Da Zalmoxis a Gengis Khan: religioni e folklore della Dacia e dell’Europa Orientale secondo Eliade – Giovanni Sessa
Mircea Eliade, insigne storico delle religioni romeno, nonostante abbia vissuto gran parte della vita all’estero in esilio, mantenne uno stretto legame con la cultura del proprio popolo e, soprattutto, ebbe un interesse, mai celato, per la spiritualità dell’antica Dacia. A testimoniarlo, con dovizia di particolari, è il suo volume, Da Zalmoxis a Gengis Khan. Le religioni e il folklore dell’Europa orientale, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Mediterranee, a cura di Horia Corneliu Cicortaş e con la traduzione di Alberto Sobrero (per ordini: 06/3235433, ordinipv@edizionimediterranee.net, pp. 275, euro 27,00). Il volume fu pubblicato, per la prima volta, in Francia nel 1970. Uscì in Italia nel 1972 e, visto il discreto successo di critica e vendite, fu tradotto, in un breve lasso di tempo, in molte lingue. Il testo è costituito di otto capitoli: sei di essi rappresentano rifacimenti di precedenti saggi usciti su riviste e periodici. Due sono i capitoli pensati appositamente per questo libro.
Il primo di essi si riferisce a Zalmoxis e si occupa della storia religiosa dei Geto-Daci. Alla relazione tra questa antica popolazione e i lupi è dedicato un altro scritto mentre, un articolo relativo alla “Ballata della pecorella veggente” ha lo scopo, secondo le intenzioni di Eliade, di integrare gli altri cinque saggi relativi alla tradizioni popolari romene. Essi, rispettivamente, si occupano dei miti cosmogonici dualistici, della caccia rituale, della leggenda di Mastro Manole, di pratiche sciamaniche e del culto della mandragora. Il riferimento del titolo a Gengis Khan, lo ricorda Cicortaş, è puramente simbolico: «poiché nel libro le invasioni mongole non vengono ricordate» (p. 8), pur avendo giocato un ruolo fondamentale nella formazione dell’immaginario dei Daco-Romani, soprattutto in relazione all’antenato totemico individuato nel Lupo grigio. È opportuno tener presente che, per Eliade: «Il culto di Zalmoxis e tutti i miti, i simboli, i rituali che informano il folklore religioso dei Romeni, affondano le loro radici in un universo di valori spirituali che preesiste all’apparizione delle grandi civiltà del Vicino Oriente antico e del Mediterraneo» (p. 17).
Ciò spiega l’interesse per tale patrimonio spirituale, mai venuto meno nello studioso. Per la prima volta esso si manifestò alla fine degli anni Venti, dopo il soggiorno dello studioso in India ma tornò a mostrarsi negli anni Quaranta, prima e dopo la fine del Secondo conflitto mondiale. Del resto, Eliade aveva fondato, nel 1938, la prima rivista internazionale romena di studi storico-religiosi, non casualmente intitolata Zalmoxis. Al testo che presentiamo, l’intellettuale lavorò tra il 1968 e il 1969, nel momento in cui era impegnato a mettere a punto alcune delle sue opere più rilevanti sotto il profilo scientifico. Qualora non ci fosse stata questa concomitanza di impegni, Da Zalmoxis a Gengis Khan: «avrebbe avuto verosimilmente dimensioni ben maggiori» (p. 11). Anzi, l’autore aveva progettato di aggiungere alla prima edizione capitoli dedicati ad altri aspetti della ritualità e del folklore della Romania e dell’Europa orientale. Il lettore della nuova edizione italiana troverà in Appendice il saggio che lo storico delle religioni ha dedicato all’esegesi dei căluşari, feste in maschera stagionali.
Anche questo scritto conferma l’importanza metodologica attribuita da Eliade, nel comparativismo storico-religioso, alla dimensione etnologica. Egli ricorre di continuo, al fine di giungere al cuore, al significato riposto di miti e riti: «al patrimonio culturale del folklore […] Una fonte preziosa specialmente nel caso dei cosiddetti “popoli senza scrittura”» (p. 11). Lo studioso è fermamente convito che l’humus spirituale dei Daci potesse essere colto: «solo nell’universo dei valori specifici dei cacciatori e dei guerrieri, o più esattamente alla luce di riti iniziatici di tipo militare» (p. 18). Più in particolare, l’ambigua duplicità, ctonia e tellurica, di Zalmoxis: «diventa comprensibile quando si svela il senso iniziatico dell’occultazione e dell’epifania del dio» (p. 18). Il mito cosmogonico romeno, alla luce di tale intuizione, non può essere ridotto, sic et simpliciter, ai dualismi balcanici e centro-asiatici, ma va letto, rileva Eliade, attraverso il tema della “stanchezza di dio”: «sorprendente espressione di quel deus otiosus reinventato in seguito dal cristianesimo popolare, nel disperato tentativo di rendere dio estraneo alle imperfezioni del mondo e all’apparizione del male» (p. 18).
La stessa “caccia rituale”, praticata nei primordi della Dacia, per l’intellettuale romeno deve essere posta all’origine del principato di Moldavia. Il monastero d’Argeş riesce a esplicitare, inoltre, il proprio simbolismo, non semplicemente in relazione ai miti di costruzione ma in relazione al: «senso originario di un primitivo sacrificio umano» (p. 18). Una delle ballate popolari più note in Romania, la Mioriţa presenta la funzione oracolare degli animali nell’antica Dacia.
Il culto della mandragora, se ben interpretato, mette in luce la stretta connessione di Vita e Morte. Leggere questo libro significa essere proiettati in un universo arcaico di grande spessore simbolico. Eliade, in queste pagine, ha trasmesso alla contemporaneità il patrimonio immemoriale sul quale è stata costruita la civiltà europea. Un’occasione da non perdere, da non sprecare, in un momento in cui la cancel culture è intenzionata a fare tabula rasa della nostra memoria storica.
Giovani Sessa