Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Attraversando l’Arte di Julius Evola come Filosofia – Vitaldo Conte
L’ARTE Di EVOLA COME ESPRESSIONE-PENSIERO SCONFINANTE
Evola sconfinante in Futurismo e Dada
L’idea di arte totale o di sintesi delle arti è presente in diversi aspetti delle avanguardie storiche che Julius Evola “attraversa”: il Futurismo e il Dada. L’autore stesso rifiuta di distinguere e separare i momenti più significativi del proprio percorso culturale. Ne rivendica il senso complessivo e la continuità. In maniera similare non delimita i confini della stessa creazione: «Chi possiede un solo mezzo espressivo, non è artista…». Evola percorre, in maniera molto personale, i movimenti d’avanguardia del Futurismo e Dadaismo attraverso la pittura: con l’Idealismo sensoriale (il primo) e l’Astrazione mistica (il secondo). Questi transiti costituiscono un aspetto rilevante della sua complessa e versatile personalità. Ne individuerà poi un distinguo caratterizzante: «Dadaismo e Futurismo son due tendenze assolutamente agli antipodi: l’una è assoluta interiorità, l’altra assoluta esteriorità». L’autore, in questi passaggi di avanguardia, inizia a formulare un procedimento-percorso di pensiero, attraversando immagini e parole di creazione, confrontandosi con il nichilismo e i limiti della ragione. Questi movimenti infatti sono protesi a “recidere” i miti e le apparenze dell’arte (passata e presente), confrontandosi con la sua crisi, i suoi sistemi e la società: «Esprimere è uccidere. Dunque non si può né si deve esprimere. (…) È necessario non farsi capire».
L’Idealismo sensoriale di Evola nel Futurismo
Il rapporto fra Evola e il Futurismo è rintracciabile nel suo passaggio definito di Idealismo sensoriale sintetico. Questa espressione artistica è attenta ai ritmi sussultanti delle indicazioni dinamiche sensoriali. In questa, come lo stesso autore chiarisce, c’è il “pensiero” di una «Forma nuova = forma spirituale esclusivamente massima sintesi = bellezza dell’individuo contro la bellezza della natura = architettura del pensiero». La dinamica e la linguistica mistica «è assolutamente fuori dall’oggetto (…) che è rinchiuso in noi. (…) in quanto noi stessi quale spirito siamo gli unici soggetti dei nostri quadri». La prospettiva di ricerca e creazione si esplicita, quindi, sempre più verso approdi spiritualistici. Evola non è attratto dal meccanicismo fisico futurista ma, viceversa, lo è verso le geometrie interiori che possono condurre alla costruzione alchemica di un procedimento. Questi suoi percorsi pittorici entrano nello spartito dei linguaggi non-figurativi europei, in cui l’autore inserisce l’espressione analitica di uno spiritualismo assoluto. Una opportuna rilevanza è da attribuire, per la sua formazione artistico-culturale e per il suo stesso passaggio futurista, alla frequentazione dello studio-atelier di Balla, di cui è in un qualche modo “allievo”. Evola, pur elaborando, in maniera personale, la propria espressione verso una proposizione di non-figurazione spiritualistica, partecipa dialetticamente, al tempo stesso, alle acquisizioni sviluppatesi nel Futurismo. Il suo Idealismo sensoriale si sviluppa nella seconda metà degli anni Dieci, a Roma (è incluso, infatti, nel futurismo romano): dove lo stesso autore opera. Interessi di natura esoterica, anche se con sviluppi differenti, sono diffusi negli ambienti culturali e artistici romani d’inizio secolo. Questi sono presenti anche nel gruppo futurista, soprattutto in Balla e Ginna, con i quali Evola intrattiene rapporti di amicizia. Una concisa e preziosa testimonianza di Arnaldo Ginna, nei primi anni Settanta, è la prova del coinvolgimento di Evola e di un certo Futurismo verso le “relazioni” esoteriche: «Evola dipingeva un astrattismo di stato d’animo molto vicino a quello che facevo io, con quel pizzico di sentimento profondo animico occulto. Ciò veniva dal fatto che Evola, come me, si interessava di occultismo traendone, s’intende secondo la propria inclinazione, un succo personale». Lo «stato d’animo di chi sente l’odore di forze occulte trascendentali» emerge nell’opera di Evola.
