Atena e il mito di Aracne – Luigi Angelino
Il mito di Aracne è accennato nelle Georgiche di Virgilio (1) e meglio narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (2), ma pur avendo preso forma e consistenza nella letteratura latina, è di chiara derivazione ellenica.
Nella versione più conosciuta del mito, Aracne era una fanciulla che viveva nella città di Colofone, nella Lidia, un’antica regione storica dell’Asia Minore, corrispondente, più o meno, alle attuali province turche di Manisa e di Smirne. La fanciulla era famosa per essere una bravissima tessitrice, al punto che si diceva che fosse stata la stessa dea Atena ad istruirla. Aracne, tuttavia, si mostrava sdegnata davanti a queste dicerìe, arrivando ad affermare che, invece, era stata la dea ad aver imparato l’arte della tessitura da lei. Con il tempo, si mostrò così sicura di sé, che osò sfidare Atena in una gara di abilità. A seguito dell’improvvida decisione, le si presentò una vecchia signora che, invano, le suggerì di desistere dal proprio proposito di sfida, allo scopo di non incorrere nell’inevitabile ira della divinità. Quando la fanciulla si irrigidì irremovibile nella sua decisione, l’anziana donna abbandonò le false sembianze e si rivelò per quello che era realmente, la dea Atena. A quel punto la gara ebbe inizio. Aracne scelse come tema della sua tessitura, gli amori degli dèi e le loro colpe, un argomento delicato che fece infuriare ancora di più la dea. La fanciulla si superò nelle sue abilissime doti di tessitrice, elaborando un ordito armonico e perfetto, per giunta condito di spunti ironici ed arguti sulle meschine trame che gli dèi mettevano in atto per raggiungere i propri scopi. Allora la furia di Atena raggiunse l’apice: distrusse la tela della ragazza e la colpì con la sua spola in maniera violenta. Aracne, in preda alla disperazione, scappò via e tentò di impiccarsi, ma Atena meditò una vendetta ben più crudele e duratura. Trasformò, infatti, la fanciulla in un ragno che era costretto a filare con la bocca una tela senza fine per l’eternità. Aracne veniva punita per la propria arroganza, superbia e tracotanza, quell’insieme di sentimenti nocivi, e considerati imperdonabili, che i Greci riassumevano con il termine di hybris (3).
In una versione meno conosciuta del mito, descritta nei Theriakà di Nicandro (4), poeta greco di età ellenistica, la dea Atena inizialmente mostrò benevolenza nei confronti di Aracne e di suo fratello Falance o Falange, istruendo la prima nell’arte del canto e della tessitura ed il secondo nelle arti marziali. I due fratelli, però, furono travolti da una torbida passione incestuosa che scatenò l’ira di Atena. Per punirli, la dea li trasformò in ragni o in vipere, bestie che, secondo quanto riportato dallo stesso narratore, avrebbero la maledizione di essere divorate dai propri figli. Vi è da dire che questa versione del mito è molto differente rispetto a quella riportata da Ovidio, dove il personaggio di Falance, fratello di Aracne, non compare. Aggiungo che il nome del giovane richiama il termine falanx, adoperato sia per indicare un determinato schieramento militare, sia i cosiddetti “ragni vagabondi”, cioè quelli che cacciano senza ordire alcuna tela.
La maledizione di Atena appare spietata: “Vivi pure, ma penzola, malvagia, e perché tu non stia tranquilla per il futuro, la stessa pena sia comminata alla tua stirpe ed ai tuoi discendenti” (5). E così le belle gambe della fanciulla si trasformarono in orribili zampe sottili, mentre il suo corpo si accartocciava prendendo le sembianze di un ragno, uno degli animali più disprezzati dall’immaginario collettivo, tanto che, in alcuni casi, si parla perfino di “aracnofobia”. Come detto in precedenza, la giovane fu condannata a tessere per l’eternità appesa ai rami dello stesso albero sul quale avrebbe voluto impiccarsi. Ma la pena più umiliante è inflitta al suo genio creativo: ella sarà costretta a tessere, alla mercè del vento e delle intemperie, potendo forgiare trame di un unico e monotono colore.
