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Bismarck tra tradizione e innovazione: i discorsi del Cancelliere di ferro – Giovanni Sessa
Otto von Bismarck è sicuramente un personaggio storico di grande rilevanza. Le sue scelte politiche hanno condizionato, non solo la storia della Germania moderna, ma gli eventi della prima metà del XX secolo. Al fine di conoscere l’uomo e il Cancelliere, consigliamo vivamente la lettura di un volume a sua firma, Kulturkampf. Discorsi politici, da poco nelle librerie per Oaks editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp.291, euro 24,00). Il volume è impreziosito dalla chiarificatrice prefazione del germanista Marino Freschi. Nato nel 1815, anno fatale per le sorti d’Europa, Bismarck per tutta la vita, rileva il prefatore: «rimase attaccato alle radici dell’aristocrazia terriera» (p. I). In gioventù, i suoi esordi nell’amministrazione prussiana non furono brillanti. Si rese protagonista di alcuni scandali e tenne una condotta di vita al di sopra delle righe. Fu un momento passeggero: ben presto, si radicò nel suo animo la spiritualità pietista, fondata sulla devozione mistica e mirante al risveglio interiore.
Negli ambienti pietisti incontrò sua moglie e alcuni futuri collaboratori. Tra questi, von Roon, che lo introdusse nella cerchia del futuro Guglielmo I. La sua formazione politica e culturale ebbe il proprio momento apicale nella frequentazione del circolo conservatore animato dai fratelli von Gerlach. Fece esperienze amministrative a livello comunale e provinciale, fin quando, dopo l’ascesa al trono di Guglelmo I nel 1862, venne chiamato, quale rappresentante del sovrano, alla dieta di Francoforte. I suoi interventi nel consesso furono connotati da spirito antirivoluzionario e misero in luce le sue indubbie qualità oratorie, come si evince dalla lettura del volume che presentiamo. L’oratoria di Bismarck, pur mostrando in molti luoghi l’ampia cultura del Cancelliere, con riferimenti a Goethe, Lessing, Schiller, Heine, autore prediletto più di ogni altro, ha tratto diretto: «si basava sulla schiettezza e sull’attacco […] al di là di ogni pratica retorica» (p. III). Ebbe sempre contezza del legame che univa le scelte di politica interna a quelle di politica estera, in forza della lunga permanenza, in qualità di ambasciatore, a San Pietroburgo e, per un periodo più breve, a Parigi. Si trovava nella Capitale francese, quando fu richiamato in patria dal nuovo monarca, che gli affidò il Cancellierato.
Fin dal primo intervento parlamentare fece capire quali fossero le sue idee. L’avvenire della Prussia: «si doveva raggiungere non con discorsi, ma col “ferro e fuoco”, dando a intendere che l’unificazione tedesca sarebbe stata possibile con una Prussia in armi» (p. V). Nel 1863 appoggiò la repressione zarista dei moti polacchi. Insorse, allora, l’opinione pubblica liberale, che provocando un momentaneo indebolimento politico di Bismarck, determinò il riemergere delle ambizioni egemoniche di Francesco Giuseppe. Con abilità da grande stratega, il Cancelliere si avvicinò all’Austria in occasione della guerra alla Danimarca per la crisi dei Ducati dello Schleswig e dello Holstein ma, successivamente, si fece dichiarare guerra dall’alleata, in quella che per noi è stata la Terza guerra d’Indipendenza: «Il plurisecolare Impero asburgico in poche battaglie venne sgominato» (p. VI). Dopo la vittoria, il Cancelliere ebbe il merito di placare la volontà d annientamento nei confronti dell’Austria, che montava negli ambienti militari. Per divenire la potenza egemone in Europa e procedere all’unificazione tedesca, bisognava sconfiggere, al contrario, la Francia. Lo spunto fu fornito dalla crisi dinastica spagnola. Bismarck modificò il dispaccio di Ems, scritto da Guglielmo I, dando ad esso tratto perentorio.
La Francia, nonostante il tentativo di placare gli animi messo in atto dall’avveduto Thiers, dichiarò guerra e fu clamorosamente sconfitta. La nazione francese, per decenni, vide crescere lo spiriti di revanche, in quanto, in quell’occasione, si percepì sull’orlo della fine: affranta dalla sconfitta militare e dalle turbolenze della Comune. Intanto, era di fatto nato il Secondo Reich. Guglielmo divenne Imperatore tedesco, incoronato a Versailles il 18 gennaio. Nonostante ciò, il Cancelliere non abbassò mai la guardia nei confronti della Francia, nella convinzione che solo il rafforzamento militare tedesco, sarebbe stato garanzia di stabilità politica nel continente. A suo dire l’Alsazia e la Lorena erano strategicamente rilevanti per la difesa della Germania. Si fece, così, difensore dell’autonomia alsaziana, dichiarando: «quanto più gli abitanti dell’Alsazia si sentiranno alsaziani, tanto più smetteranno il francesismo» (p. XVI). Il Kulturkampf, intrapreso contro la Chiesa cattolica e il “Partito di centro”, gli alienò le simpatie degli Alsaziani, fedeli alla Chiesa di Roma. Tale battaglia fu essenzialmente un conflitto di potere: «si tratta della lotta tra monarchia e sacerdozio […] Lo scopo che balenò sempre senza interruzione dinanzi agli occhi del papato è l’asservimento del potere laico allo spirituale» (p. XVIII). Bismarck, da pietista, vedeva, invece, nel Re incarnata l’autorità divina.
Solo con l’ascesa al soglio pontificio di Leone XIII ci fu un riavvicinamento tra le parti. Bismarck, dopo essersi preso un periodo di congedo dalla politica, rientrò prepotentemente sulla scena pubblica, con la promulgazione delle leggi anti socialiste. Influenzato da Lassalle e dai “socialisti della cattedra”, per sottrarre terreno di manovra ai socialdemocratici, si fece promotore di una legislazione sociale d’avanguardia, preannunciata nel discorso del 15 febbraio 1884. Nel 1883 aveva introdotto la legge che prevedeva l’assicurazione contro le malattie, nel 1884 quella relativa agli infortuni sul lavoro, nel 1889 quella che tutelava invalidità e vecchiaia. Un sorta di socialismo di Stato, di “socialismo prussiano”, o, stando all’espressione utilizzata dal Cancelliere, di “cristianesimo pratico”.
La politica di Bismarck si è mossa tra due poli, che egli riuscì a integrare dialetticamente, tradizione e innovazione. Quando gli ambienti industriali tedeschi, che avrebbero voluto il Reich inserito nella politica coloniale, si sbarazzarono di lui, con la complicità di Guglielmo II, uscì di scena, come conferma questa silloge di discorsi, un uomo politico di grande spessore, di cui l’Europa avrebbe avuto ancora bisogno.
Giovanni Sessa