L’Astrazione mistica di Evola nel Dada come Arte Ultima
L’esperienza pittorica e poetica di Evola nel movimento Dada, pur breve nella temporalità, risulta intensa, anche negli aspetti intellettuali. Questi sono presenti nella stessa creazione: il suo lasciare le immagini-parole della pittura e poesia per dedicarsi alla filosofia; il suo intervenire nella creazione e la sua indifferenza per il creare o non. Questo suo transito suscita riflessioni, in quanto precede e anticipa il suo successivo percorso: quello specificamente della filosofia. Evola, con gli scritti e la pittura, “guarda” le contraddizioni dada fino a estreme e imprevedibili conseguenze. Ne condivide la radicale essenza nichilista, oppositiva a ogni valore acquisito dell’arte e della morale: la contraddizione, il paradosso e il non-senso diventano posizione di pensiero “tradotta” in immagini e parole. La paradossalità di Evola è anche quella di aderire al Dadaismo (che rifiuta la formulazione di linguaggi stabiliti), per poi teorizzarne una possibile estetica nel testo Arte Astratta del 1920. Similarmente esprime opere con un intrinseco equilibrio e valore artistico, contrariamente alle intenzioni di questo movimento. Il Dadaismo, per Evola, ha compreso il «bluff dell’arte moderna, e l’illusione di questa ricerca del nuovo»: per questo la creazione può liberare, per la prima volta nella sua storia, una risposta e concezione spirituale. Il nichilismo del Dada “vive” nell’espressione esistenziale dell’arte con una disinteressata casualità. Scrive su Arte Astratta: «L’arte deve essere in mala fede. È più morale lucidarsi le unghie che far dell’arte; l’espressione d’arte, presso l’individuo sano, non può prendere mai tanto interesse quanto la scelta di calze di seta o di una cravatta. Evidentemente, perché disinteressata, l’arte deve esser priva di ogni contenuto usuale: in quanto esprime tutto, essa non deve significare nulla da comprendere, nell’arte…». L’aspirazione per questo sapere estraneo può valere per la filosofia stessa: «La filosofia in generale culmina nell’idealismo trascendentale, il quale a sua volta ha l’idealismo magico per l’inevitabile conclusione. Di là da questo non vi è più nulla da fare in filosofia».
Il pensiero di Evola, negli anni dell’adesione al Dadaismo, è influenzato dall’anarchismo di Max Stirner, anche se sfrondato «da ogni ridondanza polemica e politica» (R. Melchionda). Il suo “nichilismo creativo” diviene stile di vita, oltrepassante la ragione e i valori sotterranei dell’atto espressivo. È sensibile all’idea dell’Io come ultima e unica possibilità di espressione, fino alla proclamazione che il nuovo creatore deve “porsi nel nulla” attraverso una “libertà attiva”. Il Dada può costituire, con la sua proposta di azzeramento, il linguaggio ultimo ed estremo dell’avanguardia novecentesca, proprio con l’esprimere una creazione oltre ogni canone assegnato alle sue forme: non solo dalla tradizione ma anche dalle “rotture” indicate dalle avanguardie storiche. La sua significativa radicalità esprime raccoglie le istanze più profonde che alimentano i movimenti d’avanguardia. Le stesse categorie artistiche sono negate, nella ricerca di passaggi verso le forme caotiche di una vita priva di razionalità: esaltando la contraddizione, l’assurdo, il senza senso e scopo. Dada vuole distruggere miti del passato e presente, per rapportarsi con la loro crisi, i loro sistemi e la società: «Esprimere è uccidere». Intende essere un limite dell’arte stessa e una spontanea espressione in forma universale, realizzante la propria negazione: «Possedere, non essere posseduto». Le “rappresentazioni” di Evola sono uno dei gradi zero dell’astrazione immaginale del primo Novecento. Le immagini, che “affida” alla pittura come alla poesia, non possiedono solo una comunicazione sinestetica, appartenente allo specifico linguaggio usato: risultano anche segnaletiche di un concetto. Queste accompagnano, in maniera sotterranea, il suo procedimento di pensiero, che sottintende simultaneamente quello esoterico e propriamente alchemico. Evola, ritornando successivamente a parlare sul Dadaismo, lo definisce «un limite: in esso l’arte, nel suo valore religioso e, in generale, come spontanea espressione in forma universale, realizza la propria negazione». Gli appare come l’approdo estremo dell’arte modernissima – cioè astratta – limite insuperabile del nichilismo artistico, non intravedendo nell’ambito della forma, dopo Dada, una possibilità di sviluppo.
