Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
“Dante Templare” di Robert L. John: un “volto” dimenticato dellʼAlighieri – I parte – Piervittorio Formichetti
Il libro intitolato in italiano Dante Templare. Una nuova interpretazione della Commedia, tradotto nella nostra lingua da Willy Schwarz nel 1987 per la nota casa editrice svizzero-milanese Hoepli, fu pubblicato originariamente nel 1946 semplicemente col titolo Dante, apparentemente generico e quindi passato inosservato fra le innumerevoli pubblicazioni riguardanti il sommo poeta italiano. Il contenuto del libro, però, è tuttʼaltro che scontato e trascurabile: lʼautore, Robert L. John (il cognome è da leggersi «iòn», con pronuncia tedesca), si proponeva di dimostrare che la vita, la mentalità e lʼopera dellʼAlighieri furono segnate dai suoi stretti contatti con lʼOrdine dei Cavalieri Templari molto più di quanto non si sia mai notato, o forse voluto ammettere, nellʼambito degli studi danteschi accademici.
È grazie ad un altro libro, Staffarda misteriosa. Risvolti occulti del Gotico cistercense, scritto nei primi anni ʼ90 dallʼavvocato Giacomo Volpini, che lo scrivente ha scoperto l’esistenza di Dante Templare. L’interessante ricerca del Volpini contiene infatti suggerimenti ed ipotesi sulle probabili connessioni filosofico-ideologiche e religiose fra i Cistercensi, i Templari e Dante [1], nel corso delle quali Volpini ha avuto modo di conoscere anche il libro dello John, da lui brevemente ricordato così:
Nel corso del 1989 la casa editrice Hoepli ha pubblicato un importantissimo lavoro del Padre Robert L. John dal titolo Dante Templare. […] Il reverendo Robert John era ordinario di Letterature romanze all’università di Vienna ed è morto nel 1981. Vale la pena di notare che il testo pubblicato è la ristampa di un’opera già pubblicata nel 1946 con l’autorizzazione dell’Autorità Ecclesiastica, che uscì con l’innocuo titolo: Dante. In questo lavoro l’autore affronta, con larga messe di riferimenti storici e documentali indiscutibili, lo spinoso argomento, cominciando col ritrovare nella produzione dantesca i riferimenti al grande evento che si concluse con il rogo di Jacques de Molay [il noto Gran Maestro dei Templari] a Parigi nel 1314, al quale certi biografi dicono abbia assistito Dante personalmente. [2]
Alcuni critici, secondo il Volpini, avrebbero posto in dubbio lʼesistenza stessa dellʼautore di Dante templare, ma egli non fu affatto un personaggio fittizio o un autore sconosciuto che si servì di uno pseudonimo. Robert Ludwig John, nato a Vienna l’11 marzo 1899 e morto il 14 aprile 1981, era un sacerdote cattolico e professore di Letterature romanze allʼUniversità di Vienna. In internet, purtroppo, non si trovano altri elementi bio-bibliografici su questo autore, a eccezione dei titoli di due suoi studi: il già citato Dante, e inoltre: Michelangelo, Dante und die sixtinische Decke (Michelangelo, Dante e la Volta [della Cappella] sistina).
Il professor John raccontava così la genesi di Dante Templare:
Una decina dʼanni fa [cioè fra il 1936 e il ʼ37] mi fu proposto il compito di scrivere un articolo sulla storia dellʼinterpretazione della figura di Beatrice. Ma il materiale mi andò talmente crescendo sotto la penna, che il progettato articolo divenne un libro rivolto principalmente ad aspetti letterari. Poi però, su consiglio dellʼeditore, ho finito per approfondire maggiormente la storia delle idee. […] Lʼopera di P. Mandonnet Dante le théologien [Dante il teologo] mi aveva additato lʼimportante problema dellʼeducazione teologica giovanile di Dante. Questo era il punto al quale riallacciarsi e dal quale poi proseguire oltre. […] Le ipotesi di Luigi Valli sulla teologia eterodossa di Dante (per quanto inconsistenti) mi hanno [poi] tuttavia fornito delle indicazioni assai utili, inducendomi a cercare nellʼopera dantesca riflessi della storia dellʼOrdine dei Templari e della sua fine. I risultati di questa novennale ricerca si sono rivelati più ampi di quanto mi aspettassi […]. Il lavoro preparatorio per questo libro si è svolto in parte a Vienna, in maggior parte però a Budapest. Gli ultimi capitoli furono scritti letteralmente sotto la pioggia di bombe dellʼassedio del 1945, nellʼIstituto di Studi superiori dellʼOrdine cistercense di Ungheria. Uno schedario in gran parte insostituibile, frutto degli studi preliminari durati molti anni, andò distrutto dalla furia bellica [3].
