Dal Punto di Quiete agli Specchi Proteiformi – Parte Prima – Alessandra Biagini
Diari di un Amanuense, Ora Quarta
Calligrafia delle Ombre Danzanti
Note Preliminari
Koinnà, Encigramma, Kalendaman.
Koinnà è la scrittura esoterica elaborata dalla sottoscritta per adempiere alle funzionalità metalinguistiche insite nel Codice K. di cui si parla nelle Ore precedenti del Diario. Encigramma è chiamata la Runa Koinnà, cioè il segno della sua scrittura. Circuito e Geroglifico soltanto nel testo che segue possono essere termini sovrapponibili. Un Circuito, linguisticamente parlando, potrebbe somigliare al periodo, per comodità lasciamo questa vicinanza concettuale. Kalendaman è chiamato in Koinnà un luogo che è in ogni luogo, un tempo entra in relazione con tutti gli altri tempi possibili. Nella Prima Ora del Diario s’è scritta qualche informazione e del suo nome come una parola di difficile traduzione nella nostra lingua, e, tenere presente l’impalpabilità di questo termine è uno sforzo necessario da parte di chi leggerà il testo sotto.
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La creazione delle lettere che formano la Calligrafia delle Ombre Danzanti è un processo fluido, il cui mezzo d’elezione è un pennello appuntito che trascina una scia sottile da un informe grumo nero inchiostro cinese gocciolato sul foglio. Una volta stesa la linea nera da questa inizia a creare figure insensate, siluette danzanti e caotiche prendono vita dall’abisso interiore dell’Inconscio, come osano fare le stelle nicciane. Da questi strambi getti di nero le linee prendono forma di lettere e queste si materializzano in una scrittura [fig.1.a]. Si tratta della Calligrafia dell’Ombra Danzante [fig.1.b], elaborata dal Vascello per scrivere il suo Diario sul Pianeta Zero(i riferimenti per scaricare la versione digitalizzata dei capitoli sinora pubblicati di Pianeta 0, sono in appendice).
Figura 1.a
Figura 1.b
Le Ombre Danzantisono una Lettera Proteiforme, con origine in un punto preciso del tempo e dello spazio, la goccia di inchiostro da cui il pennello, intingendovisi, trascina la linea. Quella goccia proviene simbolicamente dal Punto di Silenzio, l’elemento interiore dal quale il Circuito Koinnà prende a manifestarsi nella forma di parola, raffigurato sul primo Encigramma del Geroglifico; in figura 2 il Punto è evidenziato in un cerchio rosso.
Figura 2
Nel Punto v’è silenzio; un istante senza dimensione, ove spazio e tempo sono indefiniti e inesistenti allo stesso tempo. Il punto geometrico è un’entità invisibile, definito come entità immateriale, che, se pensata materialmente equivale a uno zero (Kandisky). In Geometria la sua definizione di elemento qualunque di uno spazio topologico e funzionale inghiotte concetti di vacuità e indefinitezza. Il Punto può essere ovunque e non esistere al tempo stesso per via della sua essenza adimensionale. In Geometria il Punto viene all’esistenza in una funzione carattere ostensivo, cioè serve all’osservatore quando vuole indicare uno spazio occupato dalla sua osservazione. Nella scrittura il Punto è un’interruzione del suono e del suo ritmo, Kandisky lo indica come un momento del non essere e, al tempo stesso, quell’intervallo di silenzio è anche il ponte fra l’essere della frase appena compiuta e un altro essere,ovveroil discorso che riprenderà sia sulla carta che nella mente del lettore.
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Nel Koinnà il Punto è all’apice e alla fonte del Circuito Geroglifico. È l’unico segno Koinnà che non sia un Encigramma ad apparire nel tracciato. Si è detto prima che il Punto è la dimensione del silenzio, ma in essa nulla accade, nessun tempo prende origine né alcuno spazio vi si genera; è perciò una non dimensione. In Koinnà appaiono due stati di silenzio. Il primo è il Punto apicale di Koinnà appena visto, il secondo è incarnato in una Runa particolare [figura 2], forse la funzione più enigmatica all’interno del Circuito, che, soltanto per facilitarne la comunicabilità si è deciso di chiamare hoach; in realtà essa non ha nome, né suono. Nella visione di Kandisky, l’immaterialità del Punto, una volta divenuta materiale, viene rappresentata dallo zero; allo stesso modo accade per il nome hoach, il cui valore infatti, uscendo dal Circuito per entrare nel Piccolo Computo [figura 3], cioè la Misura (il Nume-Numero) Koinnà, diviene 0; in forza di questa sovrapposizione, potrei pensare ad hoach come ad un termine equiparabile al significato di zero.
