Dodds e il Neoplatonismo: il logos tardo-antico tra ragione e ritorno misterico – Giovanni Sessa
Eric R. Dodds, eminente studioso irlandese del mondo tardo-antico, è stato giustamente definito da Arnaldo Momigliano massimo rappresentante dell’umanesimo contemporaneo. Tale definizione non è dovuta a piaggeria. Corrisponde al vero. Lo si evince da una recente pubblicazione di scritti di Dodds intitolata, Temi fondamentali del Neoplatonismo. Filosofia e spiritualità nel pensiero tardo-antico, edita da Mimesis per la cura di Daniele Iezzi (per ordini: 02/24861657, mimesis@mimesisedizioni.it, pp. 309, euro 20,00).Si tratta di una silloge che raccoglie saggi composti dall’autore tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del secolo scorso, la maggior parte dei quali inediti in italiano.
Ricorda Iezzi: «Le molte vie percorse da Dodds hanno sempre avuto come unica, suprema meta la comprensione dell’uomo nella sua totalità» (p. 7). Risulterebbe, pertanto, sviante considerare il suo lavoro esegetico come esclusivamente storico o influenzato da una disciplina come la storia delle idee. Egli, infatti, ponendo al centro delle proprie ricerche il problema antropologico, ha prodotto un’opera dal tratto eminentemente filosofico. Da bambino e da adolescente, fu lettore vorace e onnivoro. Durante la prima giovinezza si sentì estraneo tanto alla rigida e sterile morale vittoriana, quanto alla dogmatica religiosa. Presto si manifestò in lui la passionale adesione all’indipendentismo irlandese, che andò, via via, affievolendosi con il trascorrere degli anni. Rivelatrice, per la sua formazione, la lettura di Nietzsche: lo impressionò, in particolare, l’esegesi del mondo tragico, che individuava i culti dionisiaci quale cuore vitale della civiltà ellenica. All’università di Oxford fu allievo di Gilbert Murray, Regius Professor of Greek, che lo introdusse alla filologia classica. A questi successe, sulla prestigiosa cattedra oxoniense, nel 1936.
Dal maestro trasse due categorie ermeneutiche, che utilizzò nelle opere successive e che emergono dai saggi raccolti nel volume che presentiamo: “il tempo della disillusione” e “il tracollo nervoso” . La prima categoria, sarà riferita da Dodds all’epoca cruciale tra il V secolo a. C. ed il IV. In tale frangente, a dire dell’irlandese, sarebbero venute meno, gradualmente, le certezze “razionali” costruite in età classica dai Greci. Con la seconda espressione si riferì, invece, all’: «individuazione di una crisi totale – materiale e spirituale – che colpì la società nei primi secoli dell’età imperiale romana» (p. 11) e che produsse la progressiva deriva del pensiero filosofico verso l’ “irrazionale”, verso il recupero del sapere esoterico-misterico. Quella è l’età che vide sorgere un diffuso senso d’angoscia, e che pensò di risolvere il proprio smarrimento, la subentrata sfiducia nelle capacità umane, affidandosi al divino. Mentre elaborava tale visione del mondo tardo-antico, Dodds intratteneva significative relazioni intellettuali con Huxley, Festugière, Yeats, Auden. Dirimente, per le sue scelte intellettuali, si rivelò l’incontro con John A. Stewart, esimio studioso di Plotino.
Nota Iezzi che da allora per Dodds il neoplatonismo divenne corrente speculativa privilegiata per rintracciare la presenza dell’“irrazionale” nella civiltà greca. Nel periodo arcaico, nei poemi omerici: «in quelle frequenti esperienze di alterazione psichica causa dei comportamenti fuori dall’ordinario degli eroi» (p. 19), i Greci individuavano l’irrompere del divino. Tale fase è detta da Dodds “civiltà della vergogna”, l’uomo si avvertiva limitato, in balia di potenze che lo sovrastavano. Di poi, si giunse alla “civiltà della colpa”, prodotta dall’azione tracotante degli uomini, che agivano sotto l’impulso dell’invidia per gli dei. Nei processi che presiedettero al cambiamento di mentalità religiosa, si verificarono fenomeni di “conglomerato ereditario”. Essi segnalano: «la sovrapposizione […] di elementi innovativi con quelli antichi» (p. 20). Nella cultura “razionalista” del V secolo, ben esemplificata da Euripide: «trovava spazio anche la componente irrazionale […] il carattere tragico dell’opera euripidea […] risiede proprio nella continua vittoria degli impulsi irrazionali sulla ragione» (p. 22). Medesima situazione è presente in Platone, nel Parmenide, dove la sobrietà del logos convive con il riconoscimento dei limiti umani e il rinvio al mistero. La cosa divenne più evidente ne, Le Leggi.
La vocazione misterico-religiosa del platonismo si espliciterà, a muovere dal I secolo a.C., nel ripensamento messo in atto dalle scuole neoplatoniche. Tale tendenza venne acuita dall’irrompere di culti orientali nel bacino del Mediterraneo. Solo la filosofia di Plotino, a giudizio di Doods, avrebbe salvato l’autonomia del logos, in quanto le Enneadi avrebbero tentato di dare risposta alle angosce dell’epoca attraverso una strumentazione ricavata, in modalità rigorosa, dal pensiero classico. Tale filosofia si configura quale: «magnifica combinazione di tradizione e innovazione, di antico razionalismo e di nuovo irrazionalismo» (p. 29). La filosofia dell’Uno non avrebbe contratto, a dire del Nostro, debiti né nei confronti di religioni orientali (Bréhier), né nei confronti dello Gnosticismo (Jonas), avrebbe semplicemente esplicitato un patrimonio ideale ab origine presente in Grecia.
Avendo letto Freud, Dodds maturò la convinzione che l’uomo è da sempre esposto all’erompere dell’irrazionale, tanto nella vita individuale, quanto in quella comunitaria. Lo poté constatare in prima persona: partecipò alla Prima guerra mondiale e assistette alla Seconda. Le sue ricerche sul mondo antico furono un tentativo di comprendere quanto stava allora accadendo. Al ballo Excelsior del positivismo, delle sorti progressive dell’umanità, seguirono le tragedie belliche. L’angoscia e l’atomismo sociale dell’epoca moderna fecero riemergere, al tramonto del secolo XIX e all’alba del XX, l’interesse per l’occulto. In ciò, lo studioso vide un parallelismo palese con l’epoca tardo-antica. Fu profeta, inoltre, dei rischi che il dominio della tecno-scienza comportava in termini di riduzione della libertà.
La sua lettura del mondo greco è interessante, attuale ma, a nostro giudizio, fondata su un errore di fondo. Ciò che chiama “irrazionale”, in realtà si riferisce alla dimensione “sovrarazionale”, via di conoscenza altra sia dal razionalismo che dall’irrazionalismo. Del resto, stante la lezione di Colli, il logos greco non sorse in contrapposizione al mythos, ma in continuità con esso. Non si dovrebbe discutere dei “Greci e l’irrazionale”, ma dei “Greci e il sovrarazionale”.
Giovanni Sessa