La tesi di fondo dellʼautore è che nel testo e nella composizione della Commedia – e probabilmente anche nel trattato filosofico-politico De Monarchia – si riscontrino gli influssi della dottrina templare e i giudizi da parte di Dante sulle vicende dellʼOrdine templare nel primo quindicennio del Trecento, cioè durante e dopo lʼesito del Concilio francese di Vienne, che nel 1312 sancì la soppressione dellʼOrdine: Dante, che secondo l’autore era sostanzialmente un chierico templare mancato, non poteva manifestare apertamente il proprio fervido sostegno ai monaci-cavalieri né il suo orrore per la loro ingiusta condanna, decisa in primis dalla monarchia francese e, obtorto collo, da papa Clemente V; il Poeta decise quindi di esprimersi soltanto in forma velata e allegorica, in non pochi brani del suo «poema sacro».
Da questo punto di vista, Robert John riprende e continua, non senza valutarne alcuni errori ed eccessi, il filone interpretativo ottocentesco e primo-novecentesco rappresentato da Ugo Foscolo, Gabriele Rossetti, Michelangelo Caetani, Francesco Perez, Giovanni Pascoli e Luigi Valli. Quest’ultimo, con la sua opera del 1928 Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore, aveva ipotizzato che Dante fosse il più importante componente di una società segreta denominata i Fedeli dʼAmore, che coltivava uno gnosticismo espresso in modo velato nel linguaggio poetico del «Dolce stil novo»; secondo lo John, il Valli si avvicinò alla verità, ma cadde in un fraintendimento, poiché la visione teologica e storica di Dante risulta strutturata in modo pressoché indiscutibile sul Cattolicesimo, perciò non può coincidere con la dottrina di una presunta setta segreta permeata di dottrine forse parzialmente estranee al Cristianesimo:
Non c’è dubbio che Dante abbia considerato come fondata da Cristo soltanto la Chiesa di Roma. Troppo alto era il suo ingegno, per potersi trovare d’accordo con una qualsiasi chiesuola settaria e con la sua puerile metafisica. Senza dire poi che le sue idee filosofico-religiose, le sue vedute di storia della Chiesa, anche se miravano a certe riforme, non potevano certo concepire queste riforme altrimenti che fondate sulla fede cattolica (DT , p. 6).
La comunità filosofico-religiosa di riferimento del Poeta, pertanto, doveva essere qualcosa di più ampio e solido, con qualche elemento dottrinale discutibile, ma non estraneo alla Chiesa cattolica: l’Ordine Templare, appunto.