Figura 3
Figura 4
Hoach è un silenzio diverso da quello del Punto; tuttavia hoach contiene il Punto. È un silenzio che contiene il silenzio. Il Punto è ciò che non è, l’inesistenza prima dell’esistenza, in esso giace ogni cosa allo stato di non essere. Hoach è un cerchio vuoto che contiene un vuoto. In Koinnà vi sono, come per il silenzio, due modi di comprendere la vacuità. Il vuoto di hoach è simile all’idea di utilità di cui parla Laotze nel DaoDeJing (cap.5): lo spazio cavo in un vaso d’argilla è l’utilità di quest’ultimo. Il vuoto del Punto è ciò che sta nelle cavità dei vasi (hoach) quando contengono il nulla. Hoach è l’esperienza del Punto, ossia il momento in cui esso balza dal suo stato di quiete a quello dinamico, cioè la sua trasformazione in linea. Il Punto apicale del Circuito Geroglifico di Koinnà è la spinta che muove dalla morte alla vita, la scossa necessaria all’accadere degli eventi.
Nell’esperienza sciamanica la scossa può manifestarsi in una malattia, in un incidente, in un torto subito; più generalmente nell’esperienza Koinnà la spinta avviene dall’interno. La scossa non comporta tanto la Chiara Visione, quanto un vero e proprio ‘uscire al chiarore’ che è il senso della traversata di Dwat, nell’Oltretomba della sapienza Egizia. V’è differenza. Nella visione, si guarda un’esperienza come se si osservasse una strada dalla finestra, nell’Uscita al Giorno, invece si esce per strada, entrando nell’esperienza stessa. Il concetto di spinta, scossa, è raffigurato nelle calligrafie che accompagnano tanto il Codice K. quanto i manoscritti da lui discesi, dall’onnipresente spirale. Il Punto attiva il Circuito al pari dell’occhio che si apre scosso dalla luce e quest’ultima diviene l’esperienza viva di esso, attraversandolo. Il Circuito Geroglifico, un ambiente sino ad allora muto, inizia a parlare un linguaggio sempre più adamantino, poiché da insieme di segni morti, cioè appiattiti nelle loro dimensioni s’è trasformato in un insieme di simboli meta-dimensionali quindi viventi. Il passaggio dal silenzio alla parola, origina l’uscita al giorno (la liberazione dell’elemento interiore dalla lettera) dopo l’ingresso nella morte (il Circuito), tutto ciò è l’Attraversamento del Kalendaman.
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Il salto dallo stato di quiescenza del Punto nel cerchio al dinamico, avvia la creazione del Circuito, cioè dello spazio esterno; un simile movimento del Punto lascia una traccia, la linea, l’elemento esteriore dell’Encigramma che manifesta la forma dello spazio. Tenendo a mente il passaggio da interiore ad esteriore, entriamo nel processo generativo della calligrafia delle Ombre Danzanti. La spirale è il simbolo del salto di stato del Punto. Essa è un movimento proteiforme sia centrifugo che centripeto, i suoi sono i due colori primordiali il bianco e nero, incarnano assieme i Principi Yin e Yang che simboleggiano le antinomie. È un processo centrifugo, dalla spirale promanano le parole ed è centripeto, in essa si convogliano gli effetti pareidolici del lettore. Mentre nel primo momento, la spinta centrifuga, la Macchia-Spirale assume la forma di lettera, in quello della forza centripeta, essa si materializza nella forma organizzata nella mente del lettore in un processo simile a quello scaturito nelle Tavole di Rorschach, escludendone –ovvio- l’obiettività diagnostica, poiché nella Spirale sovente compare sul foglio come un’entità asimmetrica, da cui scaturisce la selvaggia libertà interpretativa dell’osservatore.