Il pensiero di Evola dopo l’abbandono della creazione
Evola, abbandonando l’attività artistica e letteraria, conferma la sua estraneità sulla rivista ‘Bleu’ (1921): «Siamo fuori (…) abbiamo esaurite … tutte le esperienze, spremute … tutte le passioni (…). Non è pessimismo: si tratta di aver veduto (…) io, sono al di fuori». Indica, arrivando agli anni Sessanta con le loro tensioni (ideologiche, artistiche), l’esaurimento dei linguaggi delle avanguardie storiche da lui attraversati. Ne denuncia l’assoluta improbabilità di una possibile rinnovabile presenza. Scrive: «In realtà, i movimenti a cui mi interessai ebbero un valore non tanto in quanto arte, ma appunto come segno e manifestazione di uno stato d’animo del genere, quindi per la loro dimensione meta-artistica e perfino antiartistica». Evola non rinnega la parentesi artistica, successivamente alla sua conclusione, ma considera impersonalmente il suo autore scomparso per disperderne l’essenza. Ci ritorna, sporadicamente a distanza di tempo, con articoli e considerazioni, ma anche, negli anni 1960-70, attraverso soprattutto “copie” di ciò che aveva già dipinto e alcuni nudi di donna. Il ricopiare un proprio quadro, realizzato in passato, risulta un sintomatico e ulteriore atto di estraniamento d’identità. Evola, anche nei suoi attraversamenti artistici e letterari, rimane un pensatore che “trascende” la propria espressione sconfinante. Questa precede e anticipa il suo successivo percorso specificatamente filosofico. Ne Il cammino del cinabro (1963), sua autobiografia intellettuale, afferma a proposito del suo transito nella creazione: «Non scrissi poesie né dipinsi più dopo la fine del 1921. (…) Esaurita l’esperienza, andai oltre. Buona parte dei miei quadri è andata dispersa». Trovo una sua possibile testimonianza di Arte Ultima su Cavalcare la tigre: «Del resto da una considerazione oggettiva dei processi in corso, si ha il senso netto che l’arte non abbia più un avvenire, che essa si trovi respinta in una posizione sempre più marginale rispetto all’esistenza, il suo valore riducendosi proprio a quello di un genere voluttuario». Lo stato dell’arte che Evola denuncia nel proprio tempo, oggi, dopo decenni di sua ghettizzazione, può ricercare le sue opere di pensiero-arte, magari da lui disperse, proprio come oggetti voluttuari di mercato, enfatizzandone il lavoro attraverso paragoni, come quelli con maestri dell’astrazione mistica.
MIEI ATTRAVERSAMENTI E RIFLESSIONI SULL’ARTE DI EVOLA
Julius Evola: Arte e Alchimia, mistica, biografia (Reggio Calabria, 2005)
L’indicazione sopracitata è il titolo dell’esposizione che ho curato sul lavoro artistico (con documentazione) di Julius Evola a Reggio Calabria (Castello Aragonese) nel 2005-06, patrocinata anche dal Ministero dei Beni Culturali. La mostra e l’annesso convegno hanno costituito per me, in quel momento, un’attendibile cartina di tornasole sulla “situazione” di questo autore. I suoi accostamenti di pensiero “controcorrente” hanno contribuito, infatti, a problematizzare l’iniziativa, attraverso un certo ostracismo da parte della stampa e una sotterranea volontà di occultamento a tutto campo. Mentre riscuoteva un notevole successo di pubblico. Il catalogo della mostra reggina (Iiriti Ed., 2005), da me curato, risulta una significativa testimonianza dell’iniziativa: il mio testo diviene una personale partenza per successivi approfondimenti e viaggi testuali. Per l’occasione creo una manipolazione digitale su Evola (che uso in parte come copertina del catalogo): è costituita dal frammento di un suo ritratto fotografico interagente con il frammento di una sua opera. L’immagine “vive” compiutamente in una tavola (in esemplari numerati), su cui scrivo Attraversando Julius Evola.
NOTA. Il testo è estratto da: Vitaldo Conte, Julius Evola (Vita Arte Poesia Eros come Pensiero e Virus), eBook, Tiemme Edizioni Digitali, 2021.