Lo stesso John, tuttavia, nelle pagine finali del suo interessantissimo studio, talvolta applicherà con eccessiva disinvoltura l’interpretazione “templaristica” agli stilnovisti e alle loro «donne angelicate» (comprendendo poi anche la Laura del Petrarca e la Fiammetta del Boccaccio), le quali, sebbene portino il nome di battesimo di giovani donne realmente esistite e amate dai poeti (ad esempio tutte, o quasi, quelle menzionate dal celebre sonetto di Dante: Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento…), sarebbero soltanto figure allegoriche della conoscenza (gnosi, sophia) mistico-teologica templare, o della sua versione elaborata dai Fedeli d’Amore; secondo l’autore, anche la Beatrice dantesca rientrerebbe assolutamente fra queste allegorie muliebri, pur avendo sorpassato per celebrità e potenza di suggestione tutte le sue “sorelle letterarie”. In questa lettura egli parte da lontano, dalle origini iraniche dellʼallegoria mistica nella poesia: «Questo culto della Donna allegorica era provenuto dalla Persia», scrive, attraverso la poesia dei mistici sufi;
questa mistica persiana, le cui radici si spingono in oriente fino al brahmanesimo e in occidente fino al neoplatonismo, ebbe dei seguaci anche nella Spagna islamica. […] È innegabile che lʼamore sufico di Dio sia stato in fondo un amore di tipo panteistico, e che tutte le ardenti espressioni di nostalgia per la Divinità mirino ad unʼunione estatica con lo spirito assoluto. Ora questo amore sufico di Dio che aspirava a confluire e a dissolversi nellʼente supremo, ha trovato nella letteratura persiana la sua espressione simbolica nelle forme dellʼamore per la donna o per lʼamico,
un simbolismo che diffondendosi poi in Sicilia, in Provenza e in Toscana, conserva lʼallegoria della donna amata: in queste regioni cristiane, quindi,
quel genere di dichiarazioni dʼamore non vanno certo interpretate come mistiche, ma senzʼaltro come allegoriche: qui esse diventano le esaltazioni di una “Donna” il cui rango morale è infinitamente superiore a quello del poeta (DT , pp. 316-320),
in quanto «le donne celesti dei poeti provenzali non sono dunque altro che allegorie di un atteggiamento illuminato al quale si contrappone la brutta Ecclesia carnalis» (DT , p. 322), cioè la Chiesa-istituzione corrotta dai compromessi con il potere politico-finanziario sulla quale lo stesso Dante scoccherà molte delle proprie frecce. Lo John prosegue:
Mentre dunque in Sicilia si parla sempre solo della “donna”, del “fiore”, o della “rosa fresca” o “rosa aulente”, soltanto con Guido Guinizelli, inauguratore del Dolce Stil Nuovo, la dama riceve da ogni suo adoratore un nome diverso: donna Vanna per Guido Cavalcanti, donna Lagia per Lapo Gianni […] Tutte le supera Beatrice, lʼimmortale amata di Dante. Tutte sono allegorie della sapienza del Tempio, della gnosi templare. […] È ben possibile, anzi probabile, che tutti i poeti dellʼamore filosofico abbiano scelto i nomi da attribuire alle loro donne trasfigurate ricordando quello di una conoscente, di una parente o di un vero amore giovanile. Ma ciò che con quei nomi essi intendevano nelle loro poesie era sempre la stessa cosa: la beatifica conoscenza della vera salvezza del mondo, conoscenza da serbare segreta (DT , p. 326).
Possono esservi alcuni elementi di verità in questa tesi, ma qui il docente austriaco sembra quasi negare la possibilità che certe espressioni di devozione e di ardente amore siano state rivolte proprio ad alcune donne in anima e corpo, e non solo alle realtà teologico-mistiche delle quali esse erano state elevate ad allegorie dai loro innamorati-autori. Questa, del resto, è in gran parte la stessa decennale, drammatica questione che concerne la figura di Beatrice, come si vedrà in seguito.