Nelle pagine di Altre Menti Peter Godfrey-Smith:- Il suo corpo sembra essere ovunque e in nessun luogo: in larga misura, pare non avere una forma definita.- [pag.57]. Il filosofo dedica la sua opera ai processi mentali dei polpi, dispiegandone i misteriosi fili che intessono un tappeto nervoso che avvolge l’interno corpo, anziché essere contenuto in una scatola cranica. Una mente che non possiede la linea. La linea è il principio su cui si basa la scrittura dell’uomo. Il corpo dell’uomo è fatto di linee, il suo occhio percepisce il mondo nelle trame di linee che si intersecano. Due montagne vicine, ad esempio, possono essere ridotte a quattro linee: M, il cui segno è un elemento dell’alfabeto latino, una lettera. Il moto di un’onda ricordato da sole tre linee compone una N. Vediamo il mondo tracciando i suoi contorni. Un segno dopo l’altro compone la lettera. La lettera descrive il mondo dell’uomo occidentale ed è aristotelica. Esige una sua logica che segue pedissequa al principio di non contraddizione, il più sicuro di tutti i principi, afferma lo stesso Aristotele. La linea è la traccia del punto in movimento. È la rottura del silenzio conchiuso nel punto. Nella linea si compie il salto di stato da statico a dinamico. Ciascuna lettera di ogni parola in quest’articolo contiene un suono e non può contenerne un altro, in una progressione da sinistra a destra, sino all’altro capo del periodo, la fine del tempo, simboleggiata dal punto. In un testo stampato è evidente la riduzione del mondo in una linea processata attraverso una sequenza spazio temporale. La lettera t non potrà essere una r, è un dato ovvio, se così non fosse, e la t potesse essere r e viceversa, tutto cambierebbe, la parola si disgregherebbe in un caos di segni. Non possiamo pensare neppure a t come alla stessa cosa di non t. Prendiamo la parola ‘tiro’, se la t divenisse r e viceversa avremmo ‘rito’ tutt’altro significato e la frase assumerebbe un altro aspetto. Ma se una t fosse anche una non t, avremmo una frase impossibile da elaborare in parola. Sarebbe come dire che essere vivo sia la stessa cosa di essere morto, una condizione esclude l’altra nel mondo del principio di non contraddizione. Alla luce di questo principio, la nostra parola contenente entrambe le possibilità risulterebbe insensata. Ma l’osservazione di Godfrey Smith sulla percezione dei polpi m’ispira un’idea di uscire dalla rigida logica della lettera per scoprire un panorama multidimensionale e dalle infinite potenzialità. In Corinzi, Paolo di Tarso disse che uccidere la lettera vivifica lo spirito. G. Smith si addentra nei gangli mentali dei cefalopodi più complessi, svelando una mente remota, il cui accesso al mondo percepito non è nel disegno dei contorni delle forme. La lettera latina occorre di una logica aristotelica, ho scritto. Da quando sorsero le tecniche di scrittura in occidente la lettera si è legata a un rigore dal quale nessun amanuense dei tempi antichi poteva fuggire per comporre il suo manoscritto. Il Lapidario Romano per via della sua perfezione e maestosità è la scrittura con cui furono incise le parole sul Pantheon (stile Augusteo). Le sue geometrie si fondano sull’ideale del katàmétron , secondo misura, dei canoni classici greci, come Cleobulo affermò: –metronariston-, la misura è la miglior cosa. La necessaria uniformità dei tratti e la loro precisa geometria simboleggia la visione romana della realtà già dal VI secolo a.C. In seguito, dalle prime forme di onciale che si erano diffuse nei monasteri dal 780 d.C., una lettera tondeggiante, discesa direttamente dal Lapidario, si costruirono lettere via, via più complesse, sino a raggiungere le guglie e i diamanti delle scritture gotiche in cui ogni singolo carattere occorreva di una lenta esecuzione e di una mente avvezza a un duro ritmo di concentrazione. Attività estranea al mondo odierno che vede la lettera animarsi in un battito di ciglia su di uno schermo retroilluminato, quella del monaco dei primi secoli della calligrafia occidentale; egli scriveva per espiare la colpa di Adamo. Era un lavoro tremendo, descritto dagli amanuensi stessi, talora a margine dei loro lavori, quasi a lasciare memoria di una vita di rinunzie, come quella monastica, unita ai dolori del corpo scaturiti dalla postura, alla malinconia e agli occhi che si distruggevano alla luce di candela, su quei tratti categorici, sagome la cui perfetta architettura facevano somigliare la pagina a una costellazione di minuscole cattedrali. Per non parlare del freddo, che lo avvolgeva la solitudine, costretto all’immobilità mentre la sua mano vergava quei segni e sempre allo stesso modo. La pagine era spesso una pelle di vitello, il vellum e vello dopo vello, il monaco scarnificava la se stesso, strato dopo strato, quell’antica tunica di pelle (Genesi 3,21) si lacerava, lasciando intravedere i bagliori dell’anima nuda al suo Creatore. Quando Petrarca tolse la poesia alla ferrea logica scolastica, accadde qualcosa anche nella scrittura. I tempi mutarono e i libri presero a non abitare più solo i monasteri, ma si diffusero anche nelle librerie universitarie e private. Nacque una mentalità calligrafica che si compenetrava nei misteri dell’architettura che in quel tempo andava maturando.
