle che Sara vorrebbe prelevare dalla cripta, giunta al Castello intenzionata a rubare il tesoro. Ma il fato ha in serbo altro, entrambi lo comprendono dopo le prime schermaglie. Ebbri di una gloria che non è di questa terra, insoddisfatti di vivere un amore in un mondo che non sentono loro, decidono di suicidarsi in preda ad un furore unitivo che li travalica. Mentre il Sole si leva, incalza il ritmo e la fine delle loro vite sarà quella dell’opera. Le assonanze tra Axël e Dogma e Rituale dell’Alta Magia sono davvero palesi, scorrendo il testo. È lo stesso principio di roi pauvre, re povero, in Axël, a suggerire un’elezione altra. Il “Fair is Foul, and Foul is Fair” porta al Macbeth, che in tale doppia visione pone la teatralizzazione del mondo. Axël è infatti re-mago nascosto che deve apparire come Folle agli occhi degli uomini del mondo. Anche qui una palmare assonanza (per non parlare di un ricalco): Lévi parla espressamente di un sacerdozio invisibile alla moltitudine, che non ha nulla a che spartire con i principii del mondo. Nel Dogma si dice che chi possiede il grande arcano è più che un re: occorre guardare a se stessi come re-sacerdoti misconosciuti, considerando la propria vocazione nel trinomio baudelairiano: Non esistono che tre esseri rispettabili: il sacerdote, il guerriero, il poeta…Il risveglio porta con sé responsabilità, per il mondo della creazione intellettuale o artistica, per quello dello spirito e per quello dell’eroismo. Uno stile levigato, un tono morbido e vaporoso, tutto permeato dall’insopprimibile anelito dei bagni d’azzurro (ci direbbe Emilio Praga), mai domo nella sua ricerca dell’ideale Villiers sente ugualmente la tragica sconfitta dei mezzi umani, per andare a Chez Les Passants (anch’esso postumo):
Tutte le libere intelligenze aventi il senso del sublime, sanno che il Genio puro è essenzialmente silenzioso, e che irradia la sua rivelazione tramite quel che sottintende piuttosto che attraverso quel che esprime. In effetto, quando deve apparire, si rende sensibile agli altri spiriti, è costretto a sminuirsi per entrare nell’Accessibile. La sua prima decadenza consiste, innanzitutto, nel fare ricorso alla parola, la parola non potendo essere neanche un debolissimo eco del suo pensiero.Secondariamente, è obbligato ad accettare un velo esteriore – un narrazione, una trama, un racconto, – in cui la grossolanità è necessaria alla manifestazione della sua potenza e alla quale egli (il genio) resta completamente estraneo[…] Il genio non ha per nulla la missione di creare, ma di rischiare cio che, senza di lui, sarebbe condannato all’oblio. È l’ordinatore del Caos, egli nomina, separa e dispone elementi disparati; e quando noi siamo trasportati dall’entusiasmo davanti ad un’opera sublime, non è perché ha creato una idea in noi: è perché, sotto l’influenza divina del genio, questa idea, che fu in noi, oscura a essa stessa, s’è ridestata come la figlia di Giario, al tocco di colui che viene dall’alto.[9]
Lungo tutto il suo capolavoro si scorge questa precarietà, questa perenne insufficienza a rendere giustizia delle pure regioni dello spirito. Eppure persevera, nulla ferma il Villiers uomo, costretto nella vita ad una figura di indigente, pagliaccio vestito di stracci che all’occorrenza doveva arrangiarsi con lavoretti miseri. I buoni borghesi sbertucciati costantemente, non potevano sospettare la tenacia di quel vagabondo delle stelle, clochard dell’Assoluto. Una cosa non si può mai piegare: il potere della volontà, quella forza trasfigurante che in Axël tutto distrugge a proprio vantaggio (e svantaggio). Pensa a svilupparti nella meditazione, a purificare, al fuoco delle prove e dei sacrifici, l’influsso infinito della tua volontà! A non essere che una intelligenza affrancata dai voti e dai legami dell’istante, in vista della Legge sovrannaturale.