Tornando agli studi danteschi “dimenticati” dellʼOttocento, nel 1854 a Parigi era apparso anche il libro dello studioso francese Eugéne Aroux, intitolato Dante hérétique, révolutionnaire et socialiste (Dante eretico, rivoluzionario e socialista), testo che, sebbene scritto da un cattolico e dedicato al papa Pio IX, descriveva Dante come un sovversivo religioso e politico, intento ad esprimere la propria ideologia anti-ecclesiale in un linguaggio segreto, comprensibile soltanto agli iniziati. Allʼepoca le autorità del Vaticano non replicarono; ma alcuni decenni più tardi, con la lettera enciclica In praeclara, datata 30 aprile 1921, papa Benedetto XV a nome della Chiesa cattolica ed in occasione dellʼimminente sesto centenario dalla morte di Dante (14 settembre 1321) confermò la fedeltà del Poeta alla Chiesa, nonostante le sue aspre critiche (e proprio in virtù di esse, aggiungiamo noi, dato che le invettive dantesche erano espressione del suo desiderio che la Chiesa fosse migliore di come si presentava) rivolte al papato del XIV secolo, le quali infatti riguardavano la corruzione morale ed economica della Chiesa-istituzione, e non il suo patrimonio dottrinale (depositum fidei); Dante non fu quindi mai un eretico nel senso proprio del termine, benché – sostiene John – possa apparentemente sembrare tale da alcuni passi problematici della Commedia (come si vedrà in seguito). Secondo lo John, Eugéne Aroux si basò sullʼopera del già menzionato Gabriele Rossetti, napoletano, professore di letteratura, il quale
ebbe modo di fermarsi per qualche tempo a Malta quando era proscritto dalla Napoli borbonica della restaurazione seguita ai moti liberali del 1821, e finì poi in Inghilterra, dove sposò una inglese ed ebbe una illustre prole che diede vita alla scuola figurativa dei preraffaelliti [4].
Gabriele Rossetti fu infatti il padre del noto pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti e della poetessa Christina Rossetti. Esule a Londra, qui pubblicò la sua opera «sullo spirito antipapale che animò la letteratura italiana volgare anticipando la Riforma protestante» (edizione Taylor, 1832) [5] e soprattutto quella, in cinque volumi, sull’amore platonico nel Medioevo: Il mistero dellʼamor platonico nel Medio Evo, uscita nel 1840. Con questo trattato, il Rossetti avrebbe voluto mostrare che Dante odiava la Chiesa di Roma di per sé stessa, il che è assurdo. Potremmo chiederci quanto influsso abbiano avuto su questa opinione del Rossetti il suo personale spirito anti-assolutista e il fatto di essere stato accolto in un Paese anglicano, rivale politico e religioso del papato fin dallo scisma di re Enrico VIII nel XVI secolo.
Secondo Robert L. John, il punto di vista del Rossetti e dellʼAroux è in larga parte insostenibile, ma fu un grande sbaglio quello di liquidare come errori e sciocchezze tutti i dati da loro raccolti riguardo alla visione “eterodossa” dellʼAlighieri. Tra questi dati, essenziale è la loro ipotesi dellʼappartenenza di Dante allʼOrdine dei Templari come adepto laico: lo John ricorda che papa Innocenzo II, durante il Concilio di Pisa, nellʼanno 1135, diede impulso a varie confraternite da aggregare ai Templari, in modo analogo a quanto, un secolo più tardi, accadde nei confronti degli Ordini mendicanti, cioè i Francescani e i Domenicani, autorizzati ad articolarsi anche in un «terzo ordine» o «ordine terziario». Tali associazioni conferivano determinati privilegi ai loro membri, avrebbero dovuto avere principalmente una funzione di supporto finanziario ai rispettivi Ordini religiosi, e vi erano ammesse anche le donne. In modo interessante, lʼautore ricorda che fondazioni analoghe esistono anche in religioni non cristiane come il Buddhismo Hinayana (ossia del «Piccolo veicolo», più vicino alla dottrina originale del Buddha rispetto alla più diffusa versione Mahayana o «Grande veicolo») e lʼIslam (le confraternite dei Dervisci, cioè i «Poveri», afferenti alla corrente del Sufismo), facendo presente pure che i Templari «avevano dimestichezza col patrimonio culturale dell’Oriente non meno che con quello occidentale», e quindi possono benissimo avere avuto un ruolo di ponte interculturale per alcuni elementi di origine orientale della poesia (si è già accennato alle analogie formali fra la poesia d’amore arabo-persiana e quella cortese europea) e dellʼarchitettura (lo stile «gotico» che fonde elementi europei e orientali), che infatti si rinnovano proprio durante il Duecento (DT , pp. 152-153) [6].