In Firenze la maestosa Littera Gotica venne trasformata da Bracciolini nella Littera Antiqua, una scrittura più dolce e di più semplice lettura. La semplicità però non significava semplicismo, anzi, in quell’epoca si voleva infondere nella lettera i concetti della De Divina Proportione, che saranno poi alla base dell’arte che sarebbe fiorita da lì a poco. Torniamo al nostro discorso sulla linea e sui polpi di Godfrey Smith. Il corpo del polpo è proteiforme, scrive il filosofo, parola nata da Πρωτεύς, Pròteus, il Dio ellenico la cui caratteristica è quella di cambiare forma e di essere oracolo. Un corpo che è piena potenzialità, non dipendente da una meccanica obbligata come quella di uno scheletro per comporsi in una qualche postura. Capacità idealizzata nell’Odisseo Omerico, l’uomo polimorfico, dal multiforme ingegno. René Guenon scrisse sul polpo: –Il simbolo del polipo si riferisce al segno zodiacale del Cancro, che corrisponde al solstizio d’estate e al ‘fondo delle Acque’; è facile da ciò capire come esso abbia potuto talora essere preso in un ‘senso malefico’, essendo il solstizio d’estate la Ianua Inferni, la porta degli Inferi. – Per Ippolito nelle acque cosmiche che avvolgono gli stati sottili dell’anima, ha sede l’impero degli Arconti, forze aliene e ostili, che hanno ordito un cosmo fittizio, per catturare le anime luminose, al pari dell’Uccellatore delle esperienze manichee, usato per raffigurare le stesse entità: –Io sono la Voce del risveglio nell’eone della notte . Ora inizierò a svelare la potenza che sorge dal Caos, la potenza delle tenebre abissali, che sorge dal fango dell’eterno vuoto acquatico.-.[ in: Gli abitanti della periferia sino all’etere, traduz. Di E.Albrile]. La piovra in Giappone attacca pescatori che s’immergono, come racconta Yoshitoshi nella sua stampa (1882). Hokusai nella sua opera illustra due polpi che avvinghiano una nuotatrice. Soffermiamoci sull’esplicita rappresentazione dell’artista nipponico. Essa proviene dal Kinoe no komatsu, la collezione a soggetto erotico di KatsushikaHokusai, coglie l’attimo in cui una donna si abbandona in sogno all’estasi, raffigurata dai due polpi su di lei. Nel 1889 Joris-Karl Huysmans si riferì all’opera come alla più bella stampa giapponese: -L’espressione quasi sovrumana di tormento e dolore che sconvolge la lunga figura aggraziata dal naso aquilino e la gioia isterica, che allo stesso tempo scaturisce dalla fronte e dagli occhi chiusi come se fossero morti, sono del tutto ammirevoli. -. Gli interpreti occidentali videro nell’opera la scena di uno stupro, ma furono fuorviati perché non conoscendo il giapponese, non lessero il testo sul foglio, la voce della donna: –Odioso polpo! Mi togli il respiro succhiandomi alla bocca del ventre! Ah! Sì…è…lì! Con la ventosa, la ventosa…! Lì, lì…! Finora era me che gli uomini chiamavano polpo! Polpo…! Come fai…! Oh! Limiti e confini scomparsi! Svanisco!- . Abbiamo tutt’altro che uno stupro. Hokusai ha infuso nella sua opera il momento d’abbandono nell’amore, fondendo un unico corpo due forme: lei diviene lui e viceversa. Il polpo è un simbolo di questa proprietà transitiva dell’amore, pur in un ambito decisamente diverso, tale proprietà caratterizza le estasi dei santi sia cristiani che islamici. Bataille scrisse: –E la sensibilità religiosa che unisce strettamente desiderio e paura, piacere intenso e angoscia-. Il polpo simbolizza questa trasformazione nell’atto d’amore dei due elementi coinvolti l’uno nell’altro, sottraendo quell’istante alla logica di Aristotele. Seguendo le parole di Freud, nei sogni, come quello vissuto dalla donna