Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Ecate e la Telestica, l’arte di animare le statue – Chiara Toniolo
La figura divina di Ecate si incontra, nel mondo classico, sin dagli albori della sua letteratura. L’Inno omerico a Demetra (VI-V sec. a.C.) ci racconta del pellegrinaggio della Dea sulla terra alla ricerca della figlia Kore, più comunemente conosciuta come Persefone, rapita da Ade il signore dei morti. La madre è disperatamente alla ricerca della figlia e non riesce a trovarla in alcun luogo del mondo; nessuno sa dove si possa trovare e non vi è alcuno, Dio o mortale, che aiuti Demetra nella sua ricerca. Finché, mentre la Dea vaga disperata per nove giorni e nove notti, ecco che: “ …quando le apparve la decima fulgida aurora, //le venne incontro Ecate, con in mano una torcia, e così le rivolse parola, desiderosa d’informarla: …” (1). L’episodio mitico, come è noto, prosegue con Ecate e Demetra che insieme si mettono alla ricerca di Persefone recandosi presso Helios, il Sole, che racconterà loro i fatti.
Attraverso i secoli, la figura di Ecate, accostata a quella di Artemide e di Selene, si è arricchita di dettagli, di tratti sincretici che, come solo il pensiero religioso greco ha saputo fare, non l’hanno mai allontana da questa primordiale immagine. Nell’Inno la Dea viene descritta come colei che cammina portando tra le mani una torcia e che si rivolge a Demetra per offrire il suo supporto e aiuto. Ebbene, mutando i secoli come pagine di un grande libro, eccola tornare a mostrarsi, a parlare e ad offrirsi come guida, ma questa volta in maniera inedita: direttamente ad un essere umano attraverso la pratica teurgica.
Essa è oggetto dei testi del grande filosofo Porfirio di Tiro (233-305d.C.) a cui dobbiamo la stesura di una delle ultime grandi opere della piena paganità: la Filosofia desunta dagli Oracoli, un testo di grande spessore religioso e, come il nome stesso annuncia, oracolare. L’autore, profondo conoscitore di mantica e di magia, descrive alcuni rituali attraverso cui entrare in contatto diretto con gli Dei, senza l’ausilio di un corpo sacerdotale che funga “da filtro” tra il mondo dei mortali e quello degli Dei. All’interno di questa meravigliosa opera, la nostra Ecate si mostra di nuovo e, per alcuni tratti, possiamo ritrovarla proprio come descritta nell’Inno Omerico la prima volta. Avventurdoci nella descrizione data da Porfirio, dobbiamo comprendere primariamente, però, il contesto teurgico entro il quale stiamo per spingerci con la nostra analisi. Con il termine teurgia si indica un particolare tipo di magia che “opera con le cose divine” di cui una branca, poco nota, è stata denominata, dagli studiosi moderni, teurgia telestica, cioè la teurgia che opera attraverso la creazione e l’animazione delle statue. In altre parole, il teurgo, possedendo delle conoscenze di natura profondamente esoterica era in grado di plasmare, costruire, adornare la statua di una divinità e renderla viva, animarla appunto, fino a farla muovere e parlare. Porfirio, riportando degli oracoli provenienti da tutto l’ecumene mediterraneo, spiega minuziosamente come sia possibile realizzare questo fantomatico miraculum. Nella sua opera egli spiega come siano gli Dei che, attraverso una forma oracolare di natura privata, cioè lontana dai grandi santuari antichi quali Delfi o Claros, offrono indicazioni e direttive al teurgo perchè possa entrare in comunicazione con loro. A che scopo tutto ciò?Il fine della teurgia telestica è quello di conoscere, attraverso l’interrogazione di una immagine divina, la natura profonda dell’uomo, chi egli sia, quale sia il suo compito su questo piano dell’esistenza, chi siano gli Dei, quale la loro forma e come sia possibile raggiungerli per beneficiare della loro immutabile beatitudine.
Non vi è alcuna possibilità di usare questo potere per le contingenze della vita: quali ricchezza, amore, fortuna o salute che non sono altro che inganni, blande ombre che allontano dal vero obiettivo di questa vita: fare ritorno al divino. Secondo Porfirio sono gli Dei stessi ad offrire questa possibilità di unione con loro, fornendo chiare e lucide indicazioni sulla strada da percorrere per poter evocare e, temporaneamente, costringere in un simulacro un ente sovrannaturale perchè venga interrogato. La giustificazione metafisica di questa attività teurgica si basa sul concetto di magia simpatetica o simpatica, ampiamente studiato da Frazer, che Porfirio espone chiaramente in questo modo: “… (scil. Gli Dei) hanno indicato le cose che amano, le cose da cui sono dominati, e anche le forze che li sottomettono, le cose che bisogna offrire in sacrificio, da quali giorni bisogna stare alla larga, quale tipo di figura bisogna dare alle statue;…” (2).