L’Alchimia nell’Arte Astratta di Evola
Probabilmente, come è stato già sottolineato da altri, tutto il lavoro artistico di Evola, in modo particolare i dipinti del periodo Dada (quello dell’Astrattismo mistico), può essere considerato alchemico. Le immagini, che “affida” alla sua pittura come alla sua poesia, non possiedono solo una comunicazione sin-estetica, appartenente allo specifico linguaggio usato: risultano anche immagini-concetto. Queste accompagnano, in maniera sotterranea, il suo procedimento di pensiero, che sottintende simultaneamente quello esoterico e propriamente alchemico. L’arte pura può considerarsi preludio alla magia, da intendere come «processo mistico (…) in cui Dio non è che un fantasma». L’Alchimia stringe un legame con la dimensione estetica, in modo che l’alchimista possa divenire artista e viceversa. Una disciplina iniziatica esige un percorso di realizzazione spirituale: come il processo alchemico, con i tre colori nero-bianco-rosso, interpreta i tre gradi del percorso alchemico – Nigredo, Albedo, Rubedo –, sottoponendo la materia alla trasmutazione. L’astrazione di Evola è da considerare alchemica e mistica, in quanto la “combustione” ha come dinamica la purificazione spirituale. L’Alchimia diviene, nel quadro, “soglia” di trascendenza per ulteriori viaggi: Alchimia ed allucinazione delle forme astratte. Nella sua produzione pittorica c’è uno spaccato esplicitamente riferibile ed evocativo ai processi alchemici, come sottolinea Carlo Fabrizio Carli: i tre oli, datati tra il 1919 e il 1920, Composizione n. 19 – Paesaggio interiore, illuminazione – La fibra s’infiamma e le piramidi. Nella Composizione n.19 viene rappresentata l’opera fondamentale del processo alchemico: quello della cottura, con la grande A (in azzurro), lettera dall’esplicito riferimento simbolico. L’A compare in altri suoi quadri e disegni: è l’iniziale di Athanor (il fornello alchemico), allude all’Alchimia stessa, è la prima lettera dell’alfabeto. L’Alchimia, con la sua segreta contiguità con l’Arte, è presente naturalmente nella pittura di Evola, anche al di là delle sue esplicite simbologie. L’Alchimia diviene, in lui, creazione, lettera-concetto e procedimento immaginale di pensiero, travalicando anche i limiti fra le arti, come quello fra la pittura e la scrittura poetica. In questo contaminante passaggio alchemico fra linguaggi diversi c’è l’ulteriore, disinvolta, testimonianza della sua sconfinante espressione.
NOTA. Il testo è estratto da: Vitaldo Conte, colloquio con Marco Iacona, Il Maestro della Tradizione (Dialoghi su Julius Evola), Controcorrente, Napoli 2008.
L’Alchimia nell’Arte Astratta di Evola
Probabilmente, come è stato già sottolineato da altri, tutto il lavoro artistico di Evola, in modo particolare i dipinti del periodo Dada (quello dell’Astrattismo mistico), può essere considerato alchemico. Le immagini, che “affida” alla sua pittura come alla sua poesia, non possiedono solo una comunicazione sin-estetica, appartenente allo specifico linguaggio usato: risultano anche immagini-concetto. Queste accompagnano, in maniera sotterranea, il suo procedimento di pensiero, che sottintende simultaneamente quello esoterico e propriamente alchemico. L’arte pura può considerarsi preludio alla magia, da intendere come «processo mistico (…) in cui Dio non è che un fantasma». L’Alchimia stringe un legame con la dimensione estetica, in modo che l’alchimista possa divenire artista e viceversa. Una disciplina iniziatica esige un percorso di realizzazione spirituale: come il processo alchemico, con i tre colori nero-bianco-rosso, interpreta i tre gradi del percorso alchemico – Nigredo, Albedo, Rubedo –, sottoponendo la materia alla trasmutazione. L’astrazione di Evola è da considerare alchemica e mistica, in quanto la “combustione” ha come dinamica la purificazione spirituale. L’Alchimia diviene, nel quadro, “soglia” di trascendenza per ulteriori viaggi: Alchimia ed allucinazione delle forme astratte. Nella sua produzione pittorica c’è uno spaccato esplicitamente riferibile ed evocativo ai processi alchemici, come sottolinea Carlo Fabrizio Carli: i tre oli, datati tra il 1919 e il 1920, Composizione n. 19 – Paesaggio interiore, illuminazione – La fibra s’infiamma e le piramidi. Nella Composizione n.19 viene rappresentata l’opera fondamentale del processo alchemico: quello della cottura, con la grande A (in azzurro), lettera dall’esplicito riferimento simbolico. L’A compare in altri suoi quadri e disegni: è l’iniziale di Athanor (il fornello alchemico), allude all’Alchimia stessa, è la prima lettera dell’alfabeto. L’Alchimia, con la sua segreta contiguità con l’Arte, è presente naturalmente nella pittura di Evola, anche al di là delle sue esplicite simbologie. L’Alchimia diviene, in lui, creazione, lettera-concetto e procedimento immaginale di pensiero, travalicando anche i limiti fra le arti, come quello fra la pittura e la scrittura poetica. In questo contaminante passaggio alchemico fra linguaggi diversi c’è l’ulteriore, disinvolta, testimonianza della sua sconfinante espressione.