di Hokusai, le leggi logiche del pensiero non valgono per i processi dell’Es. Soprattutto non vale il principio di contraddizione. Non vi è nulla che si possa paragonare alla negazione e si osserva pure con sorpresa un’eccezione al teorema filosofico che lo spazio e il tempo sono forme necessarie dei nostri atti mentali (Freud, 1933.). Le imperanti regole della logica non hanno alcun peso nell’inconscio; esso potrebbe essere chiamato il Regno dell’illogico. (Freud, 1938). Proseguendo con Freud: sulla base di alcune scoperte psicoanalitiche, oggi la tesi kantiana che il tempo e lo spazio sono forme necessarie del nostro pensiero può essere messa in discussione. Abbiamo imparato che i processi psichici sono a-temporali, (1920). I corpi dei polpi e il corpo della donna diventano un solo ammasso di passione, nell’opera di Hokusai, in una visione le cui ombre ritroviamo nell’arte di Giger. Il padre di Alien, la terrificante creatura xenomorfa che abita gli incubi della fantascienza odierna, annulla ogni confine di materia e di tempo, mescolando fra loro i corpi biologici e meccanici, in un amplesso sessuale, dal quale esce un amalgama di nuove forme scandalose, indescrivibili, che conducono nelle fearfulsymmetry , agghiaccianti simmetrie, cantate da Blake, le quali violano brutalmente quella logica di non contraddizione di cui la nostra mente abbisogna per orientarsi nel tempo e nello spazio, durante gli stati di coscienza. Matt Blanco partirà da quella distruzione del principio aristotelico che avviene nei livelli dell’inconscio, per formulare la sua teoria su una logica speciale, la logica simmetrica, propria dell’esperienza inconscia. Lo psicoanalista cileno propone che nell’inconscio domini una logica particolare per cui sia possibile la coesistenza dei contrari, come nel caso delle pulsioni di amore e odio e l’identità dei contrari con la quale si può ammettere che due contrari possono appartenere al tempo stesso e sotto il medesimo riguardo allo stesso soggetto. La legge della simmetria di Blanco tradisce la concezione newtoniana (l’opposizione dinamica fra le forze, che influenzò, fra l’altro, il pensiero di Kant) non contraddittoria. Un pensiero simile lo ritroviamo nella tradizione di Laotze: Sotto il cielo tutti sanno che il bello è bello, di qui si crea il brutto, sanno che il bene è bene, di qui si crea il male. Il secondo capitolo del Tao Te Ching inscrive in uno stesso insieme i contrari del principio di Aristotele, dando origine a quell’agghiacciante simmetria di cui si nutrono anche le opere di Giger. Il termine adoperato da Laotze per ‘creare’ è wei為, il concetto dell’esistenza e di azione, l’opposto di wu潕 che indica un’assenza, la non esistenza, la non azione. Entrambi i caratteri possiedono quattro gocce, essi non sono fra loro incompatibili infatti. Vi è un nesso, nella visione taoista, che li tiene l’uno assieme all’altro: l’esistenza ha origine nella non esistenza, spiega il Capitolo Primo del Tao Te Ching. Il concetto di non compatibilità sottende il principio della non contraddizione, e viene descritto dal Berti (1977), uno dei principali interpreti del pensiero aristotelico, come interessante tutti gli opposti in cui si dispiega la dialettica del reale di cui il pensiero fa parte. La chiave di lettura taoista ci aiuta a scendere nelle fearfulsymmetrydi Blake, strappando i vincoli dell’incompatibilità imposti dal pensiero cosciente. Nella visione di Giger, il facehuggerdi Alien, la creatura che ricorda un aracnide, è stato concepito con riferimenti anatomici esplicitamente sessuali: la sua bocca ricorda la vulva umana, mentre