Sono disseminati lungo Axël una sequela di passaggi quasi lapalissiani su Lévi, soprattutto per quel che riguarda la descrizione della vita del mago: casta, ritirata, concentrata giustappunto sul controllo e sulla espansione della Volontà. Il principio magico del magnetismo, il lavoro su di sé nell’iniziato-simbolista villersiano, le dinamiche sottili nei vari piani dell’essere: tutto sulla scorta del Rituale. La scena tra Sara e Axël, dopo un intero capitolo dedicato alle Scienze Occulte, rappresenta il ri-conoscimento delle due polarità sparse ed ha il tono wagneriano, financo pregno di atmosfere ultraromantiche alla Ludovico II, in quel desiderio inesausto di viaggiare, conoscere il mondo assieme all’amata. È lei la parte ardente che evoca le sconfinate possibilità di volteggiare pel loro amore ultraterreno. Nulla li contiene, tantomeno la vita monacale, rigettata già all’inizio dell’opera da Sara. Quindi nozze alchemiche, rappresentate non a caso dopo la lunga e fondamentale digressione del maître Janus col protagonista. Il mago della pièce ha in sé i tratti di Lévi e le digressioni volte a convincere il protagonista circa la sua vera natura, sono come un libro a sé stante:
Chi può conoscer qualcosa, se non colui che si riconosce? Tu credi di apprendere, tu ti ritrovi: l’universo non è che un pretesto a questo sviluppo di coscienza totale. La Legge, è l’energia degli esseri! È la nozione viva, libera, sostanziale, che, nel Sensibile e nell’Invisibile, sommuove, anima, immobilizza o trasforma la totalità del divenire. – Tutto in pulsazione! – Esistere, è l’indebolire o il rinforzare se stessi e il realizzarsi, in ogni pulsazione, nel risultato della scelta compiuta. – Esci fuori dall’Immemoriale. Eccoti, incarnato, sotto i veli dell’organismo, inserito in un carcere di relazioni. – Attirato dagli amanti del Desiderio (attrazione originale…), se a loro cedi, inspessisci i vincoli penetranti che ti avviluppano. La Sensazione che il tuo spirito carezza muterà i tuoi nervi in catene di piombo! E tutta questa vecchia Esteriorità, maligna, complicata, inflessibile – che ti insidia per nutrirsi della viva-volizione della tua entità – ti seminerà presto, polvere preziosa e cosciente, nei suoi chimismi e nelle sue contingenze, con la mano decisiva della Morte. La Morte, si tratta d’aver scelta. È l’impersonale, è il Divenuto. – Silenzio – Quale tendenza confusa ti preme ancora per riprendere la verità della tua origine? Sposa in te la distruzione della Natura. Resisti ai suoi amanti mortali. Sii la privazione! Rinuncia! Liberati. Sii la tua propria vittima! Consacrati sui turiboli d’amore della Scienza augusta per morirvi, in ascesi, la morte della Fenice. Così, riflettendo il valore essenziale dei tuoi giorni sulla Legge, tutti i loro momenti, penetrando nel suo riflesso parteciperanno della sua perennità. In tal modo annullerai in te, attorno a te, qualsiasi limite! E, dimentico ormai di quella che fu l’illusione di te medesimo, avendo conquistato la nozione – infine libero – del tuo essere, ridiventerai, dentro l’Intemporale, spirito purificato, distinta essenza nello Spirito Assoluto, – il consorte stesso di ciò che chiami Deità.
Le parole usate da Janus-Lévi battono su quell’oltre-natura da conquistare, esprimono la necessità di una morte che non sia la Morte che racchiude nei “chimismi e nelle contingenze”. Consiste nell’estrazione alchemica del principio divino, è una via totalmente attiva e d’ascenso.
Dico che, secondo l’antica dottrina, per divenire onnipotente bisogna vincere, in sé, tutte le passioni, tutte le concupiscenze, distruggere tutte le tracce umane – assoggettare attraverso il distacco. Uomo, se tu cessi di limitare una cosa in te, vale a dire di desiderarla, se ti ritrarrai da essa, essa ti verrà, femmina, come l’acqua riempie il posto che le offre il cavo della mano; perché tu possiedi allora l’essenza reale di ogni cosa nella tua pura volontà, e tu sei il dio che puoi divenire. Si, tale è il dogma e il primo arcano del vero sapere.