Nella letteratura greca non si trovano riferimenti al mito di Aracne, al punto che alcuni critici ritengono che la tradizione possa aver avuto origine nella stessa regione storica dove si immagina l’ambientazione della vicenda, la Lidia. La tessitura è un elemento che, invece, ritroviamo diffusamente nelle opere elleniche e sempre associato a figure femminili, relegate nel gineceo a cucire senza sosta per i mariti, per i figli o per altri amati. Come dimenticare, nell’Iliade, l’immagine della bellissima e contesa Elena che tesse nella reggia di Priamo? Oppure, l’emblematica figura di Penelope che, in attesa del marito, continua a filare la sua tela, cercando di scoraggiare le offerte dei pretendenti? A queste, si aggiunge l’astuta Arianna che si affida proprio ad un filo per poter condurre Teseo fuori dal labirinto del Minotauro. Per quanto riguarda il ragno, fin da quanto riportato da Democrito di Abdera (6), il famoso atomista vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., è l’animale per eccellenza associato alla tessitura ed all’instancabile operosità, ovviamente per le sue caratteristiche fisiche peculiari. Lo stesso animale, nella visione mitologica, avrebbe trasmesso la propria tecnica alle donne. Pertanto, possiamo dedurre che dapprima il ragno era stato individuato come elemento simbolico legato all’arte femminile e, poi, fu concepito il mito di Aracne, colpevole di hybris, ritenendosi uguale o, peggio ancora, superiore agli dèi (7). Alla giovane, forse, non si perdona una “colpa” prettamente umana: quella di non aver voluto accettare il proprio ruolo nella società dell’epoca, che relegava la donna ad una condizione secondaria ed, in linea generale, di anonimato. Aracne, infatti, desidera che la sua bravura venga riconosciuta, che non sia limitata tra le pareti della bottega di un tintore. Nella narrazione di Ovidio, si può individuare anche un’ulteriore chiave di lettura, accostando la storia di Aracne a quella dell’artista, che non è libero di esprimere senza vincoli il suo pensiero nelle opere che realizza, in quanto molto spesso è destinato a soccombere al controllo, o addirittura alla vendetta, di un committente potente e senza scrupoli. L’immagine della tela di Aracne che mette a nudo le colpe degli dèi, facendo ancora di più infuriare Atena, potrebbe far pensare ad un intento allegorico aggiuntivo di questo tipo.
Grazie alla fortunata diffusione dei testi ovidiani, il mito di Aracne viene reinterpretato in epoca medievale e rinascimentale, perdendo, tuttavia, la sua genuinità classica ed integrandosi con elementi moralizzanti cristiani. Dante Alighieri colloca la giovane tessitrice nel XII Canto del Purgatorio, nella prima cornice dei superbi: “O folle Aragne, sì vedea io te già mezza ragna, trista in su li stracci de l’opera che mal per te si fè”. Anche Boccaccio, nel suo De mulieribus claris (8), attribuisce alla giovane Aracne una “somma stoltizia”. Ma la figura della fanciulla comincia ad essere rivalutata all’inizio del quindicesimo secolo, e proprio per merito di un’altra donna, la prima scrittrice “professionale” del panorama europeo, Christine de Pizan. Nella “Città delle dame”(9), Aracne è addirittura indicata come una delle ipotetiche fondatrici di una città utopica delle donne, elogiata dalla scrittrice per aver mostrato intelligenza ed abilità. In maniera volutamente esagerata la de Pizan le riconosce il merito di aver inventato la scienza di coltivare la canapa ed il lino, facendo un non piccolo favore all’umanità. Si capisce chiaramente che l’intento dell’autrice sia quello di rivalutare giustamente la funzione della donna nell’ambito della comunità sociale.