Ciò significa che colui che opera con le cose divine, procedendo per gradi, verrà a conoscenza delle simpatie cosmiche che governano i piani dell’esistenza del mondo umano e di quello divino e sarà in grado di usare le corrispondenze esistenti per comunicare con gli Dei. Non è difficile comprendere questo concetto se, per un momento, pensiamo ai grandi Grimori della tradizione medioevale e rinascimentale che contenevano indicazioni sui giorni fausti o infausti per l’evocazione di un demone; così come gli erbari e i lapidari antichi che assegnavano alle piante e alle gemme le corrispondenze con i pianeti etc. Sta agli Dei, quindi, indicare come poterli contattare e in che modo costruire un ricettacolo che li possa contenere. Ecate è spesso descritta, nell’opera di Porfirio, come la Dea che offre indicazioni al teurgo perchè possa compiere la sua grande opera e, nel testo, è presentata in questo modo: “A sua volta anche Ecate è la luna, simbolo del suo cambiamento ed è la potenza durante le fasi lunari; perciò il potere è di tre forme: (come simbolo) del novilunio (viene raffigurata) che porta un vestito bianco e i sandali dorati e che tiene in mano le torce” (3).
Così come un Ouroboros, eccoci tornati al punto di partenza. La Dea, come manifestazione delle fasi lunari in cielo, simbolicamente è rappresentata in terra con una veste bianca, i sandali dorati e le già incontrate torce. La sua forma, così descritta è nota da numerose immagini statuarie dell’antichità. Ciò che però risulta inedito è un’altra tipologia di immagine della Dea che Porfirio, riporta, sottolinenadone il valore oracolare. Come accennavamo, la forma e l’aspetto delle statue usate in funzione telestica non sono casuali, ma seguono dei dettami precisi che il teurgo è tenuto a seguire perchè il suo rituale possa avere successo: “Ma tu consacra una statua di legno, purificala come io ti indicherò: fai la struttura delle membra di ruta selvatica, poi adornala con piccoli animali, e con salamandre domestiche. Farai un miscuglio di mirra, storace e incenso insieme agli animaletti e stando fuori all’aria aperta sotto la luna crescente, compi tu stesso il rito recitando questa preghiera…ti ordino di consacrare questi riti con grande impegno,… . E rivolto a quella statua recitando a lungo io ti apparirò in sogno” (4). Questo frammento ci viene a mostrare chiaramente come sia stato possibile al teurgo comunicare con Ecate. È, infatti, la Dea stessa che indica come debba essere realizzato il suo simulacro e, non casualmente, sono indicati i materiali con cui costruirlo. Come già accennavamo, nel mondo teurgico, come in quello magico, l’intero cosmo è percorso da affinità che collegano i piani dell’esistenza. È necessario, perciò, che per evocare un essere ultraterreno si predisponga, in primis, delle conoscenze di queste affinità e, in secundis, che tali conoscenze si applichino secondo una rigida ritualistica. I materiali, il luogo, il momento in cui può avvenire la comunicazione non sono mai casuali e, di seguito, analizzeremo le corrispondenze fra le indicazioni fornite e il loro rapporto simpatetico con Ecate.
