Capitalismo ed ecologismo: il caso dell’eco-buddhismo in Thailandia – Giovanni Sessa
L’attenzione ecologica è certamente un tratto che connota dall’interno teoria e prassi del capitalismo cognitivo. Il prometeismo radicale, realizzato dall’industrialismo moderno, pare essersi smorzato, negli ultimi decenni, di fronte al possibile disastro ambientale annunciato dai dati scientifici. E’ sorto, in tal modo, un “ecologismo” di sistema, teso a difendere gli interessi della Forma Capitale ed eterodiretto dai potentati comunicativi delle società opulente. Esempio eclatante il “gretismo”, fenomeno mediatico di massa che ha coagulato le istanze dell’ecologia riformista interna al sistema vigente. Un recente volume dell’antropologa Amalia Rossi, docente presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, mostra come l’ecologismo prodotto per partogenesi dal capitalismo, vada avanzando anche nei paesi in via di sviluppo, ad esempio in Thailandia. Ci riferiamo a, Eco-Buddhismo. Monaci della foresta e paesaggi contesi in Thailandia, edito da Meltemi (per ordini: redazione@meltemieditore.it, 02/22471892, pp. 320, euro 20,00). Il volume è aperto dalla prefazione di Andrea Staid.
Si tratta di uno studio analitico, risultato della permanenza e delle ricerche condotte dell’autrice nella provincia nord-thailandese di Nam, posta al confine settentrionale con il Laos. Tale territorio, nelle complesse vicende politiche thailandesi, dipanatesi negli ultimi decenni nel susseguirsi di governi riformisti a fasi di aperta dittatura militare, è stato il focolaio dell’insurrezione maoista. Il metodo seguito da Rossi è interdisciplinare, l’atteggiamento di indagine è esplicitamente definito “non-neutrale”: l’autrice, infatti, prende posizione nei confronti dei cambiamenti in atto nel paese orientale alla luce della propria storia e della propria formazione culturale: «di fatto mi situavo allo stesso tempo “con” e “contro” tutti i “nativi” […] cercando sì di pormi sopra le parti, ma solo dopo aver immaginato di indossare le maschere dei miei informatori e di agire e pensare come loro» (p. 32). Il lettore, per entrare nelle vive cose della trattazione, come rileva il prefatore, deve liberarsi del pregiudizio legato alla visione del mondo occidentale, per la quale oggi sarebbe necessario “preservare la natura”, imperativo discendente dal dualismo di natura e cultura, cos’ì come è stato pensato in Europa. In secondo luogo, bisogna tener presente che, anche in Thailandia, la recente riconfigurazione paesaggistica, messa in atto attraverso la creazione di riserve e Parchi naturali, non ha tenuto conto delle necessità e della cultura degli abitanti della regione del Nam. Tali “custodi” del territorio hanno praticato, per secoli, un’agricoltura semi-nomade, ora ritenuta anti-economica e anti-estetica. Ragione per la quale sono stati allontanati dal loro habitat.
Rossi si interroga sulla situazione dell’antico Regno del Siam servendosi del concetto di paesaggio-teatro, elaborato dal geografo Eugenio Turri, nonché dell’idea debordiana del paesaggio quale “spettacolo” disegnato dal potere. Da questo punto di osservazione, l’autrice individua le diverse scene paesaggistiche realizzate nel corso del tempo in Thailandia. Innanzitutto, quella disegnata dallo Stato che ha dato luogo alla mappatura del territorio, distinguendo in esso le funzioni economiche da attribuire alla diverse aree. Va considerata anche l’elaborazione paesaggistica voluta da imprese e multinazionali, le quali: «a fronte della accresciuta sensibilità per i temi dell’ecologia […] hanno ritenuto utile costruire strategicamente la propria immagine […] avvolgendosi di un’aura morale e di un’estetica ecologiste» (p. 40). Da tale scelta, è disceso l’enorme sviluppo dell’industria eco-turistica. Le ONG, invece, si sono fatte latrici di un immaginario riconducibile ai valori dell’Occidente progressista, ponendo l’accento sui diritti degli indigeni, sul decentramento amministrativo e sulla democratizzazione delle risorse naturali. Un ruolo di grande rilevanza sta svolgendo l’eco-buddhismo: «Il Sangha (clero buddhista) e gli esponenti della Dinastia regnante Chakri […] hanno cominciato a proporre visioni inedite, anti o alter-sviluppiste […] visioni che risultano specificamente legate all’identità nazionale thailandese» (p. 43). Alcuni monaci dell’ordine Theravadin hanno rinnovato la tradizione dei monaci della foresta, prendendo le distanze dal progetto di sviluppo filo-occidentale.
Agli scenari evocati dall’eco-buddhismo ha corrisposto l’attenzione della famiglia reale: «verso la fine degli anni Novanta […] ciò è avvenuto attraverso la propagazione dell’ideologia populista della Economia della Moderazione […] ideata dal longevo e amatissimo re Bhumibol Adulyadej» (p. 44-45). Tale visione economica mira a sottrarre i popoli del paese orientale al mercato globale, puntando su condotte produttive di auto-sussistenza agricola dei villaggi. L’eco-buddhismo ha trovato ascolto nelle popolazioni locali, anche in funzione del recupero della cerimonia di “consacrazione delle foreste” dovuta, in particolare, a Phra Manat. Questi comprese quanto: «la consacrazione simbolica degli alberi poteva costituire un’arma efficace alla sensibilizzazione delle popolazioni locali sulla necessità di preservare l’ambiente» (p. 168). Rossi rileva che l’eco-buddhismo, all’inizio almeno, nacque da una commistione di democrazia e socialismo con elementi religiosi. In seguito, lo stesso fondatore del movimento, Buddhadasa, fece l’esplicito elogio della monarchia e definì le proprie tesi economiche “conservatorismo radicale”. Per tale ragione, l’antropologa ritiene l’eco-buddhismo funzionale al modello di sviluppo capitalista, una falsa alternativa. Del resto, chiosa: «la monarchia thailandese […] partecipa con i suoi immensi capitali allo stesso sistema che vorrebbe criticare e cambiare attraverso la diffusione della nuova filosofia economica di matrice eco-buddhista e questa contraddizione in Thailandia è appariscente» (p. 174).
Al contrario, riteniamo che il discorso sull’eco-buddhismo, al di là del contingente legame di alcuni suoi esponenti con la monarchia contemporanea thailandese, riscoprendo la dimensione sacrale della natura, il tratto identitario dell’appartenenza dell’uomo ad uno spazio dato, sia riferimento di rilievo per quanti ritengano imprescindibile tornare a guardare alla physis. Al fine di uscire dall’empasse attuale, dal possibile disastro, è necessario gemellare, come avveniva nelle civiltà tradizionali, Orfeo a Prometeo. La Tradizione è la via maestra del futuro.
Giovanni Sessa