La colpa principale di Aracne, dunque, consiste nella hybris, un tema ricorrente nella mitologia greca e nella successiva evoluzione letteraria “tragica”. La hybris, nella concezione ellenica, indica un atteggiamento della personalità individuale che comprende vari sentimenti, che in lingua italiana possiamo rendere con i termini di orgoglio, arroganza, tracotanza o con perifrasi del tipo “eccessiva sicurezza di sé”. Oltre al precitato significato in ambito etico e religioso, la parola hybris era adoperata anche nel linguaggio giuridico, volendo intendere un delitto o qualsiasi altra azione perpetrata con lo scopo specifico di arrecare umiliazioni. Si trattava di quei moventi delittuosi che non aspiravano ad un fine utile, ma che traevano piacere dalla cattiveria in sé, come ad esempio mostrare la propria superiorità sul più debole. In tale contesto, la personificazione di Hybris, quale incarnazione di violenza ed esagerazione, si contrapponeva a quella di Diche che, al contrario, rappresentava la giustizia.
Nei miti, a similitudine di quello di Aracne, come sarà sviluppato anche nella tragedia, la hybris corrisponde ad una colpa che scaturisce da un’azione che viola leggi divine che non possono essere cambiate dagli umani. La giovane tessitrice, infatti, nonostante la sua grande abilità, è colpevole di sfidare una dea, un essere ontologicamente ritenuto superiore. Al concetto di hybris, molto spesso si associa quello di nemesis (vendetta), quale punizione giustamente comminata dalle divinità nei confronti dei “rei”. Nella sfida tra Atena ed Aracne, spicca un ulteriore tema dominante nella mitologia greca, quello dell’invidia degli dèi. Atena non si mostra benevola nei confronti della fanciulla, anzi ne invidia le eccezionali capacità, temendola come rivale pericolosa agli occhi della collettività (10). Ed è proprio l’invidia della dea che consolida l’atteggiamento arrogante della giovane Aracne, come se si trattasse di un circolo vizioso, al quale non riesce a sottrarsi né il soggetto umano, tanto meno quello divino proprio perché idealizzato come antropomorfo. Nonostante l’evidente paradosso che vede la dea cedere alle stesse debolezze caratteriali della fanciulla, il messaggio è chiaro: l’essere umano è inferiore, collocandosi a metà strada tra le bestie e gli dèi. L’uomo, pertanto, deve comprendere di non poter aspirare a raggiungere uno stato superiore, contro il volere delle divinità o del fato, al quale anche le stesse divinità sono sottomesse. Nella letteratura cristiana, la hybris viene trasfigurata e riformulata teologicamente nel concetto del peccato originale, la “colpa” legata alla condizione umana. Uno dei casi più emblematici è riproposto da Dante a proposito di Ulisse, che narra il proprio peccato di hybris per aver oltrepassato con il suo equipaggio le Colonne d’Ercole considerate, nel mondo antico, il confine della terra dedicata agli umani (11).
E se la sfortunata Aracne, trasformata in ragno, continua a tessere la sua triste tela per l’eternità, in una dimensione onirica e celeste, le tre Moire, simbolo del fato che governa uomini e dèi, continuano senza sosta a tracciare il filo della sorte: Cloto, la “filatrice della vita”, Lachesi. “la fissatrice della sorte”, Atropo, “l’inesorabile fatalità della morte”.
Note:
(1) Libro IV, Versi 246,247;
(2) Libro VI, versi 1-145;
(3) Cfr. Maria Buongiorno, La trama di Aracne, Pasquale Gnasso Editore, Caserta 2021;
(4) Si tratta di un poema didascalico, formato da 958 esametri. Il titolo in lingua italiana potrebbe essere reso con l’espressione “Rimedi contro i veleni animali”;
(5) Cfr, nota nr. 2;
(6) Frg. 154 D-K;
(7)Cfr. Karoly Kerenyl, traduzione a cura di V. Tedeschi, Gli dei e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita della civiltà, Ed. Il Saggiatore, Milano 2015;
(8)L’ opera del Boccaccio descrive, con scopi morali, la vita di 106 donne famose. Fu composta in lingua latina tra il 1361 ed il 1362;
(9) Si tratta di un’opera allegorica in lingua francese che, attraverso le tematiche esposte da tre dame, la Ragione, la Giustizia e la Virtù, e la descrizione di eminenti donne vissute nel passato e nel periodo contemporaneo all’autrice, cerca di combattere contro la tradizione culturale misogina;
(10) Cfr. Robert Graves, traduzione di Elisa Morpurgo, I miti greci, Ed. Longanesi, Milano 1992;
(11) Canto XXVI dell’Inferno.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.