Bruckner, gigante della Sinfonia: un saggio musicologico di Piero Buscaroli – Giovanni Sessa
Tra il 1985 e il 1987 il Teatro Comunale di Bologna mise in cartellone un ciclo integrale delle Sinfonie di Anton Bruckner, musicista allora conosciuto a fondo in Italia solo da musicologi e appassionati, mentre il grande pubblico ne ignorava ancora la straordinaria grandezza. L’idea venne al nuovo sovraintendente del Teatro felsineo, che individuò in Piero Buscaroli il critico cui: «affidare la stesura dei programmi di sala e le conferenze introduttive dei concerti» (p. 328). Direttori d’orchestra di fama garantirono il successo del ciclo bruckneriano. Buscaroli pensò di intitolare i propri contributi, Immagine di Bruckner, in quanto in essi si intratteneva non soltanto su aspetti meramente musicologici, ma disegnava un quadro a tutto tondo dell’uomo e del compositore, sfatando i falsi miti con i quali era stato, fino ad allora, presentato. A Carlo Fontana e Luigi Ferrari va il merito di aver messo insieme quei testi di Buscaroli, dando realtà fattuale a una intenzione dichiarata del grande critico e scrittore: pubblicare un volume monografico dedicato alla vita e all’opera di Bruckner. Il volume è uscito recentemente per i tipi di Bietti con il titolo, Bruckner, gigante della Sinfonia (pp. 366, euro 24,00).
Buscaroli, in una prosa lucida e coinvolgente, dal tratto più giornalistico che libresco, presenta un’originale biografia intellettuale e spirituale del musicista austriaco, ricostruendone le vicende esteriori ed interori, soffermandosi, in particolare, su quelle che giocarono un ruolo determinante nel suo percorso creativo. Rimasto orfano di padre durante l’infanzia, Anton fu accudito dalla madre Theresia. Al fine di provvedere al meglio al suo futuro, questa lo accompagnò all’abbazia di Sankt Florian che sorgeva nei pressi di Ansfelden, paese natale del genio musicale. Venne accolto tra i ragazzi “cantori” e, al termine del ciclo di studi, nonostante lo animasse di già il sogno di diventare un grande musicista, intraprese la strada di insegnante nelle scuole primarie. Divenne, dapprima, assistente maestro in diversi villaggi rurali; infine, fu maestro salariato e organista nell’abbazia in cui aveva studiato dal 1851. L’occasione di lasciare Sankt Florian fu presa quando il giovane fece visita a Vienna a Simon Sechter, organista di Corte, che lo giudicò dotato di talento, ma senza un’adeguata formazione tecnica: «Anton Bruckner si accinse a ricominciare da capo» (p. 52). Trasferitosi a Linz nel 1855, si dette a studiare sotto la guida del maestro viennese.
L’intera esistenza di Bruckner, presentato dai biografi quale “babbeo”, innocente e ingenuo campagnolo incapace di adattarsi al dinamico attivismo della città, è segnata dall’inesausta volontà di riscatto: egli fu perpetuamente alla ricerca di attestati di stima e della soluzione dei problemi economici, che angustiarono i primi decenni della sua vita. Buscaroli, da par suo, lo segue lungo questo itinerario, giungendo fino agli anni del trionfo. L’insicurezza di fondo che distingueva la sua indole non gli concesse di vivere appieno il successo conseguito, tanto che sentì sempre la necessità di rivedere le sue composizioni, a volte per le critiche malevole di improvvisati recensori o per i consigli di allievi interessati a metter mano a quelle geniali creazioni.
Sotto il profilo musicologico, Buscaroli libera il musicista dalla vulgata esegetica, perpetuatasi anche attraverso Furtwängler che vide in Bruckner: «più che un musicista, un epigono dei mistici tedeschi, come Maister Eckhart, o Jacob Böhme» (p. 18). In realtà, esclusivamente nel primo periodo compositivo, Bruckner fu indotto a creare sotto la spinta di motivazioni religiose, ma la sua musica non rinvia ad “altro”, ha valore in sé: testimonia la potestas presente nella Natura, e lo fa attraverso una grammatica musicale rigorosa e sorvegliata, apparentemente in contrasto con il suo animo “innocente”, alla Don Chisciotte. L’autore sostiene, con pertinenza argomentativa, che lo spazio musicale bruckneriano deve essere collocato a ridosso del quadrilatero che comprende i nomi di Beethoven, Brahms, Wagner e Schubert: «La pratica della musica di chiesa lo ha tenuto attaccato al patrimonio barocco cattolico […] lungo una linea tracciata tra il Beethoven della Missa Solemnis e le ultime opere religiose del Cherubini» (pp. 20-21). Non va trascurato, d’altro lato, il contatto con le partiture moderne dell’Olandese volante e del Tannhäuser di Wagner.
Alla fine, chiosa Buscaroli, Bruckner diventa: «musicista assoluto, non meno di Beethoven e di Brahms»(p. 22). Anton rimase sempre indipendente, musicalmente parlando, dagli stessi suoi presunti modelli. Ammirò Wagner, al quale portò in lettura la Seconda e Terza Sinfonia (che poi gli dedicò), per cui il “Maestro dei Maestri” doveva ben conoscere la forza creativa bruckneriana che ripagò: «di una strana indifferenza» (p. 23), nella consapevolezza che Brucker, assieme al “fratello separato” Brahms, in quanto musicista”assoluto”, era lontano dalla figura del musicista dell’avvenire e si sottraeva alle lusinghe della musica “a programma”, all’ “opera totale”. Le “citazioni” wagneriane che taluno ha notato nelle partiture di Bruckner, non si riducono a sterile ripetizione, ma sono rielaborazione critica e originale. Il musicista austriaco supera Brahms come sinfonista, in quanto egli ha contezza di: «mantenere le misure monumentali stabilite da Beethoven con la Nona, senza ricorrere al coro» (p. 26). In particolare, egli riuscì nella Quinta Sinfonia a mettere in atto un’evidente compressione dell’energia cinetica della Fuga: «nell’ordine formale della Sinfonia» (p. 27). Si tratta della più geniale costruzione sinfonica dopo Beethoven.
Fondamentalmente, l’intera produzione sinfonica bruckneriana, in un confronto serrato con Beethoven, è la sola che sia riuscita a esprimere: «la unnenbare Sehnsucht, l’indicibile nostalgia dell’originario eterno» (p. 39). A nostro parere è questo motivo che spiega, al di là del tratto umano del musicista, le continue revisioni cui egli sottopose le proprie opere. Le ritenne insufficienti a trascrivere degnamente l’eco, il riverberarsi, che Bruckner sapeva essere in atto nel cosmo, del “suono originario”. La vera musica, come l’autentico filosofare, ha tratto naturaliter iperbolico. Una monografia filosofica-musicologica di Bruckner è ancora di là da venire. Il libro di Buscaroli è un passo importante in questa direzione per quanti vogliano avvicinarsi a questo autore. Un unico appunto conclusivo: chi scrive non condivide la polemica anti-mahleriana che si evince tra le righe di Buscaroli. Bruckner, come sostiene il critico bolognese, rappresenta il punto apicale della Sinfonia, ma con Mahler ebbe inizio un iter musicale ulteriore, dipanatosi per tutto il Novecento. Ma questo è un altro discorso…
Giovanni Sessa