Sono parole quali ritroviamo nel Dogma e l’Alta Magia, ma mutatis mutandis in tutti coloro che ancor oggi sono debitori di Lévi. Come non pensare alle prescrizioni kremmerziane? La neutralità è di regola in ogni esame ponderato delle cose, ma nelle pratiche ermetiche o magiche è assolutamente indispensabile[…] Lo stato d’animo col quale si devono esaminar le cose senza le lenti delle idee comuni, delle idee fatte, va posto al vertice di un triangolo alla cui base sono le opinioni vecchie e le visioni di possibilità nuove.[10]
Ora una cosa sola è provata dalla esperienza: quando l’uomo è sano di corpo, senza appetiti, senza desiderii, in pace con se stesso, in pace coi suoi simili e con le cose che lo circondano, l’uomo è nella pienezza suo potere giudicante. La neutralità dell’uomo di fronte allo spettacolo del mondo obiettivo lo avvicina alla verità immutabili delle immagini sensazionali che lo colpiscono, perché le appariscenze neutre del mondo sono concepite attive o negative secondo lo stato neutro, attivo o passivo dello spettatore[…] Appena la neutralità dell’osservatore è scossa, comincia uno stato di interesse o di partecipazione al risultato voluto, e qualunque manifestazione intellettiva sgorga maculata dal desiderio e falsa.[11]
Note:
[1] Gabriele d’Annunzio, “Note su l’Arte, Il Bisogno del Sogno”(Il Mattino, 30 agosto – 1° settembre 1892) in Scritti Giornalistici, Vol. II, Meridiani Mondadori, Milano, 2003, p.74
[2] Tra gli altri da noi consultati ricordiamo Alan W. Raitt e Pierre-Georges Castex, i curatori delle Oeuvres complètes nella Bibliothèque de la Pléiade; spunti a tema si trovano in E. Drougard, autore di un articolo molto interessante: “Villiers de l’Isle-Adam et Eliphas Levi”. In Revue belge de philologie et d’histoire, tome 10, fasc. 3, 1931. pp. 505-530. H. Bordeaux, Ames Modernes, Paris, Perrin, 1921- In campo inglese (sempre di Raitt) segnaliamo la biografia attualmente più ampia sul Nostro: The Life of Villiers de l’Isle-Adam, Clarendon Press, Oxford,1981.
[3] Papus, Magia Bianca e Magia Nera, Edizioni del Gattopardo, Roma, 1973, p. 148
[4] Pier Luca Pierini – Eliphas Lévi, Il Maestro dei Maestri – articolo originariamente pubblicato nel 1994, su un numero interamente dedicato ai “Grandi Iniziati” del Giornale dei Misteri diretto da Giulio Brunner, poi riproposto in forma più estesa su Elixir n°1 nel 2005. Noi lo riportiamo dall’appendice del recente Eliphas Lévi – La Cabala Iniziatica – Edizioni Rebis (nuova edizione corretta e ampliata a cura di Pier Luca Pierini R.), Viareggio, 2020, p.65
[5] Villiers de L’Isle-Adam – Claire Lenoir, Edizioni Theoria (Biblioteca di letteratura fantastica), Roma-Napoli, 1991, p. 67
[6] In Paul Chacornac – Eliphas Lévi, rénovateur de l’occultisme en France (1810-1875), présentation par Paul Redoncel, Préface de Victor-Émile Michelet, Paris, Librairie générale des sciences occultes. Chacornac frères, 1926, p. 277 – La sua casa editrice fu la più importante, nella divulgazione occultistica in territorio francese. Tra le altre cose fu anche editore della famosa rivista “Etudes Traditionnelles”.
[7] In tale ruolo troviamo anche Huysmans, amicissimo di Villiers.
[8] Gisèle Marie, Le theatre symboliste: ses origines, ses sources, pionniers et réalisateurs, A. G. Nizet, Paris, 1973, p .77.
[9] Si tratta di una raccolta di inediti, scritti critici, appunti e ricordi (mai tradotta in italiano), con splendido frontespizio disegnato da Félicien Rops: Comte de Villiers de L’Isle-Adam, Chez Les Passants (Fantaisies, Pamphlets et Souvenirs), Paris, Comptoir d’Édition, 1890, pp. 49 – 51 (si tratta di una riflessione precipua sull’Amleto di Shakespeare) – Tra l’altro per una casa editrice in cui comparivano a catalogo Lévi, Cahagnet, Baron du Potet, Papus, Olcott, Kardec…
[10] Giuliano Kremmerz, I Dialoghi sull’Ermetismo, ne La Scienza dei Magi, volume terzo, Edizioni Mediterranee, Roma, pp.175-176.
[11] In La Porta Ermetica, Op. Cit, volume secondo, pp. 225-226
Note aggiuntive:
- tutte le citazioni di Axël provengono dall’edizione delle Oeuvres Complètes de Villiers de L’Isle-Adam, IV – Paris, Mercvrre de France, 1923
- Testo significativo dell’influenza di Villiers sul simbolismo e financo sul modernismo è Il Castello di Axël di Edmund Wilson, edito in Italia da Il Saggiatore, 1965.
(continua…)
Stefano Eugenio Bona