NOTA. Il testo è estratto da: Vitaldo Conte, colloquio con Marco Iacona, Il Maestro della Tradizione (Dialoghi su Julius Evola), Controcorrente, Napoli 2008.
La Lettera Alchemica nell’Arte Dada di Evola
La lettera alfabetica (riconoscibile o accennata) è presente nell’Arte Dada di Evola: in maniera singola, in dialettica con altre lettere o all’interno di una parola. Questa vuole esprimere, secondo la rappresentazione artistica, una presenza dai molteplici significati. Ciò avviene nell’uso alchemico della lettera A, visibile nel disegno a penna Composizione n. 3 (1919), pubblicato su Arte astratta (1920). L’A diviene una presenza centrale nella Composizione n. 19 (olio su cartone, 1918-20): opera nella quale è espressa l’Alchimia che si esplicita nel tema della rappresentazione e dell’espressione pittorica, nel suo farsi e creare parallelismi con l’Arte Regia. Ritengo che, in questa pittura, sia significativo il pensiero del rapporto con la scrittura. Non a caso l’opera è acquistata, nel 1963 a Roma, dal critico d’arte Filiberto Menna, curatore poi di mostre sulla scrittura-pittura. “Rintraccio” questa opera di A-Alchimia, che mi attrae, per poterla esporre nella mostra che curo su Evola al Castello Aragonese di Reggio Calabria nel 2005-06, ispirandomi anche nel suo titolo. Ora è esposta nella Fondazione Menna a Salerno. Nella Composizione (Paesaggio) Dada n. 3 (olio su tela, 1920-21) la grande lettera D e la lettera A, ripetuta in successione orizzontale, alludono probabilmente alle lettere di Dada, divenendone un riferimento. Nella stessa opera è leggibile la parola évidemment, che viene ripetuta dalle voci di Hhah e Ngara nel poema La parole obscure du paysage interieur.
NOTA. La lettera A nella pittura di Evola diviene mia riflessione in Scrittura come Pittura e Arte-Vita, mio saggio sulla rivista ‘Fermenti’ (n. 257, 2024), ripresa anche su ‘Pagine Filosofali’.
Mie riflessioni sull’Arte di Evola-Oggi
Oggi l’opera pittorica di Evola tende a essere “sdoganata” completamente. Ciò costituisce un elemento indubbiamente positivo per la sua completa affermazione. Ma, nel contempo, constato che, come ho dichiarato in alcune interviste, si sta sviluppando intorno alla sua figura artistica interessi economici. Ritengo sintomatico, al riguardo, l’affiorare di sue opere dubbie, pur sapendo che ha una produzione artistica limitata. Ciò è causato dal fatto che suoi lavori hanno raggiunto, in recenti aste d’arte, valutazioni ragguardevoli. La produzione artistica di Evola ha un valore storico inconfutabile, ma non deve essere neanche eccessivamente enfatizzata. Questo lavoro artistico dovrebbe essere riletto oggi con una “apertura a tutto campo”. Trovo, infatti, in alcune sue opere, riconosciute a suo tempo come autentiche dagli esperti, frammenti visivi, che sembrerebbero non appartenere alla progettualità del suo lavoro: come quelli al limite del decorativo. Forse Evola, come suo estremo gesto di arte-pensiero, può aver operato talvolta spiazzamenti visivi attraverso i lavori…
Vitaldo Conte