Per prima cosa, la scelta del materiale con cui comporre il corpo della statua è indicato in maniera precisa: la ruta selvatica conosciuta anche nella magia medioevale e moderna per il suo carattere apotropaico, cioè la sua connaturata capacità di allontanare il male. Ciò che ogni rituale crea è un’apertura, una porta fra il nostro mondo e quello sensibile, che la tradizione antica (ma non solo) ci insegna essere abitato da numerose entità, alcune benevole nei confronti dell’uomo, altre desiderose di impedire che il teurgo porti a termine la sua opera di ricongiungimento agli Dei. L’Ecate della Filosofia desunta dagli Oracoli presenta numerose caratteristiche in comune con quella descritta negli Oracoli Caldaici (5). Questa opera, ricostruita in età bizantina e rinascimentale, è costituita di frammenti oracolari estremamente affascinanti, tra i quali spiccano quelli attribuiti ad Ecate che si presenta come signora delle forze demoniche che abitano lo spazio fra il mondo umano e quello divino. Questi daimones obbediscono alla Dea e lei sola è in grado di piegare la loro forza. È facile comprendere che Ecate, possedendo questo potere, suggerisca, quindi, al teurgo di costruire il suo simulacro con un materiale che, già a partire dalla sua struttura lignea, abbia la forza di allontanare qualunque entità demonica che si ponga tra lei e l’operatore teurgico. In questo modo non solo viene creata ed incisa una statua, ma in un certo qual modo, quasi metonimicamente, si consacra tutto ciò che intorno ad essa graviti durante il rituale: lo spazio sacro è così creato. Per quanto riguarda l’uso di animali o di loro parti, non deve risultare un elemento di disturbo al lettore moderno. Basti pensare, infatti, che tale uso è presente anche in numerose raccolte papiracee di magia tardo-antica e, sebbene possano effettivamente indicare l’uso così come descritto, è altresì possibile che vadano ad indicare non già l’effettivo animale, ma un elemento di natura esoterica camuffato: un minerale, una pianta o un’erba il cui vero nome restava celato al lettore non iniziato e la cui vera identità era nota solo al teurgo o agli aspiranti tali. In altre parole, forse, non dobbiamo aspettarci realmente che all’interno della statua fossero inseriti pezzi sminuzzati di animale, ma un qualcosa che doveva rimanere nascosto agli occhi dei profani. Se per quanto enunciato sopra gli interrogativi rimangono aperti, ciò che certamente possiamo riconoscere è l’uso della mirra, dello storace e dell’incenso che sono, da sempre, le resine odorose che accompagnano le preghiere e i riti del mondo antico. Se ci risulta non sempre facile ricordarne la presenza durante sacrifici ed offerte, ci basti pensare all’uso cerimoniale che ancora oggi riveste l’incenso all’interno della funzione religiosa cristiana cattolica ed ortodossa che tanto devono a quella gentile. Per finire analizziamo il momento stabilito per il rituale notturno: la luna crescente. Nelle descrizioni di numerose operazioni magiche, e del resto anche nella tradizione popolare, si considera essere particolarmente fausto per operazioni di taglio e coltura il momento in cui la falce di luna comincia a crescere. Quindi, tale fase non può che essere favorevole ad un’attività sacra. Per concludere, abbiamo accennato a come la telestica animi le statue e permetta loro di comunicare con il teurgo. All’attento lettore non sarà quindi sfuggito che nel caso dell’ oracolo di Ecate riportato in realtà non si accenni ad alcun movimento o animazione della statua.
Ebbene questo frammento risulta un unicum non solo per le caratteristiche sopra descritte, ma anche per un altro dettaglio che illumina ancora di più la figura di Ecate. La Signora dei trivi, colei che accompagna le ombre nella notte, è anche colei che controlla i daimones intesi secondo la tradizione antica non solo come entità malefiche, ma anche come tutte quelle creature che non posseggono un corpo fisico, ma che abitano la zona sub-lunare del cosmo. Ad essi è attribuito, fra gli altri, anche il compito di portare i sogni profetici agli uomini per indicare loro quale via seguire. La visione della Dea, essendo la sola a poter controllare i demoni che conducono questi sogni, renderà certo il teurgo di aver operato correttamente il suo rituale e nella sfera onirica egli potrà interrogare la Dea, sicuro che nessun altro lo inganni prendendone l’aspetto.
Sebbene ci siamo soffermati su pochi frammenti, numerosi sono gli elementi di questa antica arte, di questo Opus divino, che offrono spunti per continuare ad analizzare ciò che possediamo del mondo antico che ancora oggi continua a presentarsi in qualche modo inedito. Forse, mai come ora possediamo gli strumenti per tornare a vederlo per quello che realmente era: un’ecumene di saggezza intramontabile.
Note:
(1) Inni Omerici, vv51-53, di G. Zanetto, (cur.) Bur, Milano, 2000.
(2) Porfirio, Filosofia rivelata dagli oracoli, con tutti i frammenti di magia, stregoneria, teosofia e teurgia, G.Girgenti e G. Muscolino (curr.), Milano 2011, 109.
(3) Porfirio, Filosofia rivelata dagli oracoli, con tutti i frammenti di magia, stregoneria, teosofia e teurgia, G.Girgenti e G. Muscolino (curr.), Milano 2011, 305.
(4) Porfirio, Filosofia rivelata dagli oracoli, con tutti i frammenti di magia, stregoneria, teosofia e teurgia, G.Girgenti e G. Muscolino (curr.), Milano 2011, 111.
(5) Si veda la traduzione italiana degli Oracoli Caldaici di Angelo Tonelli.
Chiara Toniolo
(fonte: articolo pubblicato nel numero di Aprile 2021 della rivista Sirio, con l’autorizzazione dell’autrice)