(Dante Gabriele Rossetti)
Forse il primo autore a sostenere unʼappartenenza di Dante Alighieri al contesto templare fu Henricus Spondanus, vescovo di Poitiers morto nel 1643, che nei suoi Annali designò apertamente Dante come fautore dei Templari (DT , p. 22). Proprio in tale appartenenza, secondo lo John, si troverebbe «effettivamente la chiave dellʼintera opera letteraria di Dante e soprattutto della Divina Commedia» (DT , pp. 5-6). Quella che lʼautore definisce «gnosi templare» abbracciata da Dante – probabilmente una concezione cristiana, per così dire, di confine tra lʼortodossia cattolica e uno gnosticismo che riuniva elementi ebraici, cristiani e islamici, ma non propriamente eretica né del tutto esoterica (scrive infatti: «La gnosi templare […] non si esaurisce, come i misteri antichi, in un sapere segreto riservato ad iniziati», DT p. 355) – non solo si rispecchierebbe in alcuni brani del Poema, ma contribuirebbe anche a conoscere meglio alcuni aspetti della vita del Poeta:
La Gnosi templare ci si presenta dunque come un edificio di pensieri che poteva venir affidato solo a uomini dotti e capaci di tacere. Ci si presenta come la profonda convinzione gioachimita che la Chiesa si era troppo allontanata dai compiti affidatile da Dio; che, venuta meno questa prima guida dellʼumanità perché aspirava alle funzioni della seconda, dellʼImpero, questʼultima ne risulta danneggiata […]; che la Chiesa sarebbe tornata ad essere lʼantica Chiesa dello Spirito Santo solo quando lo Stato pontificio (continuazione della donazione costantiniana) fosse riassorbito nel Sacro Impero; e che infine, solamente la illuminata conoscenza del Tempio fosse in grado di aiutare lʼumanità in questa riascesa. Tutto ciò (e in particolare il linguaggio figurato di origine orientale col quale veniva esposto) era certo in larga misura gnostico, ma non veramente eretico (DT , p. 354) [7].
Di conseguenza, secondo Robert John si può affermare che
il poema di Dante, con la sua ascesa dalla buia valle della miseria alla visione di Dio, con il suo viaggio attraverso lʼintero aldilà, con le sue iniziazioni nel Purgatorio, è di natura assolutamente gnostica. In nessun punto questa gnosi di Dante si esprime però nel senso di uno gnosticismo neo-manicheo; essa è invece la somma di conoscenze profonde, ma nascoste alle masse, sui grandi temi del medioevo: Dio e il mondo, Chiesa e Impero (DT , p. 350).
Note:
1 – Cfr. Piervittorio Formichetti, Papé Satan, Papé Satan aleppe: Dante “templare” contro l’Anticristo francese?, su “Riscontri” n. 3 / 2022, settembre-dicembre 2022: https://www.academia.edu/100499469/Papè_Satan_papè_Satan_aleppe_Dante_templare_contro_lAnticristo_francese_Riscontri_3_2022.
2 – Giacomo Volpini, Staffarda misteriosa. Risvolti occulti del Gotico cistercense, Torino, L’Ariete, terza ed. 1997, pp. 150-151.
3 – Robert L. John, Dante Templare. Una nuova interpretazione della Commedia, Milano, Hoepli, 1987, prefazione, pp. VI – VII. Dʼora in avanti i riferimenti a Dante Templare saranno posti alla fine di ciascuna citazione, con sigla DT seguita dalle pagine indicate.
4 – Volpini, Staffarda misteriosa. Risvolti occulti del Gotico cistercense, cit., p. 152.
5 – Ibidem, ivi.
6 – In riferimento alla corrente buddhistica, l’autore scrive «Hinana», ma riteniamo intendesse dire Hinayana. Sul ruolo di tramite culturale rivestito probabilmente dai Templari cfr. ad es. I misteri delle Cattedrali, video-intervista di Marco Maculotti a Paolo Dolzan, sul canale Youtube di “Axis Mundi”, 9 giugno 2022).
7 – Per il movimento gioachimita e le sue connessioni ideologiche con il templarismo, vedi la terza parte di questo contributo.
continua …
Piervittorio Formichetti