la proboscide che inserisce nella vittima per inoculare l’embrione dell’alieno, il sesso maschile. Anche l’esemplare adulto possiede richiami fallici nella forma del suo cranio e una sinuosità femminile nel corpo, ciò ricorda la descrizione in Ipostasi degli Arconti: Ora gli arconti hanno un corpo che è femmina ma anche maschio, e il loro aspetto è di bestie. Come il Capo delle Potenze Infere degli stessi Arconti, Alien non ha occhi. In Ipostasi degli Arconti l’Invidia è un’opera androgina, il passo ci conduce all’ultimo capitolo della saga di Alien, dove apprendiamo che lo xenomorfo è una creatura di un demiurgo arrogante e geloso, un androide in cui si è accesa la scintilla dell’invidia verso i suoi artefici. Dunque l’alieno è un prodotto di una creatura la cui hibrys, tracotanza, la spinge ad innalzarsi al ruolo di divinità, come in Ipostasi degli Arconti, Samael il dio dei ciechi, pretende di essere l’unico Dio. Ci inabissiamo adesso nei reami degli Arconti, nelle terre dell’inconscio, un oltretomba in cui il principio di non contradizione e con esso ogni logica del mondo cosciente cessa di aver valore. In questo varco ove morti e i vivi coesistono fusi in una medesima cosa, diveniamo proteiformi, polpi, odissei.
Ulisse è colui che attraversa le acque, archetipi dell’anima oscura nella quale risiedono gli abitatori dell’inganno, come Circe, i mostri che inghiottono gli esseri umani, figli di Poseidone, le bocche dei gorghi atavici dell’abisso, raffigurati in Scilla e Cariddi. Nella tradizione giudaica le liquide tetraggini sono abitate dagli antichi תַּנִּינִ֖םt anniynim, i grandi mostri marini della Creazione (Genesi1, 21). Ancor più scure delle acque infere in Genesi, sono le acque nere, nei visceri del Levitano, nelle quali sprofonda Giona, prima di risalire alla vista di Dio. La sapienza egizia attraversa quei mari ultraterreni, nel libro dell’Amduat i canti accompagnano l’anima del defunto oltre il reame della morte. Il Signore di tali confini è nella tradizione Egizia Osiride. Il mantello posteriore che costituisce il sistema di navigazione e di propulsione a getto di seppie e polpi, appare simile alla tiara del Faraone, un collegamento simbolico fra la testa del sovrano ad Osiride. Il Faraone anche lui abitare nell’Oltretomba, per mantenere la legge stabilita dal Dio, in modo che l’Egitto e le anime che lo abitano, non vengano sconvolti dal caos. La Grande Casa questo significa la parola Faraone, figlio di Horus stesso, l’ordinatore, era il signore dei Due Regni e come regnava sull’Alto e Basse Egitto, dominava sia in terra che nell’aldilà. Il polpo ci trascina nei mondi oscuri della psiche, laddove, seguendo il discorso di Matte Blanco, domina una logica del tutto avulsa da quella che regola la coscienza, la logica bivalente, in quei luoghi così remoti a noi stessi ciò che è anche ciò che non è. Ci ritroviamo in balia delle sinistre forze dell’abisso, il mondo dei morti dei quali Osiride è guardiano e signore. Nel suo Geroglifico il Dio reca l’occhio che vede in ogni luogo. Nei suoi epiteti, il simbolico polpo che è in ogni luogo: Osiride nella barca della notte, […]Osiride che presiede all’occidente, Osiride in tutti i suoi luoghi.[…] (cap.142 del Libro dei Morti). Attraversata la Porta degli Inferni, il viaggio notturno di Osiride, accediamo a una dimensione diversa.
[fine Parte Prima]
Ps: La bibliografia di riferimento è fornita in appendice alla Parte II
Collegamento alla narrazione di Pianeta 0: https://edizioniopen.it/pianeta-zero/
E ai testi del Volume SID in cui è contenuta: https://edizioniopen.it/i-vascelli/
Alessandra Biagini